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La testimonianza del rifugiato cristiano eritreo Aklilu Zerai

Nel corso della celebrazione eucaristica per la festa patronale di San Donnino Martire l’assemblea ha ascoltato commossa la testimonianza di Aklilu Zerai.

Queste le sue parole. “Sono nato e cresciuto in Eritrea, ma nella mia terra non c’è posto per i diritti umani, per la libertà di pensiero, per il rispetto della legalità. Ho fatto di tutto per fuggire: dall’Eritrea al Sudan e poi in Libia, dove scafisti senza scrupoli ti sfruttano e le autorità civili ti rinchiudono in luoghi di detenzione dove la tortura è di casa. E la condizione delle donne è ancora peggiore: umiliate, picchiate, stuprate senza alcuna difesa. Finalmente, dopo tanti tentativi falliti che mi hanno portato sull’orlo della disperazione, siamo riusciti ad arrivare in Italia: mia moglie Saba nel settembre 2004, io due mesi dopo. Sono stato ospite del centro di accoglienza di Lampedusa e poi a Caltanissetta, mentre mia moglie era a Matera: lì l’ho raggiunta e così abbiamo potuto ricongiungerci. Nell’aprile 2005 è nato Emanuele, un segno di speranza che ci ha dato la forza di continuare a lottare pur in mezzo a mille difficoltà. Ma la vera accoglienza l’abbiamo vissuta a Fidenza con don Camillo, il centro di ascolto Caritas e la parrocchia di s. Maria Annunziata: qui, prima ancora di ricevere aiuto, ci siamo sentiti rispettati e amati come persone uguali alle altre. A Fidenza è nato il nostro secondo figlio Sened e qui ci siamo stabiliti. Domenica scorsa abbiamo celebrato la Giornata del Rifugiato: anch’io, come rifugiato, non cesserò mai di ringraziare chi mi ha permesso di iniziare una nuova vita con l’impegno di aiutare gli altri come hanno aiutato me. Ma oggi penso anche con grande dolore alla violenza delle armi che fa soffrire la mia terra: la regione del Tigray, in particolare, sta pagando con il sangue la resistenza alla dittatura. Sei milioni di abitanti da otto mesi vivono stretti nella morsa di un’oppressione che non conosce soste: e senza la possibilità di attivare corridoi umanitari, la guerra finirà per distruggere completamente i popoli del Corno d’Africa. Sono immagini di tristezza che anch’io ho visto a Lampedusa quando mi sono recato lì per il riconoscimento di un mio cugino morto annegato nel Mediterraneo il 3 ottobre 2013 insieme ad altre 368 persone. Come cristiano sono qui oggi per onorare la memoria di un martire della fede, ma prego anche per tutti coloro che nel mondo sono vittime della guerra, dell’odio, della violenza. Basta con i muri! Costruiamo insieme ponti di solidarietà!”.

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