Solennità di San Donnino Martire: il messaggio del Vescovo Ovidio
Solennità di S. Donnino martire e patrono della Città di Fidenza e della Diocesi. Il messaggio del Vescovo di Fidenza, mons. Ovidio Vezzoli.
Comunità, e bene comune
Papa Francesco nella sua Lettera Enciclica Fratelli tutti (3 ottobre 2020) indica una scelta possibile al fine, da un lato, di diradare la notte che avvolge l’umanità e, dall’altro, di intravvedere l’inizio del giorno; tale scelta è rappresentata dalla valorizzazione del concetto di Communitas.
Correlato a quello di fraternità, il termine communitas implica il vocabolo munus, che fa riferimento sia alla responsabilità, ma anche al compito e alla missione che competono a colui che è fatto destinatario di un compito. Quando nella societas si accoglie l’altro come un dono, solo allora prende concretezza la comunità fraterna (cfr. At 2,42-44; Rm 13,8). La bellezza e la forza della fraternità consistono nel fatto che essa è provocazione insistente affinché si risponda all’interrogativo: Dov’è tuo fratello? (cfr. Gen 4,9), che a sua volta implica un’ulteriore domanda: Tu vedi l’altro? Tu ami l’altro e, in forza di ciò, sei disposto ad incontrarlo? Noi umani siamo chiamati alla comunione e non all’isolamento. È la comunità che ci plasma; non siamo stati fatti per la solitudine, ma per la comunione (cfr. Gen 2,18). L’apostolo Paolo nelle sue lettere insiste, non in modo esiguo, sull’immagine del corpo che ha molte membra per descrivere la comunione che caratterizza la vita cristiana secondo l’Evangelo; eppure è solo la sinfonia e la perfetta concordia tra le varie membra a permettere il funzionamento armonico e ordinato di tutto il corpo (cfr. 1Cor 12-14). Il criterio che favorisce questa interazione fraterna è l’amore (agapē), che ha il suo modello in Gesù il Cristo (cfr. 1Cor 12,31b-14,1a). L’amore, infatti, non può costituire solamente la sintesi degli affetti umani o della volontà di andare d’accordo perché conviene a tutti, ma esso è il tessuto indispensabile per la vita della comunità umana.
La fraternità tende al bene comune. Esso non è costituito dall’esclusivo patrimonio affastellato, ma è l’insieme delle condizioni di vita che favoriscono quel processo di umanizzazione delle persone che abitano e formano la comunità. Bene comune è la bellezza, il diritto alla vita, le responsabilità e i doveri del cittadino, la salvaguardia della libertà e della dignità di ogni persona, la ricerca della pace, la difesa della verità contro ogni forma di menzogna e di calunnia che offende l’umano, il prendersi cura del creato in cui si dimora come ospiti e pellegrini, la sapienza della memoria storica che valorizza la ricchezza delle nostre radici. Destinataria del bene comune è la persona e non l’individuo chiuso in se stesso, perché la rete delle relazioni è antecedente all’individuo in sé. Il bene di ciascuno necessita del bene di tutti. Deve essere anche ribadito che il bene comune non è costituito semplicemente dall’interesse generale, perché questo postula come fondamento l’economia assolutizzata a se stessa e non la società, la comunione umana espressa dalla politica, dall’economia e dalla tecnica. I diritti individuali non possono entrare in collisione con i diritti di tutti in vista del bene comune.
«L’individualismo non ci rende più liberi, più uguali, più fratelli. La mera somma degli interessi individuali non è in grado di generare un mondo migliore per tutta l’umanità. Neppure può preservarci da tanti mali che diventano sempre più globali. Ma l’individualismo radicale è il virus più difficile da sconfiggere. Inganna. Ci fa credere che tutto consiste nel dare briglia sciolta alle proprie ambizioni, come se accumulando ambizioni e sicurezze individuali potessimo costruire il bene comune» (FT 105).
Se accade diversamente, allora si è nel regime della barbarie dominante. E la barbarie è, di fatto, disuguaglianza che impedisce l’attenzione alla vera libertà dell’altro. Non bisogna dimenticare che laddove la disuguaglianza non è risolta essa genera ogni forma variegata di violenza, causata dalla miseria. È la collera dei miseri e dei poveri che non guarda in faccia a nessuno.
«Neppure sto proponendo un universalismo autoritario e astratto, dettato o pianificato da alcuni e presentato come un presunto ideale allo scopo di omogeneizzare, dominare e depredare. C’è un modello di globalizzazione che “mira consapevolmente a un’uniformità unidimensionale e cerca di eliminare tutte le differenze e le tradizioni in una superficiale ricerca di unità. […] Se una globalizzazione pretende di rendere tutti uguali, come se fosse una sfera, questa globalizzazione distrugge la peculiarità di ciascuna persona e di ciascun popolo”. Questo falso sogno universalistico finisce per privare il mondo della varietà dei suoi colori, della sua bellezza e in definitiva della sua umanità. Perché “il futuro non è monocromatico, ma, se ne abbiamo il coraggio, è possibile guardarlo nella varietà e nella diversità degli apporti che ciascuno può dare. Quanto ha bisogno la nostra famiglia umana di imparare a vivere insieme in armonia e pace senza che dobbiamo essere tutti uguali!» (FT 100).
In questa prospettiva, pertanto, è chiesto a tutti un discernimento sapiente delle situazioni al fine di generare amore e speranza, relazioni all’insegna della comunione e non del conflitto, della meraviglia di ogni giorno che inizia. È necessario ricominciare dalla Parola, che è Gesù Cristo il Figlio di Dio, così come è narrato negli evangeli quando incontrava storie di vita affaticate, infondendo speranza e compassione in cuori stanchi e disorientati. L’assiduità con Gesù il Signore e la sua frequentazione rende possibile quella comunione fraterna, che a noi umani molto spesso non è dato di realizzare a causa della nostra durezza e incapacità a perdonare in vista di un rialzarsi per ricominciare. È necessario permettere a Gesù il Signore di guardarci così come siamo, affinché sia lui ad illuminare le nostre vite e a trasformarci come lui vuole. In questo orizzonte la testimonianza del martire Donnino permane in tutta la sua sapiente attualità.
+ Ovidio Vezzoli, vescovo
Fidenza, 9 ottobre 2021