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Aggressività: ombra di un mondo chiuso. Il messaggio del Vescovo Ovidio per il Tempo di Quaresima

Aggressività: ombra di un mondo chiuso

Nella Lettera enciclica Fratelli tutti (3 ottobre 2020) Papa Francesco tratteggia con verità alcuni fatti che potrebbero annullare ogni possibilità di cambiamento. Non si tratta di redigere l’elenco dei mali che affliggono l’umanità e di individuarne i colpevoli sui quali riversare con ipocrisia ogni responsabilità; al contrario, si tratta di avere uno sguardo lucido sull’oggi per individuarne sì le cause, ma anche i possibili rimedi. Gesù ci rammenta che è «dal di dentro, infatti, cioè dal cuore degli uomini che escono le intenzioni cattive […]. Tutte queste cose cattive vengono fuori dal di dentro e contaminano l’uomo» (Mc 7,21.23). A proposito delle “ombre di un mondo chiuso” (cfr. FT 9) il vescovo di Roma scrive di “sogni che vanno in frantumi” indicando segni di un ritorno all’indietro, come se l’umanità non avesse imparato alcunché dalla storia. Egli denuncia, da un lato, una «società sempre più globalizzata che ci rende vicini, ma non ci rende fratelli» (FT 12) e, dall’altro, dichiara una situazione culturale che «favorisce anche una perdita del senso della storia e che provoca ulteriore disgregazione».

«Oggi in molti Paesi si utilizza il meccanismo politico di esasperare, esacerbare e polarizzare. Con varie modalità si nega ad altri il diritto di esistere e di pensare, e a tale scopo si ricorre alla strategia di ridicolizzarli, di insinuare sospetti su di loro, di accerchiarli. Non si accoglie la loro parte di verità, i loro valori, e in questo modo la società si impoverisce e si riduce alla prepotenza del più forte. […] In questo gioco meschino delle squalificazioni, il dibattito viene manipolato per mantenerlo allo stato di controversia e contrapposizione» (FT 15).

 

Pandemia e altri flagelli hanno fatto emergere una fragilità creaturale che gli umani avevano cercato di rimuovere credendosi onnipotenti; oltre a ciò si è presa coscienza del limite che disarma ogni pretesa, dello smarrimento esistenziale, dello stato di una solitudine maledetta che relega in un oblìo che tutto divora.  

«Prigionieri della virtualità, abbiamo perso il gusto e il sapore della realtà. Il dolore, l’incertezza, il timore e la consapevolezza dei propri limiti che la pandemia ha suscitato, fanno risuonare l’appello a ripensare i nostri stili di vita, le nostre relazioni, l’organizzazione delle nostre società e soprattutto il senso della nostra esistenza» (FT 33).

Una situazione che getta ombre sull’umanità smarrita è l’aggressività sociale fomentata da un populismo gretto finalizzato a stanare nemici ovunque da combattere, perché potenziale minaccia dell’integrità culturale e religiosa della patria:

«Proprio mentre difendono il proprio isolamento consumistico e comodo, le persone scelgono di legarsi in maniera costante e ossessiva. Questo favorisce il pullulare di forme insolite di aggressività, di insulti, maltrattamenti, offese, sferzate verbali fino a demolire la figura dell’altro, con una sfrenatezza che non potrebbe esistere nel contatto corpo a corpo perché finiremmo per distruggerci tutti a vicenda. L’aggressività sociale trova nei dispositivi mobili e nei computer uno spazio di diffusione senza uguali» (FT 44).

Questa situazione non ha risparmiato nemmeno le nostre comunità parrocchiali, i gruppi ecclesiali, le associazioni e i movimenti. Il volto dell’aggressività evidenzia tante sfumature: il fanatismo, l’informazione senza saggezza e veridicità, il pettegolezzo eretto a sistema di giudizio inappellabile, la polemica gratuita che non edifica generando ulteriore confusione, il mugugno ipocrita che non esce mai allo scoperto, lo sguardo obliquo e ingannevole che non ha il coraggio di incrociare gli occhi dell’altro, il disprezzo di sé, la demolizione dell’autostima, la patetica di chi non supera mai la soglia preferendo permanere nella stabilità di una nostalgia che paralizza. Il quadro tracciato potrebbe sembrare desolante, descrizione di una umanità sfigurata e triste, profezia di un dissolvimento che la storia non ha mai conosciuto. È a questo punto che si innesta la prospettiva della speranza cristiana caratterizzata dall’attesa fiduciosa, ma anche da una sapienza di reazione che ritiene possibile ricominciare mediante un cammino di conversione a Dio e all’umano. Il mondo ha bisogno di una parola altra e che il cristianesimo non può sottrarsi ad offrire nel nome di Gesù, buona notizia di Dio.

Una possibile risposta all’aggressività, autentico male oscuro del nostro tempo, è quella di reagire aperti alla speranza. Speranza cristiana è reagire nello stile della fraternità che fa vedere nell’altro, senza pregiudizi, un fratello e non un nemico da combattere perché diverso. La paura della differenza genera la morte della speranza. Senza il dialogo non vi è speranza possibile, ma solo fuga di responsabilità dal proprio oggi, delegando a un domani illusorio l’impegno di valutare e di scegliere. Vi è, pertanto, la necessità di un movimento di riconciliazione con il proprio passato; ciò è possibile percorrendo con umiltà e con la libertà di perdonare un cammino di dialogo e di incontro.

«Il perdono non implica il dimenticare. Diciamo piuttosto che quando c’è qualcosa che in nessun modo può essere negato, relativizzato o dissimulato, tuttavia, possiamo perdonare. […] Il perdono libero e sincero è una grandezza che riflette l’immensità del perdono divino. Se il perdono è gratuito, allora si può perdonare anche a chi stenta a pentirsi ed è incapace di chiedere perdono» (FT 250).

La storia scritta da uomini e donne è la pietra d’inciampo sempre attuale, che impegna nella fatica del pensare, impedisce di imboccare la strettoia di una aggressività che mortifica ogni bellezza e non permette di compiere un passo in avanti verso l’altro per trovare in lui un accrescimento di essere (cfr. FT 88-89).

In questo tempo santo della Quaresima, che ci orienta alla Pasqua del Signore, ci siano concessi sapienza e discernimento al fine di custodire fedelmente la memoria della testimonianza di chi ha donato la sua vita responsabilmente per il bene della città di oggi, senza rinunciare ad indicare una speranza difficile, ma possibile perché più grande delle nostre stesse attese.

+ Ovidio Vezzoli

vescovo di Fidenza

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