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Dalla Chiesa Italiana

Lunedì 7 ottobre in preghiera per la pace

Il 2 ottobre durante la Messa di apertura dell’Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, Papa Francesco ha annunciato un doppio appuntamento di preghiera per la pace: “per invocare dall’intercessione di Maria Santissima il dono della pace, domenica prossima mi recherò nella Basilica di Santa Maria Maggiore dove reciterò il santo Rosario e rivolgerò alla Vergine un’accorata supplica; se possibile, chiedo anche a voi, membri del Sinodo, di unirvi a me in quell’occasione. E, il giorno dopo, 7 ottobre, chiedo a tutti di vivere una giornata di preghiera e di digiuno per la pace nel mondo”.

La Presidenza della CEI, raccogliendo l’appello del Papa, invita le comunità ad unirsi alla preghiera del Rosario di domenica 6 ottobre e a vivere la giornata di preghiera e di digiuno del 7 ottobre. “Ogni giorno aumentano i pezzi di questa guerra mondiale che si abbatte su diversi popoli e numerosi luoghi, spesso dimenticati. Non dobbiamo stancarci di chiedere che tacciano le armi, di pregare perché l’odio faccia spazio all’amore, la discordia all’unione. È tempo di fermare la follia della guerra: ognuno è chiamato a fare la propria parte, ognuno sia artigiano di pace”, afferma il Card. Matteo Zuppi, Arcivescovo di Bologna e Presidente della CEI. 

L’Ufficio Liturgico Nazionale sta predisponendo dei testi per l’animazione dei due momenti, che saranno resi disponibili sul sito www.chiesacattolica.it.

Anche il vescovo Ovidio Vezzoli accoglie l'invito di Papa Francesco a raccoglierci in preghiera davanti al Signore per invocare senza stancarci il dono della sua pace per le popolazioni del Medio Oriente, dell'Ucraina, del Sudan, del Congo, dell'Etiopia, del Myanmar, e di tante altre terre nelle quali l'umanità è afflitta da guerre e violenze.

"Pertanto invito le comunità cristiane a raccogliersi in preghiera, nella modalità che ciascuno riterrà più opportuna (veglia biblica, adorazione eucaristica, s. rosario meditato, celebrazione del Vespro...) il giorno lunedì 7 ottobre 2024. Da parte mia, invito le parrocchie della città di Fidenza a raccogliersi in preghiera nella Chiesa Cattedrale lunedì 7 ottobre 2024 alle ore 20.30" ha dichiarato.

 

Foto CEI

 

Pastorale giovanile CEI: un sussidio per preparare il Giubileo del 2025

“Pellegrini di Speranza” è il titolo del sussidio messo a disposizione dal Servizio nazionale per la pastorale giovanile (Snpg) della Cei, in vista del Giubileo 2025, per accompagnare, spiega il responsabile don Riccardo Pincerato, “gli incaricati diocesani, gli educatori, gli insegnanti, i responsabili di associazioni, movimenti e istituti di vita maschile e femminile, fornendo strumenti e riflessioni che possano aiutare a far vivere pienamente l’esperienza giubilare”. Si tratta, aggiunge, di “un’occasione unica per approfondire la nostra fede e riscoprire la speranza cristiana”.

Citando la bolla di indizione “Spes non confundit” di Papa Francesco, don Pincerato ricorda che “speranza e fede sono quasi intercambiabili, entrambe centrali per la vita cristiana. La crisi di fede nel mondo moderno è anche crisi di speranza, e questo Giubileo rappresenta un’opportunità unica per rimettere al centro delle nostre vite l’incontro con Dio”.

Tra i temi e parole chiave del sussidio, illustrati dal responsabile del Snpg, si annoverano “coraggio, soglia, riscatto, abito, libertà e responsabilità, coscienza, senso e con-senso, scoperta, promessa, popolo, gioia piena e abbraccio”. Nelle pagine del sussidio sarà possibile trovare anche “un approfondimento sulla storia del Giubileo, alcune proposte di cammini verso Roma, approfondimenti biblici, culturali, laboratoriali attorno alle parole-chiave, alcuni schemi liturgici per vivere al meglio il pellegrinaggio, l’attraversamento della Porta Santa e la riconciliazione”.

Il materiale del sussidio è stato coordinato da Snpg e realizzato in collaborazione con Caritas, Ufficio nazionale per i problemi sociali e il lavoro, Ufficio nazionale per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso, Ufficio liturgico nazionale, Ufficio nazionale per la pastorale delle vocazioni, Ufficio nazionale per la pastorale della famiglia, Ufficio nazionale per l’educazione, la scuola e l’università, Ufficio nazionale per la pastorale del tempo libero, turismo e sport, Fondazione Missio Giovani, Servizio nazionale per la pastorale delle persone con disabilità.

“Il nostro fine ultimo – conclude don Pincerato che firma l’introduzione del sussidio – è accompagnare: accompagnare i pellegrini a sentirsi amati da sempre e per sempre come figli di Dio ed essere al loro fianco nell’esperienza secolare di popolo in cammino. Il sussidio è una parte di questo cammino, è uno strumento che potrebbe aiutare a prepararsi per vivere questa esperienza".

29 settembre: giornata del migrante e del rifugiato

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
PER LA 110ª GIORNATA MONDIALE DEL MIGRANTE E DEL RIFUGIATO 2024

(Domenica, 29 settembre 2024)

Dio cammina con il suo popolo

Cari fratelli e sorelle!

Il 29 ottobre 2023 si è conclusa la prima Sessione della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, che ci ha permesso di approfondire la sinodalità intesa come vocazione originaria della Chiesa. «La sinodalità si presenta principalmente come cammino congiunto del Popolo di Dio e come dialogo fecondo di carismi e ministeri a servizio dell’avvento del Regno» (Relazione di Sintesi, Introduzione).

L’accento posto sulla sua dimensione sinodale permette alla Chiesa di riscoprire la propria natura itinerante, di popolo di Dio in cammino nella storia, peregrinante, diremmo “migrante” verso il Regno dei cieli (cfr Lumen gentium, 49). Viene spontaneo il riferimento alla narrazione biblica dell’Esodo, che presenta il popolo d’Israele in cammino verso la terra promessa: un lungo viaggio dalla schiavitù alla libertà che prefigura quello della Chiesa verso l’incontro finale con il Signore.

Allo stesso modo, è possibile vedere nei migranti del nostro tempo, come in quelli di ogni epoca, un’immagine viva del popolo di Dio in cammino verso la patria eterna. I loro viaggi di speranza ci ricordano che «la nostra cittadinanza infatti è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo» (Fil 3,20).

Le due immagini – quella dell’esodo biblico e quella dei migranti – presentano diverse analogie. Come il popolo d’Israele al tempo di Mosè, i migranti spesso fuggono da situazioni di oppressione e sopruso, di insicurezza e discriminazione, di mancanza di prospettive di sviluppo. Come gli ebrei nel deserto, i migranti trovano molti ostacoli nel loro cammino: sono provati dalla sete e dalla fame; sono sfiniti dalle fatiche e dalle malattie; sono tentati dalla disperazione.

Ma la realtà fondamentale dell’esodo, di ogni esodo, è che Dio precede e accompagna il cammino del suo popolo e di tutti i suoi figli di ogni tempo e luogo. La presenza di Dio in mezzo al popolo è una certezza della storia della salvezza: «Il Signore, tuo Dio, cammina con te; non ti lascerà e non ti abbandonerà» (Dt 31,6). Per il popolo uscito dall’Egitto tale presenza si manifesta in forme diverse: una colonna di nube e di fuoco indica e illumina la via (cfr Es 13,21); la tenda del convegno, che custodisce l’arca dell’alleanza, rende tangibile la vicinanza di Dio (cfr Es 33,7); l’asta con il serpente di bronzo assicura la protezione divina (cfr Nm 21,8-9); la manna e l’acqua (cfr Es 16-17) sono i doni di Dio al popolo affamato e assetato. La tenda è una forma di presenza particolarmente cara al Signore. Durante il regno di Davide, Dio rifiuta di essere rinchiuso in un tempio per continuare ad abitare in una tenda e così poter camminare con il suo popolo, «da una tenda all’altra e da una dimora all’altra» (1 Cr 17,5).

Molti migranti fanno esperienza del Dio compagno di viaggio, guida e ancora di salvezza. A Lui si affidano prima di partire e a Lui ricorrono nelle situazioni di bisogno. In Lui cercano consolazione nei momenti di sconforto. Grazie a Lui, ci sono buoni samaritani lungo la via. A Lui, nella preghiera, confidano le loro speranze. Quante bibbie, vangeli, libri di preghiere e rosari accompagnano i migranti nei loro viaggi attraverso i deserti, i fiumi e i mari e i confini di ogni continente!

Dio non solo cammina con il suo popolo, ma anche nel suo popolo, nel senso che si identifica con gli uomini e le donne in cammino attraverso la storia – in particolare con gli ultimi, i poveri, gli emarginati –, come prolungando il mistero dell’Incarnazione.

Per questo, l’incontro con il migrante, come con ogni fratello e sorella che è nel bisogno, «è anche incontro con Cristo. Ce l’ha detto Lui stesso. È Lui che bussa alla nostra porta affamato, assetato, forestiero, nudo, malato, carcerato, chiedendo di essere incontrato e assistito» (Omelia nella Messa con i partecipanti all’Incontro “Liberi dalla paura”, Sacrofano, 15 febbraio 2019). Il giudizio finale narrato da Matteo al capitolo 25 del suo Vangelo non lascia dubbi: «ero straniero e mi avete accolto» (v. 35); e ancora «in verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (v. 40). Allora ogni incontro, lungo il cammino, rappresenta un’occasione per incontrare il Signore; ed è un’occasione carica di salvezza, perché nella sorella o nel fratello bisognoso del nostro aiuto è presente Gesù. In questo senso, i poveri ci salvano, perché ci permettono di incontrare il volto del Signore (cfr Messaggio per la III Giornata Mondiale dei Poveri, 17 novembre 2019).

Cari fratelli e sorelle, in questa Giornata dedicata ai migranti e ai rifugiati, uniamoci in preghiera per tutti coloro che hanno dovuto abbandonare la loro terra in cerca di condizioni di vita degne. Sentiamoci in cammino insieme a loro, facciamo “sinodo” insieme, e affidiamoli tutti,  come pure la prossima Assemblea sinodale, «all’intercessione della Beata Vergine Maria, segno di sicura speranza e di consolazione nel cammino del Popolo fedele di Dio» (Relazione di Sintesi, Per proseguire il cammino).

 

Preghiera

Dio, Padre onnipotente,
noi siamo la tua Chiesa pellegrina
in cammino verso il Regno dei Cieli.
Abitiamo ognuno nella sua patria,
ma come fossimo stranieri.
Ogni regione straniera è la nostra patria,
eppure ogni patria per noi è terra straniera.
Viviamo sulla terra,
ma abbiamo la nostra cittadinanza in cielo.
Non permettere che diventiamo padroni
di quella porzione del mondo
che ci hai donato come dimora temporanea.
Aiutaci a non smettere mai di camminare,
assieme ai nostri fratelli e sorelle migranti,
verso la dimora eterna che tu ci hai preparato.
Apri i nostri occhi e il nostro cuore
affinché ogni incontro con chi è nel bisogno,
diventi un incontro con Gesù, tuo Figlio e nostro Signore.

Amen

59ª Giornata mondiale delle comunicazioni sociali: “Condividete con mitezza la speranza che sta nei vostri cuori

“La scelta segnala l’urgenza: lo stile della comunicazione non può prescindere dalla virtù della mitezza. In un tempo segnato da logiche conflittuali e divisive, non si può perdere l’obiettivo di fondo che rimane quello di mettere in comune, generando comunione e condivisione. Sostanzialmente andando controcorrente rispetto agli schemi oggi in voga. Mitezza, infatti, fa rima con misericordia, dolcezza, fraternità: questi non sono valori che sempre sembrano ispirare l’opinione pubblica”. È il commento di Vincenzo Corrado, direttore dell’Ufficio nazionale della Cei per le comunicazioni sociali, al tema della 59ª Giornata mondiale delle comunicazioni sociali “Condividete con mitezza la speranza che sta nei vostri cuori (cf. 1Pt 3,15-16)”. Per Corrado, “il cammino verso il Giubileo 2025 chiede di riscoprire le motivazioni di una comunicazione diversa, davvero al servizio di tutti”: “C’è una grammatica comune, un alfabeto di base cui ogni comunicatore – ciascuno in base alla sua responsabilità – deve attingere per infondere fiducia, per far capire che un mondo diverso è possibile. La speranza impegna ed esige. Un principio della comunicazione recita: non si è buon comunicatore se non si è prima un buon ascoltatore. Lo stesso vale per la speranza: non la si trasmette se non la si vive. La mitezza è la fiducia profonda che può ancora offrire ragioni serie per la speranza, quella di cui i cristiani devono sempre rendere ragione. È questo un impegno inderogabile: è in gioco il futuro della nostra storia”.

Il 15 settembre la Giornata Nazionale di sensibilizzazione per il sostentamento del clero

Domenica 15 settembre 2024

XXXVI Giornata Nazionale di sensibilizzazione per il sostentamento del clero

 

I sacerdoti sono un dono di cui spesso non siamo consapevoli.

Annunciatori del Vangelo in parole ed opere nell’Italia di oggi, uomini del dono e del perdono, costruttori di relazioni, attivi al fianco delle famiglie in difficoltà, degli anziani e dei giovani in cerca di occupazione. I sacerdoti offrono il loro tempo, sostengono le persone sole, accolgono i nuovi poveri, progettano reti solidali offrendo riposte concrete. Si affidano alla generosità delle comunità per essere liberi di servire tutti e svolgere il proprio ministero a tempo pieno.  

La Giornata Nazionale di sensibilizzazione per il sostentamento del clero, giunta quest’anno alla XXXVI edizione, richiama l’attenzione sull’importanza della missione dei sacerdoti, sulla bellezza del loro servizio e sulla corresponsabilità.

“La Giornata Nazionale - spiega il responsabile del Servizio Promozione per il Sostegno Economico alla Chiesa cattolica, Massimo Monzio Compagnoni - è una domenica in cui tutti noi praticanti esprimiamo la nostra gratitudine per il dono di sé che i nostri sacerdoti ci fanno ogni giorno, testimoni del Vangelo di Gesù, punti di riferimento nelle comunità, uomini di fede, speranza e prossimità. È un nostro dovere ed è necessario un impegno collettivo per sostenerli nella loro missione, ... anche economicamente”.

“I sacerdoti aggiunge Monzio Compagnoni – sono chiamati a spendersi interamente per le comunità loro affidate, e lo fanno ogni giorno in modo silenzioso e bellissimo. Per noi fedeli l’unico onere è quello di prenderci cura di loro e permettere loro di poter svolgere la propria missione sostenendoli anche economicamente. Le offerte deducibili sono lo strumento per garantire il loro sostentamento e la testimonianza della propria corresponsabilità alla vita della Chiesa. Basta un’offerta una volta l’anno, anche piccola, per essere veramente parte di questa famiglia”.

Nonostante siano state istituite 40 anni fa, a seguito della revisione concordataria le offerte deducibili costituiscono un argomento ancora poco compreso dai fedeli che ritengono sufficiente l’obolo domenicale; in molte parrocchie, però, questo non basta a garantire al parroco il necessario per il proprio fabbisogno.

Nate come strumento per dare alle comunità più piccole gli stessi mezzi di quelle più popolose, le offerte per i sacerdoti sono diverse da tutte le altre forme di contributo a favore della Chiesa cattolica in quanto espressamente destinate al sostentamento dei preti al servizio delle 226 diocesi italiane; tra questi figurano anche 300 preti diocesani impegnati in missioni nei Paesi in via di sviluppo e 2.552 sacerdoti ormai anziani o malati, dopo una vita spesa al servizio degli altri e del Vangelo. L’importo complessivo delle offerte nel 2023 si è attestato appena sotto gli 8,4 milioni di euro in linea con il 2022. È una cifra ancora molto lontana dal fabbisogno complessivo annuo, che ammonta a 516,7 milioni di euro lordi, necessario a garantire ai circa 32.000 sacerdoti una remunerazione intorno ai mille euro mensili per 12 mesi.

 

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Giornata mondiale dei nonni e degli anziani: il messaggio di Papa Francesco

 Pubblichiamo di seguito il messaggio di Papa Francesco in occasione della IV Giornata mondiale dei nonni e degli anziani che si terrà domenica 28 luglio 2024.
 

“Nella vecchiaia non abbandonarmi” (cfr. Sal 71,9)
 

Cari fratelli e sorelle!

Dio non abbandona i suoi figli, mai. Nemmeno quando l’età avanza e le forze declinano, quando i capelli imbiancano e il ruolo sociale viene meno, quando la vita diventa meno produttiva e rischia di sembrare inutile. Egli non guarda le apparenze (cfr 1 Sam 16,7) e non disdegna di scegliere coloro che a molti appaiono irrilevanti. Non scarta alcuna pietra, anzi, le più “vecchie” sono la base sicura sulla quale le pietre “nuove” possono appoggiarsi per costruire tutte insieme l’edificio spirituale (cfr 1 Pt 2,5).

La Sacra Scrittura, tutta intera, è una narrazione dell’amore fedele del Signore, dalla quale emerge una consolante certezza: Dio continua a mostrarci la sua misericordia, sempre, in ogni fase della vita, e in qualsiasi condizione ci troviamo, anche nei nostri tradimenti. I salmi sono colmi della meraviglia del cuore umano di fronte a Dio che si prende cura di noi, nonostante la nostra pochezza (cfr Sal 144,3-4); ci assicurano che Dio ha tessuto ognuno di noi fin dal seno materno (cfr Sal 139,13) e che nemmeno negli inferi abbandonerà la nostra vita (cfr Sal 16,10). Dunque, possiamo essere certi che ci starà vicino anche nella vecchiaia, tanto più perché nella Bibbia invecchiare è segno di benedizione.

Eppure, nei salmi troviamo anche quest’accorata invocazione al Signore: «Non gettarmi via nel tempo della vecchiaia» (Sal 71,9). Un’espressione forte, molto cruda. Fa pensare alla sofferenza estrema di Gesù che sulla croce gridò: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mt 27,46).

Nella Bibbia, dunque, troviamo la certezza della vicinanza di Dio in ogni stagione della vita e, al tempo stesso, il timore dell’abbandono, particolarmente nella vecchiaia e nel momento del dolore. Non si tratta di una contraddizione. Guardandoci attorno, non facciamo fatica a verificare come tali espressioni rispecchino una realtà più che evidente. Troppo spesso la solitudine è l’amara compagna della vita di noi, anziani e nonni. Tante volte, da vescovo di Buenos Aires, mi è capitato di visitare case di riposo e di rendermi conto di quanto raramente quelle persone ricevessero visite: alcune non vedevano i loro cari da molti mesi.

Sono tante le cause di questa solitudine: in molti Paesi, soprattutto i più poveri, gli anziani si ritrovano soli perché i figli sono costretti a emigrare. Oppure, penso alle numerose situazioni di conflitto: quanti anziani rimangono soli perché gli uomini – giovani e adulti – sono chiamati a combattere e le donne, soprattutto le mamme con bambini piccoli, lasciano il Paese per dare sicurezza ai figli. Nelle città e nei villaggi devastati dalla guerra rimangono tanti vecchi e anziani soli, unici segni di vita in zone dove sembrano regnare l’abbandono e la morte. In altre parti del mondo, poi, esiste una falsa convinzione, molto radicata in alcune culture locali, che genera ostilità nei confronti degli anziani, sospettati di fare ricorso alla stregoneria per togliere energie vitali ai giovani; così che, in caso di morte prematura o di malattia o di sorte avversa che colpiscono un giovane, la colpa viene fatta ricadere su qualche anziano. Questa mentalità va combattuta ed estirpata. È uno di quegli infondati pregiudizi, dai quali la fede cristiana ci ha liberato, che alimenta una persistente conflittualità generazionale fra giovani e anziani.

Se ci pensiamo bene, quest’accusa rivolta ai vecchi di “rubare il futuro ai giovani” è molto presente oggi ovunque. Essa si riscontra, sotto altre forme, anche nelle società più avanzate e moderne. Ad esempio, si è ormai diffusa la convinzione che gli anziani fanno pesare sui giovani il costo dell’assistenza di cui hanno bisogno, e in questo modo sottraggono risorse allo sviluppo del Paese e dunque ai giovani. Si tratta di una percezione distorta della realtà. È come se la sopravvivenza degli anziani mettesse a rischio quella dei giovani. Come se per favorire i giovani fosse necessario trascurare gli anziani o addirittura sopprimerli. La contrapposizione tra le generazioni è un inganno ed è un frutto avvelenato della cultura dello scontro. Mettere i giovani contro gli anziani è una manipolazione inaccettabile: «È in gioco l’unità delle età della vita: ossia, il reale punto di riferimento per la comprensione e l’apprezzamento della vita umana nella sua interezza» (Catechesi 23 febbraio 2022).

Il salmo citato in precedenza – dove si supplica di non essere abbandonati nella vecchiaia – parla di una congiura che si stringe attorno alla vita degli anziani. Sembrano parole eccessive, ma le si comprende se si considera che la solitudine e lo scarto degli anziani non sono casuali né ineluttabili, bensì frutto di scelte – politiche, economiche, sociali e personali – che non riconoscono la dignità infinita di ogni persona «al di là di ogni circostanza e in qualunque stato o situazione si trovi» (Dich. Dignitas infinita, 1). Ciò avviene quando si smarrisce il valore di ciascuno e le persone diventano solo un costo, in alcuni casi troppo elevato da pagare. Ciò che è peggio è che, spesso, gli anziani stessi finiscono per essere succubi di questa mentalità e giungono a considerarsi come un peso, desiderando essi stessi per primi di farsi da parte.

D’altro canto, oggi sono molte le donne e gli uomini che cercano la propria realizzazione personale in un’esistenza il più possibile autonoma e slegata dagli altri. Le appartenenze comuni sono in crisi e si affermano le individualità; il passaggio dal “noi” all’“io” appare uno dei più evidenti segni dei nostri tempi. La famiglia, che è la prima e più radicale contestazione dell’idea che ci si possa salvare da soli, è una delle vittime di questa cultura individualista. Quando si invecchia, però, a mano a mano che le forze declinano, il miraggio dell’individualismo, l’illusione di non aver bisogno di nessuno e di poter vivere senza legami si rivela per quello che è; ci si trova invece ad aver bisogno di tutto, ma oramai soli, senza più aiuto, senza qualcuno su cui poter fare affidamento. È una triste scoperta che molti fanno quando è troppo tardi.

La solitudine e lo scarto sono diventati elementi ricorrenti nel contesto in cui siamo immersi. Essi hanno radici molteplici: in alcuni casi sono il frutto di una esclusione programmata, una sorta di triste “congiura sociale”; in altri casi si tratta purtroppo di una decisione propria. Altre volte ancora si subiscono fingendo che si tratti di una scelta autonoma. Sempre di più «abbiamo perso il gusto della fraternità» (Lett. enc. Fratelli tutti, 33) e facciamo fatica anche solo a immaginare qualcosa di differente.

Possiamo notare in molti anziani quel sentimento di rassegnazione di cui parla il libro di Rut quando narra della vecchia Noemi che, dopo la morte del marito e dei figli, invita le due nuore, Orpa e Rut, a far ritorno al loro paese di origine e alla loro casa (cfr Rut 1,8). Noemi – come tanti anziani di oggi – teme di rimanere da sola, eppure non riesce a immaginare qualcosa di diverso. Da vedova, è consapevole di valere poco agli occhi della società ed è convinta di essere un peso per quelle due giovani che, al contrario di lei, hanno tutta la vita davanti. Per questo pensa che sia meglio farsi da parte e lei stessa invita le giovani nuore a lasciarla e a costruire il loro futuro in altri luoghi (cfr Rut 1,11-13). Le sue parole sono un concentrato di convenzioni sociali e religiose che sembrano immutabili e che segnano il suo destino.

Il racconto biblico ci presenta a questo punto due diverse opzioni di fronte all’invito di Noemi e dunque di fronte alla vecchiaia. Una delle due nuore, Orpa, che pure vuol bene a Noemi, con un gesto affettuoso la bacia, ma accetta quella che anche a lei sembra l’unica soluzione possibile e se ne va per la sua strada. Rut, invece, non si stacca da Noemi e le rivolge parole sorprendenti: «Non insistere con me che ti abbandoni» (Rut 1,16). Non ha paura di sfidare le consuetudini e il sentire comune, sente che quell’anziana donna ha bisogno di lei e, con coraggio, le rimane accanto in quello che sarà l’inizio di un nuovo viaggio per entrambe. A tutti noi – assuefatti all’idea che la solitudine sia un destino ineluttabile – Rut insegna che all’invocazione “non abbandonarmi!” è possibile rispondere “non ti abbandonerò!”. Non esita a sovvertire quella che sembra una realtà immutabile: vivere da soli non può essere l’unica alternativa! Non a caso Rut – colei che rimane vicina all’anziana Noemi – è un’antenata del Messia (cfr Mt 1,5), di Gesù, l’Emmanuele, Colui che è il “Dio con noi”, Colui che porta la vicinanza e la prossimità di Dio a tutti gli uomini, di tutte le condizioni, di tutte le età.

La libertà e il coraggio di Rut ci invitano a percorrere una strada nuova: seguiamo i suoi passi, mettiamoci in viaggio con questa giovane donna straniera e con l’anziana Noemi, non abbiamo paura di cambiare le nostre abitudini e di immaginare un futuro diverso per i nostri anziani. La nostra gratitudine va a tutte quelle persone che, pur con tanti sacrifici, hanno seguito di fatto l’esempio di Rut e si stanno prendendo cura di un anziano o semplicemente mostrano quotidianamente la loro vicinanza a parenti o conoscenti che non hanno più nessuno. Rut ha scelto di stare vicina a Noemi ed è stata benedetta: con un matrimonio felice, una discendenza, una terra. Questo vale sempre e per tutti: stando vicino agli anziani, riconoscendo il ruolo insostituibile che essi hanno nella famiglia, nella società e nella Chiesa, riceveremo anche noi tanti doni, tante grazie, tante benedizioni!

In questa IV Giornata Mondiale dedicata a loro, non facciamo mancare la nostra tenerezza ai nonni e agli anziani delle nostre famiglie, visitiamo coloro che sono sfiduciati e non sperano più che un futuro diverso sia possibile. All’atteggiamento egoistico che porta allo scarto e alla solitudine contrapponiamo il cuore aperto e il volto lieto di chi ha il coraggio di dire “non ti abbandonerò!” e di intraprendere un cammino differente.

A tutti voi, carissimi nonni e anziani, e a quanti vi sono vicini giunga la mia benedizione accompagnata dalla preghiera. Anche voi, per favore, non dimenticatevi di pregare per me.

Roma, San Giovanni in Laterano, 25 aprile 2024.
 

 FRANCESCO

Foto: Vatican Media/SIR

Riunione della Consulta per i beni culturali di interesse religioso dopo il sisma del 2016

È tornata a riunirsi il 23 luglio scorso la Consulta per i beni culturali di interesse religioso (sisma 2016). All’incontro, che si è tenuto presso la sede della CEI di Circonvallazione Aurelia 50, hanno partecipato il Segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana, mons. Giuseppe Baturi, il Commissario straordinario del Governo per la riparazione e la ricostruzione dei territori interessati dal sisma 2016, sen. Guido Castelli, il Soprintendente speciale per le aree colpite dal sisma del 24 agosto 2016 (Mic), dott.ssa Claudia Cenci, i Vescovi o loro rappresentanti di 19 Diocesi interessate dal terremoto e fr. Francesco Piloni, ministro della Provincia dei Frati Minori dell’Umbria.


“Ci ritroviamo insieme, ad un anno di distanza, attorno allo stesso tavolo, per fare il punto sulla situazione attuale e individuare prospettive di futuro per i nostri territori: alla gratitudine per la disponibilità all’ascolto e al confronto, in un clima di collaborazione e fiducia, si aggiunge la consapevolezza di dover continuare a impegnarci per dare risposte concrete alle comunità che ancora mostrano le ferite del sisma”, afferma il Segretario generale della CEI.

“Ringrazio la Consulta e monsignor Baturi, in particolare, per questa nuova, utile, occasione di confronto e aggiornamento avvenuta in un clima collaborativo. Lo spirito costruttivo che muove tutti noi per restituire i luoghi di culto presenti nell’Appennino centrale alla comunità dei fedeli sta producendo risultati positivi, che spingono a proseguire e insistere. Rispetto ai 1.251 interventi complessivi previsti, infatti, è stato avviato il 90% delle opere. Inoltre, il 56% delle 165 conferenze permanenti dei servizi dedicate ai luoghi di culto è avvenuto negli ultimi 12 mesi. Segnali che confermano come il cambio di passo impresso alla ricostruzione cominci a far sentire i suoi effetti in modo sensibile”, sottolinea il commissario Castelli.


Composta dalla Conferenza Episcopale Italiana, dai Vescovi delle Diocesi colpite dal terremoto del 2016, dal Commissario straordinario del Governo e dal Ministero della Cultura, la Consulta rappresenta uno strumento di confronto per affrontare e risolvere congiuntamente le questioni relative alla ricostruzione dei beni culturali di interesse religioso.


Gli interventi ancora da avviare sono scesi al 10,6%, mentre sono aumentati, rispetto allo stesso periodo del 2023, gli interventi in corso raggiungendo quasi il 10%. I progetti approvati relativi agli interventi previsti per gli edifici di culto sono prossimi alla metà (46%); quelli conclusi rappresentano oltre il 13% del totale.

 

Foto: CEI

Sussidio cinematografico per valorizzare l’impegno dei sacerdoti sul territorio

“Un Sussidio pastorale preparato dalla Commissione Film della CEI insieme al Servizio per la promozione del sostegno economico alla Chiesa cattolica, in collaborazione con Acec-SdC e Fondazione Ente dello Spettacolo (FEdS), che intende sostenere l’itinerario interiore che porta dallo schermo alla realtà con l’obiettivo di narrare l’impegno pastorale dei sacerdoti sul territorio, nella dimensione comunitaria. Un racconto da una prospettiva di osservazione originale, di respiro culturale, mediante lo sguardo del cinema”. Sono le parole di Vincenzo Corrado, direttore dell’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali, che introducono il dossier "Sacerdoti tra schermo e realtà", una proposta cinematografica a carattere culturale e pastorale pensata per il territorio, per promuovere una riflessione di senso sulla presenza e il ruolo dei sacerdoti nelle comunità.
Quattro i titoli portanti, giocati tra realtà e finzione: Come un gatto in tangenziale. Ritorno a Coccia di Morto (2021) di Riccardo Milani; Se Dio vuole (2015) di Edoardo Falcone; Io loro e Lara (2010) di Carlo Verdone; Alla luce del sole (2005) di Roberto Faenza, nel ricordo della testimonianza e del sacrificio del beato Pino Puglisi, martire della Chiesa.
Accanto a queste tracce, alcuni focus di approfondimento che recuperano sguardi e guadagni consegnati alla storia del cinema, come il contributo dedicato a Roma città aperta (1945) di Roberto Rossellini e a La messa è finita (1985) di Nanni Moretti, in occasione di due importanti anniversari: gli ottant’anni del manifesto del neorealismo italiano e i quaranta dell’opera di Moretti.
L’opuscolo, a cura di Sergio Perugini, Eliana Ariola e Massimo Giraldi, con note introduttive di Massimo Monzio Compagnoni e don Enrico Garbuio, rispettivamente responsabile e collaboratore del Servizio per la promozione del sostegno economico alla Chiesa cattolica, è arricchito dai contributi di mons. Davide Milani, presidente FEdS, e di don Gianluca Bernardini, presidente Acec.
“Ci troviamo così di fronte – sottolinea Corrado – a preti nati dalla penna di brillanti sceneggiatori oppure caratterizzati da trascinanti attori, come pure a figure che prendono le mosse da veri testimoni del Vangelo che presidiano le periferie della società. Un modo per richiamare l’attenzione sul valore e sull’impegno costante che i sacerdoti mettono in campo nella vita di tutti giorni, affrontando numerose sfide per e con la comunità”. Un’occasione, conclude il direttore dell’Ufficio CEI, dove gli “sguardi cinematografici si raccordano alle tante storie di cui dà sistematicamente conto il Servizio per la promozione del sostegno economico alla Chiesa cattolica”.

Link al sussidio: https://comunicazionisociali.chiesacattolica.it/wp-content/uploads/sites/4/2024/07/10/Sussidio_Sacerdoti_Schermo_Realta_Cnvf_ServizioSE_CEI.pdf

Report statistico 2024 sulla povertà in Italia

Cresce il numero delle persone accompagnate e aiutate dalle Caritas diocesane. Quelli presentati da Caritas Italiana non sono solo “numeri”, sono soprattutto 269.689 “volti” di poveri, che a loro volta rappresentano altrettante famiglie, dato che la presa in carico risponde sempre alle esigenze dell’interno il nucleo familiare.
Il Report statistico nazionale 2024 di Caritas Italiana sulla povertà in Italia, presentato il 19 giugno a Roma, valorizza le informazioni provenienti da 3.124 Centri di ascolto e servizi delle Caritas diocesane, dislocati in 206 diocesi in tutte le regioni italiane. Si tratta peraltro solo di quelli già in rete con la raccolta dati, dal momento che i servizi e le opere sui territori sono in realtà molti di più. Ne emerge una fotografia drammatica che chiama all’impegno di tutti. «Questo secondo Report statistico si colloca in un tempo particolare, segnato da vicende che toccano le nostre comunità. Da un lato le crisi internazionali che condizionano pesantemente i rapporti tra i Paesi e lo sviluppo di percorsi di pace, dall’altro l’incessante aumento della povertà e la forte incidenza di situazioni di rischio e vulnerabilità. Di fronte a questi scenari la Chiesa continua a sognare e ad affermare un umanesimo autentico, secondo cui ogni essere umano possa realizzarsi pienamente, vivendo in un mondo più giusto e dignitoso», sottolinea il direttore di Caritas Italiana, don Marco Pagniello.

Dal Report risulta che nel 2023 cala la quota dei nuovi poveri ascoltati, che passa dal 45,3% al 41,0%.
Crescono invece le persone con povertà “intermittenti” e croniche, riguardanti in particolare quei nuclei che oscillano tra il “dentro-fuori” la condizione di bisogno o che permangono da lungo tempo in condizione di vulnerabilità: una persona su quattro è infatti accompagnata da una Caritas diocesana da 5 anni e più. Sembra quindi mantenersi uno zoccolo duro di povertà che si trascina di anno in anno senza particolari scossoni e che è dovuto a più fattori; il 55,4% dei beneficiari nel 2023 ha manifestato contemporaneamente due o più ambiti di bisogno.

Chi si rivolge alla Caritas? Si tratta di donne (51,5%) e uomini (48,5%), con un’età media che si attesta sui 47,2 anni (46 nel 2022). Cala l’incidenza delle persone straniere che si attesta sul 57,0% (dal 59,6%). Alta invece l’incidenza delle persone con figli: due persone su tre (66,2%) dichiarano di essere genitori. Oltre i due terzi delle persone in povertà, secondo i dati dei Centri di ascolto Caritas consultati, hanno livelli di istruzione bassi o molto bassi (67,3%), condizione che si unisce a una cronica fragilità occupazionale, in termini di disoccupazione (48,1%) e di “lavoro povero” (23%). Non è dunque solo la mancanza di un lavoro che spinge a chiedere aiuto: di fatto quasi un beneficiario su quattro è un lavoratore povero. Inoltre la percentuale dei percettori del Reddito di Cittadinanza, la misura di contrasto alla povertà sostituita oggi dall’Assegno di Inclusione, si attesta al 15,9%, dato in calo rispetto al 2022 e soprattutto al 2021: allora i beneficiari corrispondevano rispettivamente al 19,0% e al 22,3%.
In termini di risposte, le azioni della rete Caritas sono state numerose e diversificate. Complessivamente sono stati erogati oltre 3,5 milioni di interventi, una media di 13 interventi per ciascuna persona assistita (considerate anche le prestazioni di ascolto). In particolare: il 73,7% ha riguardato l’erogazione di beni e servizi materiali (distribuzione di viveri, accesso alle mense/empori, docce, ecc.); l’8,9% gli interventi di accoglienza, a lungo o breve termine; il 7,3% le attività di ascolto, semplice o con discernimento; il 5,2% il sostegno socio-assistenziale; l’1,7% interventi sanitari.

Il Report contiene anche tre focus tematici che analizzano nello specifico la povertà delle famiglie con bambini, indagine condotta in collaborazione con Save the Children, la condizione delle persone senza dimora e di quelle in solitudine, in particolare gli anziani.«È compito statutario di Caritas Italiana – ricorda il presidente di Caritas Italiana, mons. Carlo Roberto Maria Redaelli – realizzare studi e ricerche sui bisogni delle persone, per aiutare a scoprirne le cause, per preparare piani di intervento, soprattutto in un’ottica di prevenzione. Questo è l’intento del Report che presentiamo. Una raccolta di dati che è stata realizzata grazie all’impegno degli operatori e dei volontari dei nostri Centri di ascolto e con la collaborazione delle persone in stato di bisogno che ci hanno consegnato la loro situazione. Studi e ricerche sono da condurre in collaborazione con altri e nel quadro di una programmazione pastorale unitaria, per animare le nostre comunità e per stimolare l’azione delle istituzioni civili a un’adeguata legislazione. La Caritas tiene molto, accanto ai bisogni, a evidenziare le risorse. Questo Report va letto insieme alle nostre ultime pubblicazioni che raccontano la ricchezza del volontariato, in particolare quello dei giovani».

Il Report statistico nazionale 2024 di Caritas Italiana è disponibile su www.caritas.it.

Domenica 30 giugno si celebra la Giornata per la Carità del Papa

Domenica 30 giugno, il giorno dopo la solennità dei santi Pietro e Paolo, la Chiesa in Italia celebra la Giornata per la Carità del Papa. Si tratta di un appuntamento tradizionale che, attraverso le offerte raccolte durante le Celebrazioni Eucaristiche, permette di sostenere Papa Francesco nel suo intervento generoso nelle situazioni di bisogno, personali e comunitarie.
“L’immagine della Chiesa ‘ospedale da campo’ resta sempre impressa nella nostra mente e nei nostri cuori, chiedendo di essere concretizzata. Questo, ancora una volta, ci stimola a fare la nostra parte per raggiungere i più bisognosi, anche grazie alla carità del Papa”, scrive Mons. Giuseppe Baturi, Arcivescovo di Cagliari e Segretario Generale della CEI, in una lettera inviata a tutte le parrocchie italiane insieme ad Avvenire e alla locandina dell’evento.
“La raccolta – aggiunge Mons. Baturi – si apre anche alla creatività delle nostre comunità immaginando occasioni e momenti di incontro per sensibilizzare i parrocchiani e le persone che guardano alla Chiesa con rispetto e interesse”. La Giornata, sottolinea il Segretario Generale della CEI, diventa così un modo per portare “lontano la chiamata del Papa alla speranza”. Soprattutto in un momento in cui “sentiamo il bisogno di rivolgerci a Dio implorando il dono della pace, accogliendo nel nostro cuore il dolore inaudito dei popoli che patiscono nella loro quotidianità lo scempio di operazioni belliche di incomprensibile violenza”.
Il Pontefice, spiega Mons. Baturi, “ci educa a non perdere mai la speranza, l’irrinunciabile materia prima di cui tutta l’umanità oggi ha più che mai bisogno, e per molteplici ragioni: dall’attesa di futuro dei giovani al loro sogno frustrato di generare nuova vita, dagli anziani sempre più soli e scartati alle famiglie povere che chiedono condizioni dignitose”. “La Chiesa – conclude – si muove nella storia come una comunità spirituale, che non vuole sottrarsi alle sfide del suo tempo”.

Il Card. Zuppi consegna 80 ventilatori alla Casa Circondariale femminile di Rebibbia

Un piccolo gesto di solidarietà per rinnovare la forte vicinanza della Chiesa in Italia ai detenuti, specialmente quelli più fragili: nel mese di giugno saranno distribuiti 2000 ventilatori a 30 Istituti Penitenziari presenti sul territorio nazionale, nell’ambito del progetto “Semi di tarassaco volano nell’aria”, coordinato dal Servizio per la promozione del sostegno economico alla Chiesa cattolica e dall’Ispettorato Generale dei cappellani delle carceri, con il supporto della Presidenza della CEI.
È stato il Card. Matteo Zuppi a dare il via all’iniziativa il 12 giugno, consegnando 80 ventilatori alla Direzione della Casa Circondariale femminile di Rebibbia a Roma. “È la carezza di una madre che vi sta vicino”, ha affermato rivolgendosi alle detenute. Si tratta, ha aggiunto, di “un piccolo gesto, ma l’amore è nelle cose semplici. Le attenzioni le ritroviamo nelle buone parole, nell’ascolto paziente; altre volte in gesti grandi o piccoli, come questo”. Facendo riferimento al titolo del progetto, ha sottolineato che “come i fiori del tarassaco, i soffioni, volano dappertutto, così l’affetto della Chiesa arriva in carcere, portando un po’ di sollievo. Talvolta, infatti, un semplice e lieve soffio d’aria può aiutare a vivere meglio il periodo di detenzione”.
“Un dono simbolico che dice l’attenzione per questa nostra comunità, dove si tocca con mano la povertà”, ha detto Nadia Fontana, Direttrice della Casa Circondariale, che ha espresso “gratitudine alla Conferenza Episcopale Italiana, ai cappellani, ai volontari che sempre, con spirito di carità, ci sostengono, senza pretendere nulla in cambio, facendoci sperimentare un conforto materiale e spirituale costanti”.
Con “Semi di tarassaco volano nell’aria”, la Chiesa in Italia, con i cappellani e gli operatori pastorali che svolgono la loro delicata missione all’interno delle carceri, vuole a sua volta dire “grazie” a chi lavora nel sistema penitenziario e la sua prossimità a tutte le persone che stanno scontando la pena all’interno degli Istituti.

Foto CEI

Dal 7 giugno nelle librerie un volume su “Intelligenza artificiale e sapienza del cuore”

Uscirà il 7 giugno nelle librerie e nei principali store “Intelligenza artificiale e sapienza del cuore”, uno dei primi volumi che affrontano il tema da diversi punti di vista, da quello etica a quello filosofico, fino a quello educativo e giuridico, senza dimenticare le implicazioni negli ambiti della scuola, del giornalismo, dell’arte e del cinema o l’impatto concreto sull’opinione pubblica e sulle relazioni intergenerazionali. È proprio la ricchezza dei contributi a rendere il testo un unicum nel panorama editoriale.
Promosso dall’Ufficio Nazionale per le comunicazioni sociali insieme al CREMIT ed edito da Scholé-Morcelliana, il libro raccoglie e rilancia la riflessione di Papa Francesco contenuta nel Messaggio per la 58ª Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, con l’obiettivo di favorire la conoscenza e la consapevolezza degli sviluppi in atto.

“Non si tratta di immaginare una realtà potenziale quanto piuttosto di fare i conti con un presente che ha in sé, fin d’ora, i germi del futuro”, sottolineano nell’Introduzione i curatori Vincenzo Corrado, direttore dell’Ufficio CEI, e Stefano Pasta del CREMIT. Ecco allora, davanti “agli interrogativi a cui non sappiamo dare risposta, la necessità di non cedere a un entusiasmo acritico né a uno sterile disfattismo, ma di impegnarsi per conoscere e orientare il cambiamento”. Il tutto, evidenziano i curatori, tenendo presente che, “al di là delle soluzioni infinite e immediate che i sistemi di intelligenza artificiale possono offrire, l’essere umano ha un quid che lo rende sempre unico e irripetibile. Quel ‘cuore’ che, forse, l’IA può aiutare a riscoprire, a rivitalizzare, a rendere di nuovo inquieto, cioè capace, come diceva Rilke, di «vivere fino al lontano giorno in cui avrai la risposta»”.


Il testo, che intende anche accompagnare la partecipazione di Papa Francesco alla sessione del G7 sull’intelligenza artificiale, propone i commenti a Messaggio del Papa a firma di Paolo Benanti, Stefania Careddu, Alessandra Carenzio, Sabino Chialà, Andrea Ciucci, Vincenzo Corrado, Nello Cristianini, Claudia D’Ippolito, Adriano Fabris, Luciano Floridi, Antonella Marchetti, Dermot Moran, Ivana Pais, Stefano Pasta, Sergio Perugini, Luca Maria Scarantino, Paolo Ruffini, Giovanni Ziccardi.

Il Vademecum per le Comunità Energetiche Rinnovabili

Si è svolta il 22 maggio scorso presso la sede della CEI di Circonvallazione Aurelia 50 a Roma, la presentazione istituzionale del Vademecum per le Comunità Energetiche Rinnovabili (CER), preparato dal Tavolo Tecnico sulle Comunità Energetiche Rinnovabili della Segreteria Generale.
Nel porgere il suo saluto, il card. Matteo Zuppi, Arcivescovo di Bologna e Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, ha espresso il ringraziamento della CEI al Prof. Dott. Gilberto Pichetto Fratin, Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, all’Ing. Paolo Arrigoni, Presidente del Gestore dei Servizi Energetici, e all’Avv. Vinicio Mosè Vigilante, Amministratore Delegato del GSE, per “il lavoro condiviso nella stesura di questo documento che segna una tappa fondamentale per le nostre comunità e per la salvaguardia della nostra Casa comune”.
“Non può esistere un autentico sviluppo economico senza garantirne la sostenibilità nel lungo periodo, inclusa la dimensione ambientale. Al contempo, le preoccupazioni ambientali non possono e non devono tradursi in una nuova forma di marginalizzazione dei poveri e degli ultimi”, ha affermato il Card. Zuppi, sottolineando che, “come uomini e cristiani, siamo chiamati ad amministrare in maniera responsabile i beni del Creato”.
In quest’ottica, le Comunità Energetiche Rinnovabili rappresentano un passo decisivo verso una transizione energetica in una prospettiva di ecologia integrale, che abbraccia la tutela dell’ambiente, la giustizia nei rapporti economici e sociali, la cura della persona umana e delle comunità.


“Per affermare il modello delle CER – ha detto il Ministro Pichetto Fratin – serve un forte impegno di informazione e divulgazione: grazie a questo Vademecum, sarà ancora più chiaro il valore sociale delle Comunità Energetiche Rinnovabili”. “Gli enti religiosi, naturali destinatari delle nuove forme di incentivo – ha rilevato il Ministro – sono tra i principali protagonisti di questa svolta energetica a lungo attesa dal Paese”.
“Le Comunità Energetiche Rinnovabili hanno finalità sociali, oltre che economiche e ambientali. In questo senso è da salutare con favore il sostegno che può arrivare dagli enti religiosi. Le CER rappresentano inoltre una misura importante di contrasto alla povertà energetica: possono permettere alle Diocesi non solo di destinare risorse economiche alle famiglie in difficoltà, ma anche di migliorare luoghi parrocchiali dedicati alla socialità”, ha osservato da parte sua il Presidente del GSE Arrigoni.

Il Vademecum, che verrà regolarmente aggiornato per recepire in maniera continuativa gli sviluppi a livello normativo, di mercato e pastorale, è disponibile sui siti www.chiesacattolica.it e https://tavoloenergia.chiesacattolica.it/. 
Oltre a fornire alcune informazioni di carattere generale e a suggerire strumenti e metodologie utili per le Chiese locali e gli enti religiosi, il testo propone infatti una road map per la costituzione di una CER. L’approfondimento sul tema delle Comunità energetiche, a partire dalle motivazioni che hanno portato la Chiesa ad occuparsene all’interno della più ampia riflessione sulla cura del Creato ispirata dall’Enciclica Laudato si’, si affianca alla presentazione del quadro normativo, dei possibili modelli organizzativi e dell’iter che porta concretamente alla creazione di una CER.

 

Foto CEI

Grazie ai fondi 8xmille finanziati 1218 progetti a favore dei bambini

Sono 1218 i progetti a favore dei bambini e dei minori in 80 Paesi di tutti i continenti per un totale di oltre 100 milioni di euro, finanziati dal 1991 attraverso il Servizio per gli interventi caritativi per lo sviluppo dei Popoli, grazie ai fondi dell’8xmille.
Nel mondo – secondo i dati Oil, Save the Children e Unicef – 1,4 miliardi di bambini con meno di 15 anni non godono di alcuna forma di protezione sociale e sono esposti a malattie, malnutrizione e povertà. Di questi 333 milioni vivono in povertà estrema e lottano per sopravvivere con meno di 2,15 dollari al giorno. Quasi un miliardo di bambini convive con la povertà multidimensionale.
“Ascoltiamoli, perché nella loro sofferenza ci parlano della realtà, con gli occhi purificati dalle lacrime e con quel desiderio tenace di bene che nasce nel cuore di chi ha veramente visto quanto è brutto il male”, esorta Papa Francesco nel Messaggio per la prima Giornata Mondiale dei bambini. Il Pontefice invita a non dimenticare “tutti quei bambini a cui ancora oggi con crudeltà viene rubata l’infanzia” e si trovano “a lottare contro malattie e difficoltà, all’ospedale o a casa, chi è vittima della guerra e della violenza, chi soffre la fame e la sete, chi vive in strada, chi è costretto a fare il soldato o a fuggire come profugo, separato dai suoi genitori, chi non può andare a scuola, chi è vittima di bande criminali, della droga o di altre forme di schiavitù, degli abusi”.
I progetti finanziati rappresentano semi di speranza e quelle generate sono storie di vita ritrovata nonostante le sofferenze.

Come quella di Jean-Claude, ex bambino-soldato nella Repubblica Democratica del Congo. “Il mio nome è Démocratie, anzi, questo è il nome che mi sono scelto poiché, anche se la democrazia non l’ho mai conosciuta, credo sia la cosa più importante. Sono stato rapito all’età di 12 anni dalla milizia ribelle Lord’s Resistance Army di Joseph Kony. Mi hanno torturato e usato come uno schiavo. Ho passato 10 anni nella foresta, dove sono stato addestrato come soldato. Ho ucciso e ho visto uccidere. Era il nostro primo dovere, quello che ognuno di noi doveva fare se non voleva morire. Ho scalato la gerarchia militare fino a diventare capo della guardia personale di Kony. Quella posizione mi ha permesso dopo 10 lunghi anni di scappare. Oggi vivo a Dungu in una capanna con mia sorella e i suoi 8 figli. Cammino chilometri per andare a scuola, chilometri per andare a lavorare, ma sono sicuro che riuscirò a diventare un medico.” Démocratie tutte le mattine si alza alle 5 per andare a scuola, quando esce all’ora di pranzo si reca nella foresta dove, per mantenere la famiglia, fa il taglia-legna. Nonostante tutto, riesce a trovare tempo per frequentare i corsi professionali del Centro Juvenat, dove i missionari agostiniani accolgono e assistono ex bambini-soldato come lui. Lì può dare il suo contributo e aiutare Padre Blaise nel percorso di reinserimento dei nuovi arrivati. A giugno dello scorso anno si è diplomato alla scuola secondaria agostiniana Maman Dorothée e vorrebbe proseguire gli studi per non rinunciare al suo sogno e al suo progetto di vita: quello di essere un medico.


Si stima che siano stati reclutati 30.000 bambini soldato nella zona di Dungu e Doruma e che molti siano nelle mani di vari gruppi paramilitari. La maggior parte di loro hanno dagli 8 ai 15 anni e il 40% sono ragazze.
“La problematica dei bambini-soldato – sottolinea Maurizio Misitano, direttore esecutivo della Fondazione Agostiniani nel Mondo – è molto complessa. Nella zona dell’Haut-Uélé c’è stato un conflitto devastante e di lungo periodo. I bambini hanno subìto le conseguenze più atroci: hanno perso i genitori, hanno abbandonato i processi educativi e, proprio per questo, la nostra azione vuole offrire riabilitazione psico-fisica ma anche alfabetizzazione e formazione lavorativa, non solamente a coloro che hanno avuto un’esperienza di guerra come soldati, ma a tutti quei bambini che hanno subito le conseguenze anche indirette della guerra e della povertà”.


Spesso poi i bambini pagano il prezzo più alto in situazioni e contesti discriminanti anche per gli adulti. Come avviene in Bangladesh per i Dalit, membri delle “caste basse”, etichettate come “intoccabili”, che sono da sempre oppresse ed emarginate. Sono poveri, con accesso limitato all’istruzione, al lavoro, all’alloggio, alla sanità e ai servizi pubblici. Circa il 96% è analfabeta. I bambini all’interno di questa comunità hanno pochissime opportunità per aspirare a un futuro dignitoso. Champa Das è un’eccezione, è riuscita a completare il ciclo di studi e ha iniziato a offrire a casa sua a tanti bambini un sostegno gratuito per l’apprendimento, sfidando le barriere secolari. Grazie a questo impegno le è stato affidato il ruolo di insegnante per 83 ragazzi e ragazze della comunità Dalit, dalla classe 1 alla 10, nel Kajra Learning Center, in Bangladesh. È un progetto finanziato dalla Conferenza Episcopale Italiana in collaborazione con chiesa locale, la Fondazione L’Albero della Vita (FADV) e il partner locale Dalit. La prima fase, dal 2021 al 2023, ha aiutato quasi 2000 bambini in 15 villaggi. È stata poi avviata una seconda fase che prevede di raggiungere altri 2500 piccoli in 22 villaggi.
Queste storie mettono in mostra, anche nelle situazioni più complesse e di grande sofferenza, l’importanza di farsi piccoli con i piccoli e imparare evangelicamente a guardare la vita con i loro occhi, con la loro capacità di stupirsi e di avere fiducia, nonostante tutto. E soprattutto la necessità di mettere al centro i bambini (Mt18,1-5, Mc 10,13-16). Testimoniano inoltre il grande potere di trasformazione dell’ascolto, dell’istruzione, dell’accompagnamento, della condivisione e il ruolo che tutto questo può giocare nel superare l’esclusione sociale, la discriminazione, la disperazione, restituendo prospettive di futuro. “Il mondo – sottolinea Papa Francesco nel Messaggio per la Giornata – si trasforma prima di tutto attraverso le cose piccole, senza vergognarsi di fare solo piccoli passi. Anzi, la nostra piccolezza ci ricorda che siamo fragili e che abbiamo bisogno gli uni degli altri, come membra di un unico corpo (cfr Rm 12,5; 1 Cor 12,26). Da soli non si può neppure essere felici, perché la gioia cresce nella misura in cui la si condivide: nasce con la gratitudine per i doni che abbiamo ricevuto e che a nostra volta partecipiamo agli altri”.

Il Messaggio di Papa Francesco per la I Giornata Mondiale dei Bambini

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
PER LA I GIORNATA MONDIALE DEI BAMBINI

(25-26 maggio 2024)

Care bambine e cari bambini!

Si avvicina la vostra prima Giornata Mondiale: sarà a Roma il 25 e 26 maggio prossimo. Per questo ho pensato di mandarvi un messaggio, sono felice che possiate riceverlo e ringrazio tutti coloro che si adopereranno per farvelo avere.

Lo rivolgo prima di tutto a ciascuno personalmente, a te, cara bambina, a te, caro bambino, perché «sei prezioso» agli occhi di Dio (Is 43,4), come ci insegna la Bibbia e come Gesù tante volte ha dimostrato.

Allo stesso tempo questo messaggio lo invio a tutti, perché tutti siete importanti, e perché insieme, vicini e lontani, manifestate il desiderio di ognuno di noi di crescere e rinnovarsi. Ci ricordate che siamo tutti figli e fratelli, e che nessuno può esistere senza qualcuno che lo metta al mondo, né crescere senza avere altri a cui donare amore e da cui ricevere amore (cfr Lett. enc. Fratelli tutti, 95).

Così tutti voi, bambine e bambini, gioia dei vostri genitori e delle vostre famiglie, siete anche gioia dell’umanità e della Chiesa, in cui ciascuno è come un anello di una lunghissima catena, che va dal passato al futuro e che copre tutta la terra. Per questo vi raccomando di ascoltare sempre con attenzione i racconti dei grandi: delle vostre mamme, dei papà, dei nonni e dei bisnonni! E nello stesso tempo di non dimenticare chi di voi, ancora così piccolo, già si trova a lottare contro malattie e difficoltà, all’ospedale o a casa, chi è vittima della guerra e della violenza, chi soffre la fame e la sete, chi vive in strada, chi è costretto a fare il soldato o a fuggire come profugo, separato dai suoi genitori, chi non può andare a scuola, chi è vittima di bande criminali, della droga o di altre forme di schiavitù, degli abusi. Insomma, tutti quei bambini a cui ancora oggi con crudeltà viene rubata l’infanzia. Ascoltateli, anzi ascoltiamoli, perché nella loro sofferenza ci parlano della realtà, con gli occhi purificati dalle lacrime e con quel desiderio tenace di bene che nasce nel cuore di chi ha veramente visto quanto è brutto il male.

Miei piccoli amici, per rinnovare noi stessi e il mondo, non basta che stiamo insieme tra noi: è necessario stare uniti a Gesù. Da lui riceviamo tanto coraggio: lui è sempre vicino, il suo Spirito ci precede e ci accompagna sulle vie del mondo. Gesù ci dice: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose» (Ap 21,5); sono le parole che ho scelto come tema per la vostra prima Giornata Mondiale. Queste parole ci invitano a diventare agili come bambini nel cogliere le novità suscitate dallo Spirito in noi e intorno a noi. Con Gesù possiamo sognare un’umanità nuova e impegnarci per una società più fraterna e attenta alla nostra casa comune, cominciando dalle cose semplici, come salutare gli altri, chiedere permesso, chiedere scusa, dire grazie. Il mondo si trasforma prima di tutto attraverso le cose piccole, senza vergognarsi di fare solo piccoli passi. Anzi, la nostra piccolezza ci ricorda che siamo fragili e che abbiamo bisogno gli uni degli altri, come membra di un unico corpo (cfr Rm 12,5; 1 Cor 12,26).

E c’è di più. Infatti, care bambine e cari bambini, da soli non si può neppure essere felici, perché la gioia cresce nella misura in cui la si condivide: nasce con la gratitudine per i doni che abbiamo ricevuto e che a nostra volta partecipiamo agli altri. Quando quello che abbiamo ricevuto lo teniamo solo per noi, o addirittura facciamo i capricci per avere questo o quel regalo, in realtà ci dimentichiamo che il dono più grande siamo noi stessi, gli uni per gli altri: siamo noi il “regalo di Dio”. Gli altri doni servono, sì, ma solo per stare insieme. Se non li usiamo per questo saremo sempre insoddisfatti e non ci basteranno mai.

Invece se si sta insieme tutto è diverso! Pensate ai vostri amici: com’è bello stare con loro, a casa, a scuola, in parrocchia, all’oratorio, dappertutto; giocare, cantare, scoprire cose nuove, divertirsi, tutti insieme, senza lasciare indietro nessuno. L’amicizia è bellissima e cresce solo così, nella condivisione e nel perdono, con pazienza, coraggio, creatività e fantasia, senza paura e senza pregiudizi.

E adesso voglio confidarvi un segreto importante: per essere davvero felici bisogna pregare, pregare tanto, tutti i giorni, perché la preghiera ci collega direttamente a Dio, ci riempie il cuore di luce e di calore e ci aiuta a fare tutto con fiducia e serenità. Anche Gesù pregava sempre il Padre. E sapete come lo chiamava? Nella sua lingua lo chiamava semplicemente Abbà, che significa Papà (cfr Mc 14,36). Facciamolo anche noi! Lo sentiremo sempre vicino. Ce lo ha promesso Gesù stesso, quando ci ha detto: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» (Mt 18,20).

Care bambine e cari bambini, sapete che a maggio ci troveremo in tantissimi a Roma, proprio con voi, che verrete da tutto il mondo! E allora, per prepararci bene, vi raccomando di pregare usando le stesse parole che Gesù ci ha insegnato: il Padre nostro. Recitatelo ogni mattina e ogni sera, e poi anche in famiglia, con i vostri genitori, fratelli, sorelle e nonni. Ma non come una formula, no! Pensando alle parole che Gesù ci ha insegnato. Gesù ci chiama e ci vuole protagonisti con Lui di questa Giornata Mondiale, costruttori di un mondo nuovo, più umano, giusto e pacifico.

Lui, che si è offerto sulla Croce per raccoglierci tutti nell’amore, Lui che ha vinto la morte e ci ha riconciliati col Padre, vuole continuare la sua opera nella Chiesa, attraverso di noi. Pensateci, in particolare quelli tra voi che vi preparate a ricevere la Prima Comunione.

Carissimi, Dio, che ci ama da sempre (cfr Ger 1,5), ha per noi lo sguardo del più amorevole dei papà e della più tenera delle mamme. Lui non si dimentica mai di noi (cfr Is 49,15) e ogni giorno ci accompagna e ci rinnova con il suo Spirito.

Insieme a Maria Santissima e a San Giuseppe preghiamo con queste parole:

Vieni, Santo Spirito,
mostraci la tua bellezza
riflessa nei volti
delle bambine e dei bambini della terra.
Vieni Gesù,
che fai nuove tutte le cose,
che sei la via che ci conduce al Padre,
vieni e resta con noi.
Amen.

FRANCESCO

Foto: (Vatican Media/SIR)

Un e-Book per supportare il lavoro educativo e pastorale

Un e-Book per accompagnare i bambini e le bambine a scuola, in famiglia e in parrocchia. L’iniziativa promossa dal CREMIT – Centro di ricerca sull’educazione ai media, all’innovazione e alla tecnologia – dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e dall’Ufficio Nazionale per le comunicazioni sociali della CEI intende supportare il lavoro educativo e pastorale in vista della Giornata Mondiale dei Bambini (Roma, 25-26 maggio).
Disponibile gratuitamente sui siti dei promotori e sui canali social del CREMIT e della Conferenza Episcopale Italiana, il sussidio si intitola “Come è bello stare insieme” e presenta dieci schede, da utilizzare nei vari contesti educativi, che declinano tematiche correlate: il dono, la gratitudine, il valore di ciascuno, le storie, la festa, la comunità, la preghiera come incontro, la felicità, la speranza, l’amicizia. Ogni scheda parte da una frase del Messaggio del Papa per la Giornata e indica obiettivi, adattabili a età e realtà diverse, attività per step, strumenti (analogici e digitali). Completa la proposta un contributo sul mondo dei piccoli raccontato dal cinema, con alcuni titoli di film che trattano – mediante il linguaggio visivo – argomenti come l’ascolto, il perdono, il dialogo.
“La Giornata mondiale dei bambini – spiega Domenico Simeone, direttore del CREMIT – ci chiede di riflettere sulla responsabilità educativa degli adulti. Ogni bambina, ogni bambino che nasce è una novità che interpella gli adulti e chiede un prendersi cura denso di significati”. Simeone ricorda che “lo spazio interpersonale è il luogo in cui può avvenire la consegna del dono dell’educazione, uno spazio non già di proprietà di un soggetto bensì alimentato dalla relazione tra soggetti; vero e proprio luogo di incontro, di comunicazione, di manifestazione di sé, di comprensione, di accoglienza, di progettualità. Qui abbiamo il movimento profondo di ogni forma di amore, che acquista una centralità tutta particolare nell’amore genitoriale: lasciare il posto all’altro”.

L’e-Book, osserva Vincenzo Corrado, direttore dell’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali della CEI, “intende sostenere quei piccoli passi che generano cambiamenti, costruendo futuro, a partire dai bambini. È una proposta che vuole valorizzare la forza dell’impegno educativo. Con una carica comunicativa”. Infatti, “la moltiplicazione di strumenti e di possibilità mediatiche richiede un surplus d’impegno per non lasciare che l’evoluzione continua prenda il sopravvento sulla conoscenza e sulla formazione. In questo senso, tornare a parlare di alleanza fra i diversi soggetti che hanno a cuore il futuro dei bambini non è un discorso demodé ma un imperativo categorico”.

Questa proposta, aggiunge Alessandra Carenzio, del Cremit, vuole essere uno stimolo, un “servizio al territorio per incontrare la voglia di trasformare il mondo attraverso l’educazione. Il valore di queste risorse sta nella possibilità di coinvolgere, attivare, aprire il confronto. Riconoscere il valore del bambino nella comunità che lo accoglie e lo cresce. L’augurio è di attivare ponti, racconti, visioni e circolarità: i bambini ci guardano, ci insegnano molto e meritano di essere ascoltati in ogni frangente, in questa giornata e per tutto l’anno”.

E' possibile visionare o scaricare l'e-book qui.

Lettera all’Unione Europea

Pubblichiamo la Lettera all’Unione Europea del Card. Matteo Maria Zuppi, Presidente della CEI, e di Mons. Mariano Crociata, Presidente della COMECE, in occasione della Giornata dell’Europa 2024 e in vista delle prossime elezioni europee.

Cara Unione Europea,

darti del tu è inusuale, ma ci viene naturale perché siamo cresciuti con te. Sei una, sei “l’Europa”, eppure abbracci ben 27 Paesi, con 450 milioni di abitanti, che hanno scelto liberamente di mettersi insieme per formare l’Unione che sei diventata. Che meraviglia! Invece di litigare o ignorarsi, conoscersi e andare d’accordo! Lo sappiamo: non sempre è facile, ma quanto è decisivo, invece di alzare barriere e difese, cancellarle e collaborare. Tu sei la nostra casa, prima casa comune. In questa impariamo a vivere da “Fratelli Tutti”, come ha scritto un tuo figlio i cui genitori andarono fino alla “fine del mondo” per cercare futuro.

Nel cuore un desiderio

Ti scriviamo perché abbiamo nel cuore un desiderio: che si rafforzi ciò che rappresenti e ciò che sei, che tutti impariamo a sentirti vicina, amica e non distante o sconosciuta. Ne hai bisogno perché spesso si parla male di te e tanti si scordano quante cose importanti fai! Durante il COVID lo abbiamo visto: solo insieme possiamo affrontare le pandemie. Purtroppo, lo capiamo solo quando siamo sopraffatti dalle necessità, per poi dimenticarlo facilmente! Così, quando pensiamo che possiamo farcela da soli finiamo tutti contro tutti.

Dagli inizi ad oggi

Non possiamo dimenticare come prima di te, per secoli, abbiamo combattuto guerre senza fine e milioni di persone sono state uccise. Tutti i sogni di pace si sono infranti sugli scogli di guerre, le ultime quelle mondiali, che hanno portato immense distruzioni e morte. Proprio dalla tragedia della Seconda guerra mondiale – che ha toccato il male assoluto con la Shoah e la minaccia alla sopravvivenza dell’umanità intera con la bomba atomica – è nato il germe della comunità di Paesi sovrani che oggi è l’Unione Europea. C’è stato chi ha creduto che le nazioni non fossero destinate a combattersi, che dopo tanto odio si potesse imparare a vivere assieme. Tra quelli che ti hanno pensata e voluta non possiamo dimenticare Robert Schuman, francese, Konrad Adenauer, tedesco, e Alcide De Gasperi, italiano: animati dalla fede cristiana, essi hanno sentito la chiamata a creare qualcosa che rendesse impossibile il ritorno della guerra sul suolo europeo. Hanno pensato con intelligenza, ambizione e coraggio. Non sono mancati momenti difficili, ma la forza che viene dall’unità ha mostrato il valore del cammino intrapreso e la possibilità di correggere, aggiustare, intendersi.

La Comunità Europea venne concepita nel 1951 attorno al carbone e all’acciaio, materie allora indispensabili per fare la guerra, per prevenire ogni velleità di farne uso ancora una volta l’uno contro l’altro. In realtà quei tre grandi uomini, e tanti altri con loro, hanno cercato di più, e cioè la riconciliazione tra i popoli e la cancellazione degli odi e delle vendette.

Trovare qualcosa su cui lavorare insieme, anche solo sul piano economico, come dimostrano i Trattati firmati a Roma nel 1957, è stato l’inizio di un cammino che ha visto poco alla volta nuovi popoli entrare nella Comunità e, dopo la caduta del muro di Berlino, nel 1989, il cambiamento del nome, nel 1992, in Unione Europea, e l’allargamento, nel 2004, ai Paesi dell’allora Patto di Varsavia, ben dieci in una volta. I problemi non sono mancati, ma quanto sono stati importanti la moneta unica e l’abbattimento delle barriere nazionali per la libera circolazione delle persone e delle merci! Ultimo, l’accordo sulla riforma con il Trattato di Lisbona, entrato in vigore nel 2009.

Il senso dello stare insieme

Cara Unione Europea, sei un organismo vivo, perciò forse viene il momento per nuove riforme istituzionali che ti rendano sempre più all’altezza delle sfide di oggi. Ma non puoi essere solo una burocrazia, pur necessaria per far funzionare organizzazioni così complesse come quella che sei diventata. Direttive e regolamenti da soli non fanno crescere la coesione. Serve un’anima! In questi anni abbiamo visto compiere passi avanti significativi, quando per esempio hai accompagnato alcuni Paesi a superare le crisi economiche, ma abbiamo anche dovuto registrare fasi di stallo e difficoltà. E queste crescono quando smarriamo il senso dello stare insieme, la visione del nostro futuro condiviso, o facciamo resistenza a capire che il destino è comune e che bisogna continuare a costruire un’Europa unita.

Il ritorno della guerra

Perciò, qualche volta ci chiediamo: Europa, dove sei? Che direzione vuoi prendere? Sono questi anche gli interrogativi del Papa: «Guardando con accorato affetto all’Europa, nello spirito di dialogo che la caratterizza, verrebbe da chiederle: verso dove navighi, se non offri percorsi di pace, vie creative per porre fine alla guerra in Ucraina e ai tanti conflitti che insanguinano il mondo? E ancora, allargando il campo: quale rotta segui, Occidente?» (Discorso, Lisbona, 2 agosto 2023).

In tutti questi anni siamo molto cambiati e facciamo fatica a capire e a tenere vivo lo spirito degli inizi. Dopo un così lungo periodo di pace abbiamo pensato che una guerra su territorio europeo sarebbe stata ormai impossibile. E invece gli ultimi due anni ci dico che ciò che sembrava impensabile è tornato. Abbiamo bisogno di riprendere in mano il progetto dei padri fondatori e di costruire nuovi patti di pace se vogliamo che la guerra contro l’Ucraina finisca, e che finisca anche la guerra in corso in Medio Oriente, scoppiata a seguito dell’attacco terroristico del 7 ottobre scorso contro Israele, e con essa l’antisemitismo, mai sconfitto e ora riemergente. Lo dice così bene anche la nostra Costituzione italiana: è necessario combattere la guerra e ripudiarla per davvero!

Se non si ha cura della pace, rischia sempre di tornare la guerra. Lo diceva Robert Schuman nella sua Dichiarazione del 9 maggio 1950, che ha dato avvio al processo di integrazione europea: «L’Europa non è stata fatta: abbiamo avuto la guerra». Egli si riferiva al passato, ma le sue parole valgono anche oggi. L’unità va cercata come un compito sempre nuovo e urgente. Non dobbiamo aspettare l’esplosione di un altro conflitto per capirlo!

Il ruolo internazionale e la tentazione dei nazionalismi

Che ruolo giochi, Europa, nel mondo? Vogliamo che tu incida e porti la tua volontà di pace, gli strumenti della tua diplomazia, i tuoi valori. Risveglia la tua forza così da far sentire la tua voce, così da stabilire nuovi equilibri e relazioni internazionali. Le tue divisioni interne non ti permettono di assumere quel ruolo che dalla tua statura storica e culturale ci si aspetterebbe. Non vedi il rischio che le tue contrapposizioni intestine indeboliscano non solo il tuo peso internazionale ma anche la capacità di far fronte alle attese dei tuoi popoli?

Tanti pensano di potere usufruire dei benefici che tu hai indubbiamente portato, come se fossero scontati e niente possa comprometterli. La pandemia o le periodiche proteste, ultima quella degli agricoltori, ci procurano uno sgradevole risveglio. Capiamo che tanti vantaggi acquisiti potrebbero svanire. Il senso della necessità però non basta a spingere sempre e tutti a superare le divisioni. Alcuni vogliono far credere che isolandosi si starebbe meglio, quando invece qualunque dei tuoi Paesi, anche grande, si ridurrebbe fatalmente al proverbiale vaso di coccio tra vasi di ferro. Per stare insieme abbiamo bisogno di motivazioni condivise, di ideali comuni, di valori apprezzati e coltivati. Non bastano convenienze economiche, poiché alla lunga devono essere percepite le ragioni dello stare insieme, le uniche capaci di far superare tensioni e contrasti che proprio gli interessi economici portano con sé nel loro fisiologico confrontarsi.

Ha detto Papa Francesco: «In questo frangente storico l’Europa è fondamentale. Perché essa, grazie alla sua storia, rappresenta la memoria dell’umanità ed è perciò chiamata a interpretare il ruolo che le corrisponde: quello di unire i distanti, di accogliere al suo interno i popoli e di non lasciare nessuno per sempre nemico. È dunque essenziale ritrovare l’anima europea» (Discorso, Budapest, 28 aprile 2023).

Vorremmo che tutti sentissimo l’orgoglio di appartenerti, Europa. Oggi appare distante, a volte estraneo, tutto ciò che sta oltre i confini del proprio Paese. Eppure, le due appartenenze, quella nazionale e quella europea, si implicano a vicenda. La tua è stata fin dall’inizio l’Unione di Paesi liberi e sovrani che rinunciavano a parte della loro sovranità a favore di una, comune, più forte. Perciò non si tratta di sminuire l’identità e la libertà di alcuno, ma di conservare l’autonomia propria di ciascuno in un rapporto organico e leale con tutti gli altri.

Valori europei e fede cristiana

Le nostre idee e i nostri valori definiscono il tuo volto, cara Europa. Anche in questo la fede cristiana ha svolto un ruolo importante, tanto più che dal suo sentire è uscito il progetto e il disegno originario della tua Unione. Come cristiani continuiamo a sentirne viva responsabilità; e del resto troviamo in te tanta attenzione alla dignità della persona, che il Vangelo di Cristo ha seminato nei cuori e nella tua cultura. Soffriamo non poco, perciò, nel vedere che hai paura della vita, non la sai difendere e accogliere dal suo inizio alla sua fine, e non sempre incoraggi la crescita demografica.

«Penso – dice il Papa – a un’Europa che non sia ostaggio delle parti, diventando preda di populismi autoreferenziali, ma che nemmeno si trasformi in una realtà fluida, se non gassosa, in una sorta di sovranazionalismo astratto, dimentico della vita dei popoli. [...] Che bello invece costruire un’Europa centrata sulla persona e sui popoli, dove vi siano politiche effettive per la natalità e la famiglia [...], dove nazioni diverse siano una famiglia in cui si custodiscono la crescita e la singolarità di ciascuno» (Discorso, Budapest, 28 aprile 2023).

Il tema dei migranti e le sue implicazioni

Cara Europa, tu non puoi guardare solo al tuo interno. Non si può vivere solo per stare bene, ma stare bene per aiutare il mondo, combattere l’ingiustizia, lottare contro le povertà. Ormai da decenni sei il punto di arrivo, il sogno di tante persone migranti che da diversi continenti cercano entro i tuoi confini una vita migliore. Tanti vogliono raggiungerti perché sono alla ricerca disperata di un futuro. E molti, con il loro lavoro, non ti aiutano forse già a prepararne uno migliore? Non si tratta di accogliere tutti, ma che nessuno perda la vita nei “viaggi della speranza” e tanti possano trovare ospitalità. Chi accoglie genera vita! L’Italia è spesso lasciata sola, come se fosse un problema solo suo o di alcuni, ma non per questo deve chiudersi. Prima o poi impareremo che le responsabilità, comprese quelle verso i migranti, vanno condivise, per affrontare e risolvere problemi che in realtà sono di tutti.

Tu rappresenti un punto di riferimento per i Paesi mediterranei e africani, un bacino immenso di popoli e di risorse nella prospettiva di un partenariato tra uguali. Compito essenziale perché in realtà un soggetto sovranazionale come l’Unione non può sussistere al di fuori di una reciprocità di relazioni internazionali che ne dicano il riconoscimento e il compito storico, e che promuovano il comune progresso sociale ed economico nel segno dell’amicizia e della fraternità.

Compiti e sfide

Cara Europa, è tempo di un nuovo grande rilancio del tuo cammino di Unione verso una integrazione sempre più piena, che guardi a un fisco europeo che sia il più possibile equo; a una politica estera autorevole; a una difesa comune che ti permetta di esercitare la tua responsabilità internazionale; a un processo di allargamento ai Paesi che ancora non ne fanno parte, garanzia di una forza sempre più proporzionata all’unità che raccogli ed esprimi. Le esigenze di innovazione economica e tecnica (pensiamo all’Intelligenza Artificiale), di sicurezza, di cura dell’ambiente e di custodia della “casa comune”, di salvaguardia del welfare e dei diritti individuali e sociali, sono alcune delle sfide che solo insieme potremo affrontare e superare. Non mancano purtroppo i pericoli, come quelli che vengono dalla disinformazione, che minaccia l’ordinato svolgimento della vita democratica e la stessa possibilità di una memoria e di una storia non falsate.

Insieme alle riforme istituzionali democraticamente adottate, c’è bisogno di far crescere un sentire comune, un apprezzamento condiviso dei valori che stanno alla base della nostra convivenza nell’Unione Europea. Ci vuole un nuovo senso della cittadinanza, un senso civico di respiro europeo, la coscienza dei popoli del continente di essere un unico grande popolo. Ne siamo convinti: è innanzitutto questo senso di comunità di cittadini e di popoli che ci chiedi di fare nostro, cara Europa.

Le prossime elezioni

Le prossime elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo e la nomina della Commissione Europea sono l’occasione propizia e irripetibile, da cogliere senza esitazione. Purtroppo, a farsi valere spesso sono le paure e il senso di insicurezza di fronte alle difficoltà. Anche questo andrebbe raccolto e ascoltato per mostrare come proprio tu sia lo strumento e il luogo per affrontare e vincere paure e minacce.

Facciamo appello, perciò, a tutti, candidati e cittadini, a cominciare dai sedicenni che per la prima volta in alcuni Paesi andranno a votare, perché sentano quanto sia importante compiere questo gesto civico di partecipazione alla vita e alla crescita dell’Unione. Non andare a votare non equivale a restare neutrali, ma assumersi una precisa responsabilità, quella di dare ad altri il potere di agire senza, se non addirittura contro, la nostra libertà. L’assenteismo ha l’effetto di accrescere la sfiducia, la diffidenza degli uni nei confronti degli altri, la perdita della possibilità di dare il proprio contributo alla vita sociale, e quindi la rinuncia ad avere capacità e titolo per rendere migliore lo stare insieme nell’Unione Europea.

L’augurio che ti facciamo, cara Unione Europea, è che questa tornata elettorale diventi davvero un’occasione di rilancio, un risveglio di entusiasmo per un cammino comune che contiene già, in sé e nella visione che proietta, un senso vivo di speranza e di impegno motivato e convinto da parte dei tuoi cittadini.

Un nuovo umanesimo europeo

Sogniamo perciò ancora con Papa Francesco: «Con la mente e con il cuore, con speranza e senza vane nostalgie, come un figlio che ritrova nella madre Europa le sue radici di vita e di fede, sogno un nuovo umanesimo europeo, “un costante cammino di umanizzazione”, cui servono “memoria, coraggio, sana e umana utopia”» (Discorso, Vaticano, 6 maggio 2016).

 

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“Spes non confundit”, la Bolla di indizione del Giubileo 2025

Con la Bolla Pontificia "Spes non confundit", il Santo Padre Francesco indice il Giubileo Ordinario del 2025.
 
APERTURA DELLA PORTA SANTA:
24 dicembre 2024 - Basilica di San Pietro
29 dicembre 2024 - San Giovanni in Laterano e in tutte le Chiese Cattedrali
1 gennaio 2025 - Santa Maria Maggiore
5 gennaio 2025 - San Paolo fuori le Mura

Il testo completo della Bolla di indizione: https://www.chiesacattolica.it/spes-non-confundit-la-bolla-di-indizione-del-giubileo-2025/

 

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Giornata delle Comunicazioni sociali: la libertà all’esame degli algoritmi

Di seguito proponiamo l'articolo a firma di Vincenzo Corrado, Direttore dell'Ufficio Nazionale per le Comunicazioni Sociali della CEI, pubblicato su "Portaparola", speciale di Avvenire del 7 maggio 2024 dedicato al tema della Giornata mondiale delle comunicazioni sociali "Intelligenza artificiale e sapienza del cuore". 

Se ne sta parlando, e questo è un primo risultato da leggere positivamente. La constatazione non intende sminuire ma sottolineare l’impegno in atto. L’Intelligenza artificiale, tema proposto da papa Francesco per l’ormai imminente Giornata mondiale delle comunicazioni sociali (12 maggio), pur nella sua complessità, ha sollecitato la vivacità del territorio con diverse iniziative. C’è un bisogno di conoscenza di questioni che non sono semplicemente tecniche o tecnologiche. Al centro di ogni sviluppo c’è sempre la persona umana. Il progresso, infatti, incide in modo massivo a livello antropologico, influenzando e determinando la socialità. La partita è iniziata. E come ricorda il Papa nel messaggio per la Giornata, «spetta all’uomo decidere se diventare cibo per gli algoritmi oppure nutrire di libertà il proprio cuore, senza il quale non si cresce nella sapienza».
Le sfide poste dalle nuove tecnologie, sia nella Chiesa che nella società, vengono accolte quasi sempre con un duplice atteggiamento che varia a seconda dell’età, della formazione culturale, della teologia e delle esperienze personali. Alla prospettiva positiva e di fiduciosa ricezione si affianca una visione preoccupata, a tratti allarmistica. Rispetto all’Intelligenza artificiale, ad esempio, alcuni enfatizzano i rischi, quali la deumanizzazione delle relazioni o la perdita di lavoro, mentre altri si concentrano sui benefici, come l’accessibilità aumentata alle informazioni religiose o le nuove forme di evangelizzazione. Papa Francesco indica la «sapienza del cuore» come bussola per tenere il giusto orientamento tra i due approcci contrapposti, definendola una «virtù che ci permette di tessere insieme il tutto e le parti, le decisioni e le loro conseguenze, le altezze e le fragilità, il passato e il futuro, l’io e il noi». È la virtù che consente di risolvere la frammentarietà di questo tempo, per abbracciare la dimensione integrale della vita. La spiritualità consente di andare in profondità superando le discrasie della quotidianità.
Il tema è di grande attualità, e non è casuale che, a livello ecclesiale, siano state dedicate due Giornate mondiali: quella per la Pace nel mese di gennaio e ora quella delle Comunicazioni sociali. A questa attenzione si uniscono le parole del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel messaggio di fine anno 2023: « Dobbiamo fare in modo che la rivoluzione che stiamo vivendo resti umana. Cioè, iscritta dentro quella tradizione di civiltà che vede, nella persona – e nella sua dignità – il pilastro irrinunziabile ». Lo sviluppo, continuo e inarrestabile, chiede uno sguardo nuovo che salvaguardi il portato etico che è patrimonio di tutti, prima che sia troppo tardi e prima che sia l’escalation tecnica a dettare le regole del gioco. Ecco perché la connessione pace-comunicazione, evidenziata dai due appuntamenti, può essere la cifra con cui contrastare il disimpegno, a favore della responsabilità. Sistemi sempre più complessi, con ricadute a livello antropologico, confermano l’irrinunciabilità alla comprensione e alla presenza. Se questo vale per ogni realtà o istituzione, interpella in modo maggiore la Chiesa per vocazione e missione. La comunicazione è, infatti, connaturale alla comunità cristiana. L’annuncio avviene sempre in una relazionalità comunicativa, ridefinendo lo spazio e il tempo della stessa comunicazione.
Il principio del tempo, nella sua permanenza e dinamicità, consente il dialogo tra la profondità del messaggio cristiano e l’immanenza di sistemi articolati, mentre lo spazio diventa “luogo” da abitare, al di là di qualsiasi logica di possesso, potere o affermazione personale, e dunque universo di senso perché vissuto nella logica della dimensione relazionale. In quest’ottica, il principio dello spazio gioca un ruolo fondamentale rispetto alla progettualità e alla creatività, in quanto bilancia la capacità di leggere la realtà e disegnare percorsi di comprensione con la possibilità di porre quesiti a sistemi in grado di organizzare risposte. Ecco, allora, che tempo e spazio rappresentano la condizione per armonizzare le nuove tecnologie con l’“essenza” della fede.

 

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Il lavoro per la partecipazione e la democrazia

Pubblichiamo il Messaggio dei Vescovi per la Festa dei Lavoratori (1° maggio 2024) dal titolo: “Il lavoro per la partecipazione e la democrazia”. 

Lavorare è fare “con” e “per”
«Il Padre mio opera sempre e anch’io opero» (Gv 5,17). Queste parole di Cristo aiutano a vedere che con il lavoro si esprime «una linea particolare della somiglianza dell’uomo con Dio, Creatore e Padre» (Laborem exercens, 26). Ognuno partecipa con il proprio lavoro alla grande opera divina del prendersi cura dell’umanità e del Creato. Lavorare quindi non è solo un “fare qualcosa”, ma è sempre agire “con” e “per” gli altri, quasi nutriti da una radice di gratuità che libera il lavoro dall’alienazione ed edifica comunità: «È alienata la società che, nelle sue forme di organizzazione sociale, di produzione e di consumo, rende più difficile la realizzazione di questo dono ed il costituirsi di questa solidarietà interumana» (Centesimus annus, 41).
In questa stessa prospettiva, l’articolo 1 della Costituzione italiana assume una luce che merita di essere evidenziata: la “cosa pubblica” è frutto del lavoro di uomini e di donne che hanno contribuito e continuano ogni giorno a costruire un Paese democratico. È particolarmente significativo che le Chiese in Italia siano incamminate verso la 50ª Settimana Sociale dei cattolici in Italia (Trieste, 3-7 luglio), sul tema “Al cuore della democrazia. Partecipare tra storia e futuro”. Senza l’esercizio di questo diritto, senza che sia assicurata la possibilità che tutti possano esercitarlo, non si può realizzare il sogno della democrazia.

Il “noi” del bene comune: la priorità del lavoro
Come ricorda Papa Francesco in Fratelli tutti, per una migliore politica «il grande tema è il lavoro. Ciò che è veramente popolare – perché promuove il bene del popolo – è assicurare a tutti la possibilità di far germogliare i semi che Dio ha posto in ciascuno, le sue capacità, la sua iniziativa, le sue forze» (n.162). Le politiche del lavoro da assumere a ogni livello della pubblica amministrazione devono tener presente che «non esiste peggiore povertà di quella che priva del lavoro» (ivi). Occorre aprirsi a politiche sociali concepite non solo a vantaggio dei poveri, ma progettate insieme a loro, con dei “pensatori” che permettano alla democrazia di non atrofizzarsi ma di includere davvero tutti (cfr. Fratelli tutti, 169). Investire in progettualità, in formazione e innovazione, aprendosi anche alle tecnologie che la transizione ecologica sta prospettando, significa creare condizioni di equità sociale. È necessario inoltre guardare agli scenari di cambiamento che l’intelligenza artificiale sta aprendo nel mondo del lavoro, in modo da guidare responsabilmente questa trasformazione ineludibile.

Prenderci cura del lavoro è atto di carità politica e di democrazia
“A ciascuno il suo” è questione elementare di giustizia: a chiunque lavora spetta il riconoscimento della sua altissima dignità. Senza tale riconoscimento, non c’è democrazia economica sostanziale. Per questo, è determinante assumere responsabilmente il “sogno” della partecipazione, per la crescita democratica del Paese.

  • Le istituzioni devono assicurare condizioni di lavoro dignitoso per tutti, affinché sia riconosciuta la dignità di ogni persona, si permetta alle famiglie di formarsi e di vivere serenamente, si creino le condizioni perché tutti i territori nazionali godano delle medesime possibilità di sviluppo, soprattutto le aree dove persistono elevati tassi di disoccupazione e di emigrazione. Tra le condizioni di lavoro quelle che prevengono situazioni di insicurezza si rivelano ancora le più urgenti da attenzionare, dato l’elevato numero di incidenti che non accenna a diminuire. Inoltre, quando la persona perde il suo lavoro o ha bisogno di riqualificare le sue competenze, occorre attivare tutte le risorse affinché sia scongiurato ogni rischio di esclusione sociale, soprattutto di chi appartiene ai nuclei familiari economicamente più fragili, perché non dipenda esclusivamente dai pur necessari sussidi statali.
  • Un lavoro dignitoso esige anche un giusto salario e un adeguato sistema previdenziale, che sono i concreti segnali di giustizia di tutto il sistema socioeconomico (cfr. Laborem exercens, 19). Bisogna colmare i divari economici fra le generazioni e i generi, senza dimenticare le gravi questioni del precariato e dello sfruttamento dei lavoratori immigrati. Fino a quando non saranno riconosciuti i diritti di tutti i lavoratori, non si potrà parlare di una democrazia compiuta nel nostro Paese. A questo compito di giustizia sono chiamati anche gli imprenditori, che hanno la specifica responsabilità di generare occupazione e di assicurare contratti equi e condizioni di impiego sicuro e dignitoso.
  • I lavoratori, consapevoli dei propri doveri, si sentano corresponsabili del buon andamento dell’attività produttiva e della crescita del Paese, partecipando con tutti gli strumenti propri della democrazia ad assicurare, non solo per sé ma anche per la collettività e per le future generazioni, migliori condizioni di vita. La dimensione partecipativa è garantita anche dalle associazioni dei lavoratori, dai movimenti di solidarietà degli uomini del lavoro e con gli uomini del lavoro che, perseguendo il fine della salvaguardia dei diritti di tutti, devono contribuire all’inclusione di ciascuno, a partire dai più fragili, soprattutto nelle aziende.
  • Le Chiese in Italia, impegnate nel Cammino sinodale, continuano nell’ascolto dei lavoratori e nel discernimento sulle questioni sociali più urgenti: ogni comunità è chiamata a manifestare vicinanza e attenzione verso le lavoratrici e i lavoratori il cui contributo al bene comune non è adeguatamente riconosciuto, come anche a tenere vivo il senso della partecipazione. In questa prospettiva, gli Uffici diocesani di pastorale sociale e gli operatori, quali i cappellani del lavoro, promuovano e mettano a disposizione adeguati strumenti formativi. Ciascuno deve essere segno di speranza, soprattutto nei territori che rischiano di essere abbandonati e lasciati senza prospettive di lavoro in futuro, oltre che mettersi in ascolto di quei fratelli e sorelle che chiedono inclusione nella vita democratica del nostro Paese.

La Commissione Episcopale
per i problemi sociali e il lavoro,
la giustizia e la pace

Foto CEI

8xmille: una firma che fa bene e che fa il bene

Una firma che fa bene e che fa il bene

Domenica 5 maggio nelle nostre Chiese si celebra la Giornata nazionale per l’8 per mille alla Chiesa Cattolica. Non è una Giornata come le altre, in cui si raccolgono le offerte per una particolare destinazione (le missioni, la Caritas, i migranti, la Terra Santa, il seminario), ma una Giornata per ricordare a tutti i lavoratori e i pensionati, a tutte le famiglie che con una firma da allegare al proprio Modello Redditi o al 730 possono sostenere la Chiesa, soprattutto nella sua azione di carità e condivisione, di catechesi e comunicazione e per le sue strutture e beni pastorali e culturali (chiese, case parrocchiali e centri pastorali, organi storici, biblioteche, archivi). Lo scorso anno, la Chiesa Italiana con la firma e la solidarietà di tanti, oltre 11 milioni e mezzo di persone – di cui 1 milione e mezzo dell’Emilia-Romagna -, ha potuto realizzare 15.713 progetti che hanno interessato varie realtà: condomini solidali, doposcuola, poliambulatori, case di accoglienza, dormitori, mense, restauri di beni culturali e artistici, stanziamenti per calamità naturali o emergenze umanitarie nel mondo… Le Chiese dell’Emilia-Romagna hanno potuto contare lo scorso anno, grazie alla firma dell’8 per mille, su 47 milioni e 500 mila euro, di cui 19 milioni sono andati per il sostentamento del clero (quasi 2000 sacerdoti), oltre 10 milioni alle opere di culto e pastorale, altri 10 milioni per le opere di carità, 5 milioni per l’edilizia di culto e 1 milione per i beni culturali. La Cei ha stanziato, inoltre, 1 milione di euro dall’8 per mille per gli alluvionati dell’Emilia-Romagna. Per questo possiamo dire quest’anno che “una firma fa bene”, perché sostiene tante realtà in Italia e nel mondo, soprattutto nei Paesi più poveri, oltre che contribuire a sostenere i nostri sacerdoti. Ma possiamo anche dire che “una firma fa il bene”, perchè è un gesto anonimo di carità che raggiunge tanti, dappertutto, portando benessere, diventando segno di condivisione, strumento di giustizia sociale. Purtroppo, attorno a noi, che lambiscono l’Europa, ci sono situazioni di guerra con il drammatico numero di morti, di feriti, di distruzione, di profughi, rifugiati e con la mancanza di beni essenziali che colpiscono soprattutto i piccoli, gli anziani, le persone deboli. Le immagini che abbiamo davanti agli occhi dell’Ucraina, della striscia di Gaza dove ormai i morti si contano a migliaia, ci ricordano che questa firma, attraverso le Chiese locali, Chiese sorelle, le loro Caritas può trasformarsi in cure, in accompagnamento, in tutela della vita, in conforto, in speranza. Anche una firma può cambiare la storia: la storia di tante persone più deboli, in difficoltà, vicine e lontane. Non trascuriamo di firmare, soprattutto chi è esonerato dalla dichiarazione dei redditi (modello CU) chieda anche in parrocchia il modulo per fare la propria firma: una firma che fa bene, una firma che fa il bene.

 

S.E. Mons. Gian Carlo Perego, Arcivescovo di Ferrara-Comacchio

Delegato della Conferenza episcopale Emilia Romagna per il sovvenire alle necessità della Chiesa

Il Messaggio della Presidenza CEI all’Azione Cattolica

Pubblichiamo il Messaggio che la Presidenza della CEI ha inviato all’Azione Cattolica Italiana, in occasione dell’Assemblea nazionale in programma dal 25 al 28 aprile a Sacrofano (Rm). 

Cari fratelli e sorelle dell’Azione Cattolica,
questo eccezionalmente quadriennale (per via della pandemia) dell’Assemblea nazionale che avete titolato: Testimoni di tutte le cose da Lui compiute vede anche noi, Pastori delle Chiese in Italia, coinvolti in un percorso che non riguarda solo l’Associazione, ma il futuro stesso di un cammino ecclesiale. Il numero che accompagna l’Assemblea – XVIII – indica, nell’anagrafica, l’ingresso nella maggiore età: tempo opportuno per fare memoria e rendere grazie dei doni ricevuti in questi anni e in quelli che li hanno preceduti. L’Azione Cattolica ha, infatti, una storia ricca che va accolta nel presente per poter progettare un avvenire che sia ancora frutto di adesione, partecipazione e testimonianza. Per questo, guardiamo all’Associazione con grande interesse: voi associati siete in prima linea nel realizzare nelle parrocchie e nel sociale il magistero della Chiesa. «Grazie per aver assunto decisamente la Evangelii gaudium come magna carta», affermava Papa Francesco il 27 aprile 2017 al congresso del Forum internazionale dell’Azione Cattolica (FIAC).
Vi chiediamo di riflettere: l’Esortazione apostolica Evangelii gaudium è concretamente la magna carta del cammino associativo? In che modo l’Azione Cattolica sta mettendo alla base della vita di ciascuno e dei gruppi i principi costitutivi della Evangelii gaudium? Quali frutti evangelici potete annoverare nella vostra vita in questo tempo di incertezza? Come, nel quotidiano, siete portatori di speranza evangelica?
Contiamo sul vostro contributo nella Chiesa e nel mondo, ci fidiamo del vostro costante impegno nel testimoniare in ogni ambiente Gesù Cristo e il Vangelo, attraverso i valori da voi incarnati. Le nostre Chiese vi riconoscono come persone responsabili, perciò continuate a curare la vita spirituale, perché vi aiuta a incontrare costantemente il Signore e, nello stesso tempo, ad amare tutti, anche i non credenti. Impegnatevi nella società e nella storia a livello personale e associativo.
Crediamo che la vostra vita si svolga tra la contemplazione e l’azione e, perciò, vi invitiamo ad essere autentici testimoni di Cristo nella ferialità. Come battezzati siete chiamati con la vostra esistenza ad annunciare Gesù sulle strade del mondo, nei crocicchi, nelle periferie, nei luoghi di marginalità, nel lavoro, nello studio, nel tempo di svago, nelle relazioni amicali e familiari… ovunque!
L’incontro nazionale certamente prevede un’analisi della situazione reale dell’Associazione. Ciò consentirà di verificare il cammino della vita spirituale dei soci, la loro formazione umana, la consapevolezza di appartenere alla Chiesa, la capacità di incarnare ovunque i valori evangelici, di essere persone in relazione per non cadere nell’individualismo, di non trascurare la vita fraterna e la cura del Creato, di approfondire la cultura a tutti i livelli. Una verifica, in tal senso, può aprire nuovi varchi per un progetto associativo cristiano veramente umano e divino.
Attendiamo da voi la testimonianza cristiana nell’ambito sociale e politico, ora tanto urgente. Ripercorrendo la storia dell’Azione Cattolica in Italia, molte conquiste sociali sono state ottenute proprio grazie ai vostri padri e alle vostre madri. Numerosi soci hanno lasciato una traccia umana e cristiana ancora valida per il nostro tempo. Basta ricordare la bellezza della vita del Beato Pier Giorgio Frassati per capire che oggi bisogna coltivare la passione evangelica in ciascuno. «Ogni giorno di più – scriveva quasi cent’anni fa – comprendo quale grazia sia l’essere cattolici. Vivere senza fede, senza un patrimonio da difendere, senza sostenere una lotta per la Verità non è vivere, ma vivacchiare… Anche attraverso ogni disillusione dobbiamo ricordare che siamo gli unici che possediamo la Verità» (Lettere, 1925).
La mediocrità non appartiene alla nostra fede. Frassati lascia questo messaggio forte: il Vangelo è vita in ciascuno di noi. Bisogna vivere la forza del lieto annuncio quotidianamente. «La sua vocazione di laico cristiano – ricordava san Giovanni Paolo II – si realizzava nei suoi molteplici impegni associativi e politici, in una società in fermento, indifferente e talora ostile alla Chiesa. (…) Nell’Azione Cattolica egli visse la vocazione cristiana con letizia e fierezza e s’impegnò ad amare Gesù e a scorgere in lui i fratelli che incontrava nel suo sentiero o che cercava nei luoghi della sofferenza, dell’emarginazione e dell’abbandono per far sentire loro il calore della sua umana solidarietà e il conforto soprannaturale della fede in Cristo» (Omelia, Beatificazione di Pier Giorgio Frassati, 20 maggio 1990).
Guardate alla sua testimonianza, mentre percorriamo la strada della sinodalità nelle nostre comunità. Siamo consapevoli del supporto che date al Cammino sinodale delle Chiese in Italia e di questo vi siamo grati, così come per la cura con cui accompagnate la formazione di un laicato maturo e responsabile, capace di assumere le sfide ecclesiali e sociali del nostro tempo. Riecheggiano, però, le parole del Beato Frassati: vivere, non vivacchiare! Nella fede accogliete il bisogno di relazioni, che appartiene al vostro vissuto associativo. È necessario l’incontro costante tra di voi e con gli altri, per ascoltare anche i loro silenzi. In tale circolarità si compia questo momento assembleare.
Vi accompagniamo con la nostra benedizione, certi che la vostra fede, l’impegno a vivere i valori evangelici nel quotidiano a livello personale e sociale, la cura della vita ecclesiale e fraterna e del Creato, la vostra gioia possano seminare ovunque semi di speranza.
Con queste intenzioni invochiamo lo Spirito Santo sulla vostra Assemblea.

 

Foto: CEI

Dall’acqua e dalla terra vita e sviluppo grazie all’8xmille

“Prima avevamo un negozio nel villaggio di Pan Koy e l’attività agricola era scarsa. Dopo aver frequentato il corso di agricoltura ho iniziato io stesso a coltivare colture a lungo termine come il tè, le prugne damson, la mela selvatica, il caffè, le noci di macadamia e l’avocado. Ora ho piantato 5.000 piante di tè, 2.000 piante di caffè, 30 piante di prugne damson, numerose piante di noci di macadamia e avocado. Finalmente ho un reddito annuo”. Quasi si commuove U Ar Do, 56 anni, che vive con la moglie e i suoi quattro figli nel villaggio di Pan Koy, nella zona di Kyaing Tong in Myanmar. In quell’area è particolarmente forte la piaga della deforestazione. Nei villaggi rurali il legno è infatti utilizzato come combustibile per cucinare e per il riscaldamento; anche in città più grandi come Kyaing Tong il 90% delle famiglie ancora usa il legno per cucinare o per attività produttive come l’essiccazione del thè. A questo si aggiunge il traffico di thek, legno pregiato che cresce proprio in queste foreste. Non esiste alcun piano per la gestione delle foreste che regoli il disboscamento. Se da un lato è difficile agire a livello globale, è però indispensabile ridurre l’impatto della deforestazione attraverso semplici azioni all’interno dei villaggi. Proprio questo è lo scopo del progetto avviato nel 2014 in Myanmar da New Humanity International, fondata dal Pontificio Istituto Missioni Estere (Pime). Un intervento sostenuto anche dalla Chiesa italiana per offrire alla popolazione locale colture alternative efficaci e salvaguardare così il patrimonio forestale.
Sono stati avviati training agricoli – come quello frequentato da U Ar Do – per promuovere queste colture, oltre che buone prassi agricole, tecniche per la prevenzione dell’erosione del suolo, allevamento sostenibile. I training sul possesso delle terre sono una componente fondamentale per permettere ai contadini di diventare i legali proprietari delle terre che coltivano e contrastare così anche il fenomeno del “land grabbing”. Parallelamente, il progetto prevede la gestione di vivai per la distribuzione di piante per la riforestazione, il rimboschimento di aree specifiche (precedentemente disboscate per la coltivazione e poi abbandonate) e la costituzione di gruppi di “Preservazione forestale” nei villaggi. Finora hanno beneficiato del progetto 42 villaggi, 386 agricoltori, sono state distribuite 151 mila piantine, 65.500 talee e sono stati piantati 7860 alberi da frutto.


I dati globali tuttavia registrano un aumento dello sfruttamento delle materie prime e delle risorse a danno dei diritti umani e dell’ambiente. Secondo il VI Rapporto “I padroni della terra” curato dalla Focsiv, nel 2022 sono stati 26,1 milioni di ettari le terre accaparrate, pari a oltre 260 mila chilometri quadri. Quattrocentouno persone che lottavano in difesa delle comunità, dei popoli indigeni e della natura sono state uccise in 26 Paesi e altre 1.500 minacciate, violentate o detenute. È aumentato il tasso di deforestazione, il numero di incendi e la percentuale di terre destinate all’agribusiness e all’allevamento. Ciononostante, esistono, anche se fanno meno rumore, molte iniziative concrete in risposta al “grido della terra” – come quella realizzata in Myanmar – con cui si afferma la capacità di cambiare insieme, come comunità. Sono molteplici e spesso arrivano proprio dalle zone più povere. Da quello che Papa Francesco nel II Incontro mondiale dei movimenti popolari (2015) ha definito “popolo in movimento”, che ha saputo convertire la passione in azione comunitaria: “quel torrente di energia morale che nasce dal coinvolgimento degli esclusi nella costruzione del destino comune” (Fratelli tutti, 169).


Solo nello scorso anno i progetti di accesso all’acqua e di sviluppo sostenibile per favorire l’agricoltura biologica e migliorare la sicurezza alimentare e nutrizionale che la CEI ha finanziato grazie ai fondi dell’8xmille alla Chiesa cattolica sono stati 51 in 22 Paesi per 4,8 milioni di euro. Complessivamente dal 1996 ad oggi in tutto il mondo sono stati sostenuti 651 progetti in ambito agricolo per 47 milioni di euro.
Anche Jeanne – come U Ar Do – grida il suo “Finalmente!”. “Finalmente abbiamo acqua pulita!” Traspare soddisfazione dalle sue parole in occasione della consegna ufficiale della rete idrica realizzata in Burundi grazie al progetto “Acqua fonte di vita e sviluppo” portato avanti da Amu (Azione per un Mondo Unito) e Casobu (Cadre Associatif des Solidaires du Burundi), con il sostegno della CEI. Tra danze, canti e i discorsi di inaugurazione, è stata una giornata che ha segnato un punto di svolta per lo sviluppo delle comunità di Butezi e Ruyigi. “Da quando abbiamo l’acqua potabile nel villaggio – prosegue – sono più serena. I miei figli non devono più svegliarsi presto al mattino per andare a prendere l’acqua al fiume, sia per la scuola che per casa e seguono le lezioni con più attenzione. E anche io non sono più costretta a trasportare grandi quantità di acqua sulle spalle. Senza acqua, inoltre, per fare il bucato dovevo portare gli abiti alla sorgente, lavarli e poi tornare a casa. Ci voleva molto tempo. Adesso, invece, anche cucinare e lavare i piatti è diventato più facile, mi basta fare un salto alla fontana, che è proprio vicina a casa mia”. Con orgoglio aggiunge: “Grazie anche ai comitati di gestione siamo consapevoli che noi, donne e uomini della collina di Ruyigi, siamo ora i custodi di questo bene comune. L’acqua potabile ci appartiene e per questo dobbiamo proteggere questo patrimonio ricevuto”. Sta proprio qui il valore aggiunto del progetto: partecipazione, solidarietà e corresponsabilità, perché nessuno resti indietro. Un progetto che nel complesso riguarda l’ampliamento della rete idrica per raggiungere tutte le comunità della zona e nelle colline di Nombe, Nyarunazi e Kigamba/Rubaragaza, la ristrutturazione della rete di approvvigionamento di acqua potabile a Karaba-Misugi-Kigamba, la realizzazione di servizi igienici ecologici presso la scuola elementare di Nombe.


Il Burundi è uno dei Paesi più poveri al mondo, con quasi il 65% della popolazione che vive al di sotto della soglia di povertà. L’accesso all’assistenza sanitaria è negato alla maggior parte della popolazione e solo l’1% può permettersi un’assicurazione privata. In questo quadro l’acqua potabile diventa fondamentale, così come l’utilizzo di servizi igienici. I punti di forza di questa azione sono il coinvolgimento della popolazione nei lavori e la formazione di comitati locali per la cura e conservazione delle sorgenti e per la manutenzione delle infrastrutture realizzate. Sono previste inoltre attività per sensibilizzare e aiutare i beneficiari a strutturarsi in una mutua sanitaria di comunità o unirsi a mutue sanitarie di comunità esistenti. Con questo progetto, quasi 8 mila persone sono state raggiunte dall’acqua potabile a Ruyigi e di queste oltre 3 mila sono studenti. Ad esempio, nella scuola di Nombe, grazie alla costruzione di un acquedotto di 25 km, sono state realizzate delle fontanelle. Ma l’esperienza davvero innovativa è stata l’attivazione di servizi igienici ecologici che, con adeguati trattamenti e la formazione di allievi e insegnanti sulla corretta gestione, consentono il riutilizzo del materiale organico in agricoltura. Un altro piccolo ma significativo contributo alla sostenibilità ambientale nella prospettiva di un’ecologia integrale. Perché, come ricorda Papa Francesco nella Laudate Deum, “le istanze che emergono dal basso in tutto il mondo, dove persone impegnate dei Paesi più diversi si aiutano e si accompagnano a vicenda, possono riuscire a fare pressione sui fattori di potere”. E aggiunge che occorre una visione più ampia, in un’ottica maggiormente inclusiva delle forze della società civile, “un multilateralismo dal basso e non semplicemente deciso dalle élite del potere” per reagire con meccanismi globali alle sfide “ambientali, sanitarie, culturali e sociali, soprattutto per consolidare il rispetto dei diritti umani più elementari, dei diritti sociali e della cura della casa comune”.

 

Foto: CEI

Il messaggio di Papa Francesco per la 61ª Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni

Chiamati a seminare la speranza e a costruire la pace
 

Cari fratelli e sorelle!

La Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni ci invita, ogni anno, a considerare il dono prezioso della chiamata che il Signore rivolge a ciascuno di noi, suo popolo fedele in cammino, perché possiamo prendere parte al suo progetto d’amore e incarnare la bellezza del Vangelo nei diversi stati di vita. Ascoltare la chiamata divina, lungi dall’essere un dovere imposto dall’esterno, magari in nome di un’ideale religioso; è invece il modo più sicuro che abbiamo di alimentare il desiderio di felicità che ci portiamo dentro: la nostra vita si realizza e si compie quando scopriamo chi siamo, quali sono le nostre qualità, in quale campo possiamo metterle a frutto, quale strada possiamo percorrere per diventare segno e strumento di amore, di accoglienza, di bellezza e di pace, nei contesti in cui viviamo.
Così, questa Giornata è sempre una bella occasione per ricordare con gratitudine davanti al Signore l’impegno fedele, quotidiano e spesso nascosto di coloro che hanno abbracciato una chiamata che coinvolge tutta la loro vita. Penso alle mamme e ai papà che non guardano anzitutto a sé stessi e non seguono la corrente di uno stile superficiale, ma impostano la loro esistenza sulla cura delle relazioni, con amore e gratuità, aprendosi al dono della vita e ponendosi al servizio dei figli e della loro crescita. Penso a quanti svolgono con dedizione e spirito di collaborazione il proprio lavoro; a coloro che si impegnano, in diversi campi e modi, per costruire un mondo più giusto, un’economia più solidale, una politica più equa, una società più umana: a tutti gli uomini e le donne di buona volontà che si spendono per il bene comune. Penso alle persone consacrate, che offrono la propria esistenza al Signore nel silenzio della preghiera come nell’azione apostolica, talvolta in luoghi di frontiera e senza risparmiare energie, portando avanti con creatività il loro carisma e mettendolo a disposizione di coloro che incontrano. E penso a coloro che hanno accolto la chiamata al sacerdozio ordinato e si dedicano all’annuncio del Vangelo e spezzano la propria vita, insieme al Pane eucaristico, per i fratelli, seminando speranza e mostrando a tutti la bellezza del Regno di Dio.
Ai giovani, specialmente a quanti si sentono lontani o nutrono diffidenza verso la Chiesa, vorrei dire: lasciatevi affascinare da Gesù, rivolgetegli le vostre domande importanti, attraverso le pagine del Vangelo, lasciatevi inquietare dalla sua presenza che sempre ci mette beneficamente in crisi. Egli rispetta più di ogni altro la nostra libertà, non si impone ma si propone: lasciategli spazio e troverete la vostra felicità nel seguirlo e, se ve lo chiederà, nel donarvi completamente a Lui.

Un popolo in cammino
La polifonia dei carismi e delle vocazioni, che la Comunità cristiana riconosce e accompagna, ci aiuta a comprendere pienamente la nostra identità di cristiani: come popolo di Dio in cammino per le strade del mondo, animati dallo Spirito Santo e inseriti come pietre vive nel Corpo di Cristo, ciascuno di noi si scopre membro di una grande famiglia, figlio del Padre e fratello e sorella dei suoi simili. Non siamo isole chiuse in sé stesse, ma siamo parti del tutto. Perciò, la Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni porta impresso il timbro della sinodalità: molti sono i carismi e siamo chiamati ad ascoltarci reciprocamente e a camminare insieme per scoprirli e per discernere a che cosa lo Spirito ci chiama per il bene di tutti.
Nel presente momento storico, poi, il cammino comune ci conduce verso l’Anno Giubilare del 2025. Camminiamo come pellegrini di speranza verso l’Anno Santo, perché nella riscoperta della propria vocazione e mettendo in relazione i diversi doni dello Spirito, possiamo essere nel mondo portatori e testimoni del sogno di Gesù: formare una sola famiglia, unita nell’amore di Dio e stretta nel vincolo della carità, della condivisione e della fraternità.
Questa Giornata è dedicata, in particolare, alla preghiera per invocare dal Padre il dono di sante vocazioni per l’edificazione del suo Regno: «Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!» (Lc 10,2). E la preghiera – lo sappiamo – è fatta più di ascolto che di parole rivolte a Dio. Il Signore parla al nostro cuore e vuole trovarlo aperto, sincero e generoso. La sua Parola si è fatta carne in Gesù Cristo, il quale ci rivela e ci comunica tutta la volontà del Padre. In quest’anno 2024, dedicato proprio alla preghiera in preparazione al Giubileo, siamo chiamati a riscoprire il dono inestimabile di poter dialogare con il Signore, da cuore a cuore, diventando così pellegrini di speranza, perché «la preghiera è la prima forza della speranza. Tu preghi e la speranza cresce, va avanti. Io direi che la preghiera apre la porta alla speranza. La speranza c’è, ma con la mia preghiera apro la porta» (Catechesi, 20 maggio 2020).

Pellegrini di speranza e costruttori di pace
Ma cosa vuol dire essere pellegrini? Chi intraprende un pellegrinaggio cerca anzitutto di avere chiara la meta, e la porta sempre nel cuore e nella mente. Allo stesso tempo, però, per raggiungere quel traguardo, occorre concentrarsi sul passo presente, per affrontare il quale bisogna essere leggeri, spogliarsi dei pesi inutili, portare con sé l’essenziale e lottare ogni giorno perché la stanchezza, la paura, l’incertezza e le oscurità non blocchino il cammino intrapreso. Così, essere pellegrini significa ripartire ogni giorno, ricominciare sempre, ritrovare l’entusiasmo e la forza di percorrere le varie tappe del percorso che, nonostante le fatiche e le difficoltà, sempre aprono davanti a noi orizzonti nuovi e panorami sconosciuti.
Il senso del pellegrinaggio cristiano è proprio questo: siamo posti in cammino alla scoperta dell’amore di Dio e, nello stesso tempo, alla scoperta di noi stessi, attraverso un viaggio interiore ma sempre stimolato dalla molteplicità delle relazioni. Dunque, pellegrini perché chiamati: chiamati ad amare Dio e ad amarci gli uni gli altri. Così, il nostro camminare su questa terra non si risolve mai in un affaticarsi senza scopo o in un vagare senza meta; al contrario, ogni giorno, rispondendo alla nostra chiamata, cerchiamo di fare i passi possibili verso un mondo nuovo, dove si viva in pace, nella giustizia e nell’amore. Siamo pellegrini di speranza perché tendiamo verso un futuro migliore e ci impegniamo a costruirlo lungo il cammino.
Questo è, alla fine, lo scopo di ogni vocazione: diventare uomini e donne di speranza. Come singoli e come comunità, nella varietà dei carismi e dei ministeri, siamo tutti chiamati a “dare corpo e cuore” alla speranza del Vangelo in un mondo segnato da sfide epocali: l’avanzare minaccioso di una terza guerra mondiale a pezzi; le folle di migranti che fuggono dalla loro terra alla ricerca di un futuro migliore; il costante aumento dei poveri; il pericolo di compromettere in modo irreversibile la salute del nostro pianeta. E a tutto ciò si aggiungono le difficoltà che incontriamo quotidianamente e che, a volte, rischiano di gettarci nella rassegnazione o nel disfattismo.
In questo nostro tempo, allora, è decisivo per noi cristiani coltivare uno sguardo pieno di speranza, per poter lavorare con frutto, rispondendo alla vocazione che ci è stata affidata, al servizio del Regno di Dio, Regno di amore, di giustizia e di pace. Questa speranza – ci assicura San Paolo – «non delude» (Rm 5,5), perché si tratta della promessa che il Signore Gesù ci ha fatto di restare sempre con noi e di coinvolgerci nell’opera di redenzione che Egli vuole compiere nel cuore di ogni persona e nel “cuore” del creato. Tale speranza trova il suo centro propulsore nella Risurrezione di Cristo, che «contiene una forza di vita che ha penetrato il mondo. Dove sembra che tutto sia morto, da ogni parte tornano ad apparire i germogli della risurrezione. È una forza senza uguali. È vero che molte volte sembra che Dio non esista: vediamo ingiustizie, cattiverie, indifferenze e crudeltà che non diminuiscono. Però è altrettanto certo che nel mezzo dell’oscurità comincia sempre a sbocciare qualcosa di nuovo, che presto o tardi produce un frutto» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 276). Ancora l’apostolo Paolo afferma che «nella speranza» noi «siamo stati salvati» (Rm 8,24). La redenzione realizzata nella Pasqua dona la speranza, una speranza certa, affidabile, con la quale possiamo affrontare le sfide del presente.
Essere pellegrini di speranza e costruttori di pace, allora, significa fondare la propria esistenza sulla roccia della risurrezione di Cristo, sapendo che ogni nostro impegno, nella vocazione che abbiamo abbracciato e che portiamo avanti, non cade nel vuoto. Nonostante fallimenti e battute d’arresto, il bene che seminiamo cresce in modo silenzioso e niente può separarci dalla meta ultima: l’incontro con Cristo e la gioia di vivere nella fraternità tra di noi per l’eternità. Questa chiamata finale dobbiamo anticiparla ogni giorno: la relazione d’amore con Dio e con i fratelli e le sorelle inizia fin d’ora a realizzare il sogno di Dio, il sogno dell’unità, della pace e della fraternità. Nessuno si senta escluso da questa chiamata! Ciascuno di noi, nel suo piccolo, nel suo stato di vita può essere, con l’aiuto dello Spirito Santo, seminatore di speranza e di pace.

Il coraggio di mettersi in gioco
Per tutto questo dico, ancora una volta, come durante la Giornata Mondiale della Gioventù a Lisbona: “Rise up! – Alzatevi!”. Svegliamoci dal sonno, usciamo dall’indifferenza, apriamo le sbarre della prigione in cui a volte ci siamo rinchiusi, perché ciascuno di noi possa scoprire la propria vocazione nella Chiesa e nel mondo e diventare pellegrino di speranza e artefice di pace! Appassioniamoci alla vita e impegniamoci nella cura amorevole di coloro che ci stanno accanto e dell’ambiente che abitiamo. Ve lo ripeto: abbiate il coraggio di mettervi in gioco! Don Oreste Benzi, un infaticabile apostolo della carità, sempre dalla parte degli ultimi e degli indifesi, ripeteva che nessuno è così povero da non aver qualcosa da dare, e nessuno è così ricco da non aver bisogno di ricevere qualcosa.
Alziamoci, dunque, e mettiamoci in cammino come pellegrini di speranza, perché, come Maria fece con Santa Elisabetta, anche noi possiamo portare annunci di gioia, generare vita nuova ed essere artigiani di fraternità e di pace.

Papa Francesco

Consiglio dei giovani del Mediterraneo: inaugurata la sede

“Le nuove generazioni sono una ‘frontiera di pace’ perché hanno grandi energie e desideri alti. Di questa forza, di questo entusiasmo, di questo sguardo accogliente dei giovani possiamo beneficiarne tutti”. Lo ha affermato Mons. Giuseppe Baturi, Arcivescovo di Cagliari e Segretario Generale della CEI, che nel pomeriggio del 16 aprile ha inaugurato a Fiesole (Fi) la sede del Consiglio dei giovani del Mediterraneo, l’opera-segno nata dall’incontro di Vescovi e Sindaci dei Paesi del Mediterraneo che si è svolto a Firenze dal 23 al 27 febbraio 2022.
Dopo la visita al Parlamento europeo e alla Comece, i giovani provenienti da 18 Paesi che compongono il Consiglio hanno vissuto oggi un altro momento importante. “Guardiamo ai giovani con particolare speranza”, ha rilevato Mons. Baturi ricordando che “la giovinezza è un tesoro grande, una ricchezza peculiare, per ciò che è in sé stessa e per la fecondità che sa dare. È sempre una primavera, un continuo inizio, un’apertura all’infinito, al futuro e alla felicità”. “Nella giovinezza – ha aggiunto – l’uomo prende in consegna sé stesso, nella scoperta del suo io e nell’emergere delle grandi aspirazioni e desideri, e il mondo intero, di cui si vuol contribuire a determinare il volto, con generosità e creatività, perché nessuno muoia di fame e di odio”. Secondo il Segretario Generale della CEI, “i giovani sono chiamati ad essere pellegrini della verità e anche pellegrini della pace”. “Troviamo – ha concluso – modi nuovi per riconoscerci in cammino, uniti nell’impegno per la dignità dell’uomo e la causa della pace contro ogni specie di menzogna e violenza distruttrice”.
Fortemente voluto e sostenuto dalla CEI, il Consiglio mira a curare la dimensione spirituale, a rafforzare l’azione pastorale davanti alle sfide odierne e a costruire relazioni fraterne, come racconta il portale http://www.giovanimediterraneo.org/. dove sono disponibili informazioni e notizie. Alla cerimonia – a cui è intervenuto l’ambasciatore Pasquale Ferrara, Direttore Generale per gli Affari Politici e Sicurezza del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale – hanno portato il loro saluto anche Mons. Stefano Manetti, Vescovo di Fiesole, Mons. Fabio Celli, Rettore Seminario Vescovile di Fiesole, Anna Ravoni, Sindaca di Fiesole, Patrizia Giunti, Presidente della Rete Mare Nostrum, e di Aleks Birsa Jogan, del Direttivo Consiglio dei Giovani del Mediterraneo.

 

Foto: CEI

8xmille. Al via dal 14 aprile la nuova campagna: protagonisti i territori

Una firma che permette di realizzare gesti concreti di solidarietà e prossimità. Un fatto che si fa immagini e parole nella nuova campagna dell’8xmille alla Chiesa cattolica, che quest’anno sarà lanciata domenica 14 aprile. Uno strumento a corredo dell’impegno sul territorio, condotto dalle diocesi, per la diffusione della conoscenza delle opere, attraverso gli incaricati e gli uffici comunicazioni sociali, che sono i nuovi “registi” della promozione. La nuova campagna, infatti, si muove su due piani: uno nazionale e uno regionale.
Su una dimensione nazionale, diverse rilevazioni hanno dimostrato che la campagna pubblicitaria aumenta il ricordo spontaneo e che incentiva la percezione della Chiesa cattolica vicina alla gente. Tra le novità di quest’anno, l’anticipazione dell’inizio della diffusione degli spot e l’articolazione in due momenti differenti. Tra marzo e aprile, si sta svolgendo una “pre-campagna”. Si tratta di un’attività sviluppata per i nativi digitali: articoli di approfondimento sulle opere e sulle attività protagoniste degli spot, cui segue un’attività di display geolocal, attività pubblicitaria legata al territorio. Idea che nasce dalla considerazione che ciò che è vicino ha un maggiore impatto. Quindi, quel contenuto è visualizzato solo sui device di chi vive nella zona dell’opera scelta. Poi, da domenica prossima, il via alla diffusione degli spot sui vari media, dalla tv ai giornali.

Quest’anno, sono 7 le opere al centro della campagna nazionale, che da nord a sud spazia dalla carità al restauro fino al sostentamento dei sacerdoti.

A livello diocesano, è fondamentale il ruolo degli uffici delle comunicazioni sociali: “Con gli economi e con il vescovo devono individuare le opere più belle da mettere in evidenza e poi realizzare un comunicato stampa sulle opere finanziate. Hanno il compito anche di attivare i media locali – i giornali Fisc e il circuito Corallo -. Saranno a loro disposizione anche alcune le pagine dei giornali digitali locali di City News. Questo dà la possibilità di parlare a un target che non è solo quello del mondo cattolico”, spiega il responsabile del Servizio per la promozione del sostegno economico alla Chiesa cattolica, Massimo Monzio Compagnoni. “Il racconto della prossimità non sarebbe possibile senza il contributo dell’8xmille – spiega il presidente della Fisc, Mauro Ungaro -. I volti delle persone con le loro storie sono per noi l’ordinario ma diventano lo straordinario perché portano in un mondo segnato da generosità. Un mondo sorprendente ma che fa parte della quotidianità. Vogliamo continuare ad aiutare a scoprire quello che si realizza con l’8xmille nella prossimità”. L’importanza di un impegno corale è stata espressa anche da Alessia Caricato, direttrice de Il Corallo, che ha realizzato un video di rendicontazione dell’impegno condiviso con la Fisc: “I territorio sono i diretti beneficiari”, ribadisce. E, infatti, nel 2023 sono stati diffusi 146 video in 30 tv locali su opere sostenute con fondi 8xmille.
Il coinvolgimento di quanti si occupano di informazione e comunicazione a livello diocesano è un tassello importante, come spiega il direttore dell’Ucs Cei, Vincenzo Corrado: “Permette di toccare con mano e prendere sempre più coscienza dell’impegno nella narrazione del buono che viene messo a punto, attraverso l’8xmille, nelle nostre comunità. È quel bene che ha bisogno di essere coltivato quotidianamente e costantemente perché possa portare sempre più frutti maturi. E, in questo caso, – sembra un paradosso ma non lo è – è di rendere ancora più forti anche la comunicazione e l’informazione”.

Fondamentale, dunque, diventa l’impegno a “spiegare l’importanza della firma attivando tutta la comunità a promuovere il sostegno della Chiesa”.

Fonte: SIR/Filippo Passantino

A scuola di futuro

La formazione – scolastica e professionale – come volano di sviluppo. Il Comitato per gli interventi caritativi per lo sviluppo dei popoli ha approvato diversi progetti che puntano alla costruzione di scuole e all’educazione per le varie fasce d’età, oltre che alla sanità e alla promozione sociale.

Con i fondi dell’8xmille che i cittadini destinano alla Chiesa cattolica, saranno realizzati 53 nuovi interventi, per i quali sono stati stanziati € 8.033.319 così suddivisi: € 5.136.346 per 28 progetti in Africa, € 1.271.777 per 12 progetti in America Latina; € 1.569.286 per 12 progetti in Asia, € 55.910 per 1 progetto in Medio Oriente.


Tra gli interventi più significativi, nove sono in Africa: in Congo Brazaville, le suore Missionarie dello Spirito Santo costruiranno una nuova scuola per gli alunni della primaria “Eugénie Caps “ a Pointe Noire. In Costa d’Avorio, la Fondazione Marista per la Solidarietà Onlus completerà il polo scolastico “St. Marcellin Champagnat” così da poter accogliere 450 studenti della diocesi di Bouake. In Madagascar, le Piccole Suore Apostole della Redenzione costruiranno la scuola “Padre Arturo D’Onofrio” per assicurare un’educazione di qualità, ridurre la dispersione scolastica e l’analfabetismo a Lopary, nella diocesi di Farafangana (situata nel sud-est dell’isola a 900 km dalla capitale) dove la maggior parte della popolazione è dedita all’agricoltura, il turismo è inesistente e numerosissimi bambini vivono in villaggi isolati. In Nigeria, gli Spiritani invece potenzieranno la formazione professionale dell’Holy Ghost Model College di Imuwen con l’avvio di laboratori di informatica, edilizia, meccanica, idraulica, arte e artigianato, mentre nella Repubblica Democratica del Congo i Lasalliani promuoveranno formazione professionale per le giovani donne (circa 200) migliorando la loro istruzione e favorendo opportunità di occupazione e sostentamento. Lo stesso avverrà in Sud Sudan grazie al progetto della Fondazione Avsi che offrirà educazione di qualità ai giovani della diocesi di Rumbek, attraverso la fornitura di materiale didattico e di attrezzature professionali, l’allestimento di un laboratorio tecnologico, l’organizzazione di workshop con i rappresentanti delle realtà imprenditoriali locali. In Egitto, la Caritas locale organizzerà corsi di alfabetizzazione e librerie di comunità per aiutare 1350 ragazze a partecipare attivamente alla vita sociale e, al contempo, allestirà degli asili per i bambini di 3 ai 6 anni. In Ciad, poi, la Caritas della diocesi di Doba sosterrà numerose famiglie di agricoltori offrendo formazione e avviando un’azienda pilota per assicurare una maggiore produttività e rigenerare i terreni in una zona ampiamente sfruttata da parte di compagnie straniere che vi estraggono il petrolio. In Etiopia, il Vicariato Apostolico di Hawassa equipaggerà l’unità di terapia intensiva neonatale e le sale operatorie del Centro sanitario Bushulo, attivo in città da circa 40 anni e attualmente primo ospedale del sud del Paese dedicato alla salute materna, infantile e pediatrica per un territorio che conta 19 milioni di abitanti.


Dei 12 progetti finanziati nel Continente latino-americano, grande rilevanza assume quello promosso in Bolivia dal Vicariato Apostolico di Pando che ristrutturerà il Centro de Educacion Especial Sagrada Familia che offre percorsi riabilitativi e educativi a bambini, circa 115, con varie disabilità e costruirà per loro anche uno spazio polivalente, in particolare per svolgere attività sportive. Ad Haiti la diocesi di Jacmel avvierà un intervento a favore di un migliaio di giovani che abitano nella zona povera de “La Montagne”: saranno forniti 600 kit alimentari e sanitari, organizzati incontri di sensibilizzazione sull’utilizzo dell’acqua e corsi professionalizzanti. In Brasile, invece, l’Agenzia Scalabriniana per la Cooperazione allo Sviluppo amplierà i programmi di formazione e certificazione delle competenze per migranti e rifugiati assistiti presso il Centro pastorale per i migranti fondato nel 1980 a Cuiabá.


Nel Continente asiatico, uno dei progetti vedrà la luce a Timor Est dove le Suore della Divina Volontà realizzeranno un Centro sociale a Maumeta (Aileu), nella diocesi di Dili, in un contesto rurale, povero, con pochissime infrastrutture, difficile da raggiungere per la presenza di strade non asfaltate che le condizioni climatiche rendono poco praticabili e pericolose. In 8 città – Karachi, Lahore, Sargodha, Faisalabad, Islamabad, Sialkot, Quetta e Gojra – del Pakistan, infine, grazie ai fondi dell’8xmille, si favorirà l’integrazione delle comunità cristiane e il dialogo interreligioso attraverso la promozione di iniziative ad hoc e soprattutto il sostegno alla formazione di 230 studenti cristiani che frequentano la scuola superiore e l’università, di 455 bambini e ragazzi dai 6 ai 12 anni delle “scuole di pace” (centri gratuiti che aiutano quanti sono a rischio analfabetismo e le loro famiglie nell’inserimento scolastico) e di 450 volontari della Comunità di S. Egidio.

 

Foto: CEI

La visita al Parlamento europeo e alla Comece del Consiglio dei giovani del Mediterraneo

Si conclude oggi la visita alle Istituzioni europee, a Bruxelles, del Consiglio dei giovani del Mediterraneo, opera-segno nata a seguito dell’Incontro di Vescovi e Sindaci del Mediterraneo (Firenze, 23-27 febbraio 2022).

La delegazione, accompagnata da Mons. Giuseppe Baturi, Arcivescovo di Cagliari e Segretario Generale della CEI, è stata ricevuta dalla Dottoressa Roberta Metsola, Presidente del Parlamento europeo, e da Mons. Mariano Crociata, Presidente della Commissione degli Episcopati dell’Unione Europea (Comece), insieme a Mons. Noël Treanor, Nunzio apostolico presso l’Unione Europea. La visita infatti prevedeva una doppia tappa: nella sede del Parlamento europeo e in quella della Comece. 

L’incontro con la Presidente Metsola, osserva Mons. Crociata, è “la conferma di un rapporto che la Chiesa, attraverso la Comece, ha con il Parlamento europeo, e che merita di essere portato avanti perché permette alla Chiesa di svolgere la sua missione e al Parlamento di raccogliere voci che vengono dal mondo cattolico, che è parte importante del popolo europeo”. 

La Presidente Metsola, afferma Mons. Baturi, “ha voluto conoscere meglio le motivazioni e la composizione del Consiglio dei giovani del Mediterraneo. Si è interessata anche della grande visione di Giorgio La Pira, chiedendo di poterla sviluppare in contesti storici che hanno bisogno di quella prospettiva profetica e ricordando che l’Unione europea è soprattutto un progetto di pace”. Il Segretario Generale della CEI esprime gratitudine alla Presidente del Parlamento europeo per “l’impegno a favore della cooperazione e della comprensione tra i popoli e il sostegno alla libertà, alla democrazia e ai diritti”. Con il Consiglio dei giovani del Mediterraneo, spiega Mons. Baturi, “abbiamo voluto scommettere sui giovani perché questo significa scommettere sull’educazione, sulla loro capacità di immaginare un futuro diverso. L’Europa non può non accorgersi di ciò che accade nel Mediterraneo, delle forze vive e della possibilità che esso ha di sviluppare un’azione di pace e di amicizia che avrà ripercussioni in tutto il mondo. Per questo, vogliamo da una parte che i nostri giovani di 18 Paesi conoscano le Istituzioni europee, dall’altra parte chiediamo che le Istituzioni europee tengano conto di queste forze vive e prospettiche capaci di determinare, speriamo, un futuro diverso”. 

Fortemente voluto e sostenuto dalla CEI, il Consiglio mira infatti a curare la dimensione spirituale, a rafforzare l’azione pastorale davanti alle sfide odierne e a costruire relazioni fraterne, come racconta il portale www.giovanimediterraneo.org dove sono disponibili informazioni e notizie. Il 16 aprile, a Fiesole (Fi), inoltre, sarà inaugurata la sede del Consiglio. La fisionomia, la mission e le attività sono state presentate dal Direttivo, nell’ambito dell’evento odierno “Costruire ponti di dialogo, unità e pace tra popoli e culture”. Ai lavori, introdotti dall’europarlamentare Beatrice Covassi, sono intervenuti Mons. Baturi, Mons. Crociata e Patrizia Giunti, Presidente della Rete Mare Nostrum e della Fondazione La Pira.

 

(Foto: Parlamento europeo)

Lettera di Papa Francesco ai cattolici di Terra Santa

Cari fratelli e sorelle,
da tempo vi penso e ogni giorno prego per voi. Ma ora, alla vigilia di questa Pasqua, che per voi sa tanto di Passione e ancora poco di Risurrezione, sento il bisogno di scrivervi per dirvi che vi porto nel cuore. Sono vicino a tutti voi, nei vostri vari riti, cari fedeli cattolici sparsi su tutto il territorio della Terra Santa: in particolare a quanti, in questi frangenti, stanno patendo più dolorosamente il dramma assurdo della guerra, ai bambini cui viene negato il futuro, a quanti sono nel pianto e nel dolore, a quanti provano angoscia e smarrimento.
La Pasqua, cuore della nostra fede, è ancora più significativa per voi che la celebrate nei Luoghi in cui il Signore è vissuto, morto e risorto: non solo la storia, ma neanche la geografia della salvezza esisterebbe senza la Terra che voi abitate da secoli, dove volete restare e dov’è bene che possiate restare. Grazie per la vostra testimonianza di fede, grazie per la carità che c’è tra di voi, grazie perché sapete sperare contro ogni speranza.
Desidero che ciascuno di voi senta il mio affetto di padre, che conosce le vostre sofferenze e le vostre fatiche, in particolare quelle di questi ultimi mesi. Insieme al mio affetto, possiate percepire quello di tutti i cattolici del mondo! Il Signore Gesù, nostra Vita, come Buon Samaritano versi sulle ferite del vostro corpo e della vostra anima l’olio della consolazione e il vino della speranza.
Pensandovi, torna alla memoria il pellegrinaggio che ho compiuto in mezzo a voi dieci anni fa; e faccio mie le parole che San Paolo VI, primo Successore di Pietro pellegrino in Terra Santa, rivolse a tutti i credenti cinquant’anni fa: «Il protrarsi dello stato di tensione nel Medio Oriente, senza che siano compiuti passi conclusivi verso la pace, costituisce un grave e costante pericolo, che minaccia non solo la tranquillità e la sicurezza di quelle popolazioni – e la pace del mondo intero – ma anche certi valori sommamente cari, per diversi motivi, a tanta parte dell’umanità» (Esort. Ap. Nobis in Animo).
Cari fratelli e sorelle, la comunità cristiana di Terra Santa non è stata soltanto, lungo i secoli, custode dei Luoghi della salvezza, ma ha costantemente testimoniato, attraverso le proprie sofferenze, il mistero della Passione del Signore. E, con la sua capacità di rialzarsi e andare avanti, ha annunciato e continua ad annunciare che il Crocifisso è Risorto, che con i segni della Passione è apparso ai discepoli e salito al cielo, portando al Padre la nostra umanità tormentata ma redenta. In questi tempi oscuri, in cui sembra che le tenebre del Venerdì santo ricoprano la vostra Terra e troppe parti del mondo sfigurate dall’inutile follia della guerra, che è sempre e per tutti una sanguinosa sconfitta, voi siete fiaccole accese nella notte; siete semi di bene in una terra lacerata da conflitti.
Per voi e con voi prego: “Signore, tu che sei la nostra pace (cfr Ef 2,14-22), tu che hai proclamato beati gli operatori di pace (cfr Mt 5,9), libera il cuore dell’uomo dall’odio, dalla violenza e dalla vendetta. Noi guardiamo te e seguiamo te, che perdoni, che sei mite e umile di cuore (cfr Mt 11,29). Fa’ che nessuno ci rubi dal cuore la speranza di rialzarci e di risorgere con te, fa’ che non ci stanchiamo di affermare la dignità di ogni uomo, senza distinzione di religione, di etnia o di nazionalità, a partire dai più fragili: dalle donne, dagli anziani, dai piccoli e dai poveri”.
Fratelli, sorelle, voglio dirvi: non siete soli e non vi lasceremo soli, ma rimarremo solidali con voi attraverso la preghiera e la carità operosa, sperando di poter tornare presto da voi come pellegrini, per guardarvi negli occhi e abbracciarvi, per spezzare il pane della fraternità e contemplare quei virgulti di speranza cresciuti dai vostri semi, sparsi nel dolore e coltivati con pazienza.
So che i vostri Pastori, i religiosi e le religiose vi sono vicini: li ringrazio di cuore per quanto hanno fatto e continuano a fare. Cresca e risplenda, nel crogiolo della sofferenza, l’oro dell’unità, anche con i fratelli e le sorelle delle altre Confessioni cristiane, ai quali pure desidero manifestare la mia spirituale vicinanza ed esprimere il mio incoraggiamento. Tutti porto nella preghiera.
Vi benedico e invoco su di voi la protezione della Beata Vergine Maria, figlia della vostra Terra. Rinnovo l’invito a tutti i cristiani del mondo a farvi sentire il loro sostegno concreto e a pregare senza stancarsi, perché l’intera popolazione della vostra cara Terra sia finalmente nella pace.

Fraternamente,
Francesco

 

Foto: (Vatican Media/SIR)

Venerdì 29 marzo: Colletta per la Terra Santa

Venerdì 29 marzo torna la Colletta per la Terra Santa.

COSA E’ LA COLLETTA?

La Colletta pro locis sanctis è una delle raccolte obbligatorie (insieme a Obolo di S. Pietro il 29 giugno e la giornata Missionaria mondiale) a favore delle opere e delle necessità della Terra Santa.

QUANDO SI ORGANIZZA LA COLLETTA?

Il Venerdì Santo o in altro giorno della settimana santa designato dall’ordinario del luogo in tutte le chiese, gli oratori appartenenti al clero diocesano o religioso, si raccolga una colletta che sarà devoluta ai fratelli della Chiesa di Terra Santa, sia per il mantenimento dei santuari, ma soprattutto per le opere pastorali assistenziali, educative, sociali… I fedeli devono essere avvertiti con anticipo di questa iniziativa e della destinazione delle loro offerte.

A CHI VANNO LE OFFERTE?

I parroci e i religiosi consegneranno le offerte della Colletta pro locis sanctis al proprio Ordinario. Egli le consegnerà al Commissario di Terra Santa più vicino. Nel Nord Italia il Commissario è fra Gianluigi Ameglio.

Lettera del Custode di Terra Santa, fra Francesco Patton, per la Colletta del Venerdì Santo 2024

Carissime amiche, carissimi amici, il Signore vi dia pace. Dopo aver sperimentato più di due anni di incertezza a causa del Covid ed esserci illusi che fosse tornata la normalità, improvvisamente il 7 ottobre scorso siamo stati colti di sorpresa dallo scoppio di una nuova guerra in Terra Santa, che, oltre a fare migliaia di morti, ha nuovamente bloccato il flusso dei pellegrini, costretto per lunghi periodi i nostri ragazzi a non andare a scuola e lasciato senza lavoro molti nostri cristiani della Terra Santa, specialmente a Betlemme e in Palestina, ma anche nella Città Vecchia di Gerusalemme e in Israele. In questa situazione sentiamo il bisogno della vicinanza e della solidarietà dei cristiani di tutto il mondo. Anzitutto attraverso la preghiera, perché siamo convinti che solo l’azione della grazia di Dio può cambiare i cuori e volgerli al dialogo, alla riconciliazione e alla pace. Poi una solidarietà e vicinanza attraverso il pellegrinaggio. Infine, una vicinanza e una solidarietà anche attraverso la condivisione di risorse economiche, come frati della Custodia di Terra Santa è nostro compito, secondo il mandato della Santa Sede, prenderci cura dei luoghi santi, dimorarvi e farne luoghi di preghiera, essere accoglienti verso i fedeli locali e verso i pellegrini, e anche mettere in campo opere educative come le scuole, opere sociali come case per anziani e per le giovani famiglie, ambulatori e dispensari, opere di promozione umana attraverso la creazione di posti di lavoro. La Colletta del Venerdì Santo serve a coprire una parte di questi costi, grazie alla generosità dei fedeli di tutto il mondo, grazie alla vostra generosità. In questa occasione, noi frati della Custodia di Terra Santa ci facciamo mendicanti e ci rivolgiamo a voi perché il Venerdì Santo possa essere un giorno di solidarietà universale, un giorno in cui i cristiani di tutto il mondo si prendono concretamente cura della Chiesa madre di Gerusalemme, che in questo momento ne ha estremo bisogno. Per favore, dilatate il vostro cuore e aiutateci secondo le vostre possibilità, così anche noi potremo continuare a prenderci cura di questa Terra Santa e dei suoi figli.

Pace e bene!

Progetto Policoro: online il nuovo sito

È online il nuovo sito del Progetto Policoro: www.progettopolicoro.it. Insieme alla veste grafica, sono stati rivisti anche i contenuti, aggiornandoli secondo le rinnovate esigenze del Progetto. Il portale si articola intorno alle tre parole che ne definiscono l’identità – giovani, Vangelo e lavoro – e alle quali corrisponde un impegno specifico che, da quasi trent’anni, il Progetto porta avanti rappresentando, come ha ricordato il Card. Matteo Zuppi, Arcivescovo di Bologna e Presidente della CEI, “uno degli avamposti più interessanti e partecipati del nostro Paese”.
Realizzato dal Servizio Informatico della CEI e IDS&Unitelm secondo le indicazioni emerse dal gruppo di lavoro formato dal Coordinamento nazionale, dall’Equipe nazionale di Formazione, da Inecoop e dalla Commissione comunicazione del Progetto Policoro, il portale presenta la complessità del Progetto che, fin dalle sue origini, costituisce un laboratorio di sinodalità, di formazione e di annuncio offerto ai giovani e alle comunità cristiane del nostro Paese. “Il nuovo sito – spiega il Coordinatore nazionale, don Ivan Licinio- cerca di raccontare una lunga storia che continua grazie all’impegno, alla passione e alla competenza di quanti hanno a cuore i giovani e credono fermamente che non siano il futuro ma il nostro presente sul quale ci giochiamo la tenuta sociale del nostro Paese e soprattutto la nostra credibilità di credenti quando riusciamo a realizzare la parola dell’apostolo Pietro negli Atti: ‘Quello che ho te lo do nel nome di Gesù, alzati e cammina!’”.
Attualmente sono 114 le Diocesi aderenti al Progetto e 166 sono i giovani coinvolti nell’animazione delle loro comunità locali per avviare processi di formazione e sensibilizzazione su una nuova cultura del lavoro, basata sui principi del Vangelo e della Dottrina sociale della Chiesa.
Il Progetto offre un percorso triennale di alta formazione pensato per fornire agli Animatori di Comunità gli strumenti per incontrare e accompagnare i giovani e i territori in un percorso che giunga a valorizzare la persona nella sua interezza e dignità, riscoprendone la vocazione al lavoro e aprendosi alla vita con le sue capacità professionali e imprenditoriali. Il Progetto Policoro porta il Vangelo tra le periferie della condizione lavorativa giovanile e rappresenta, così, un frutto di speranza alimentato dall’impegno pastorale della Chiesa in Italia, in particolare degli Uffici nazionali per i problemi sociali e il lavoro e per la pastorale giovanile e di Caritas Italiana.

Haiti. Dieci anni di aiuti dalla Cei: 40 milioni per le emergenze

Dal 2010, anno in cui Haiti è stato colpito da un violentissimo terremoto, sono stati destinati circa 40 milioni di euro – tra fondi dell’8xmille e offerte raccolte con la Colletta straordinaria promossa dalla Cei in quell’anno – per interventi emergenziali, progetti di sviluppo socio-economico in vari ambiti, accompagnamento alle diocesi locali.

Una vicinanza che si è articolata negli anni nella convinzione che se la sofferenza non ha confini, anche la solidarietà non deve avere confini. La Chiesa in Italia continua a stare accanto alla popolazione di Haiti, come racconta il Dossier curato dal Servizio per gli interventi caritativi per lo sviluppo dei popoli, in collaborazione con l’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali. Il Dossier, attraverso dati e testimonianze, ripercorre il cammino compiuto ed evidenzia le criticità tuttora esistenti nel Paese che, con circa 10 milioni di abitanti, è il più povero dell’America Latina e Caraibi, il meno sviluppato di tutto l’emisfero settentrionale, con un tasso di povertà pari all’80%. Attualmente alla prese con una spaventosa crisi umanitaria che si innesta su un'emergenza permanente, Haiti rischia di scivolare verso una guerra civile.


“Il tipo di assistenza urgente di cui abbiamo bisogno – spiega il Card. Chibly Langlois, Vescovo di Les Cayes, in un'intervista contenuta nel Dossier – è di ricevere il supporto e i mezzi adeguati per ripristinare la sicurezza, assicurare stabilità, proteggere vite umane e proprietà. Il Paese ha bisogno di ristabilire l'autorità statale attraverso il rafforzamento delle istituzioni democratiche. Occorrerà anche contribuire a creare occupazione e lavoro, affinché gli haitiani possano vivere con dignità grazie ai frutti del loro lavoro. Bisogna considerare che Haiti non si è ancora ripresa dai terremoti del 2010 nell'ovest e del 2021 nel sud del Paese. Adesso arrivano i disastri delle bande armate. Dobbiamo rialzarci e prendere in mano la situazione”. Tra le varie emergenze, una è proprio quella delle gang armate, in cui spesso vengono coinvolti i giovani.


“La Chiesa – viene sottolineato nel Dossier - sta dalla parte del Vangelo e ha il compito di farsi compagna di strada, ponendosi accanto all'umanità ferita, accompagnando e coniugando processi di cura, animazione, promozione e riconciliazione, valorizzando i percorsi già in essere e aprendone di nuovi che la ‘fantasia della carità’ saprà ispirare e mettere a frutto”.

Nel 30° anniversario della morte di don Giuseppe Diana la lettera del card. Matteo Zuppi

Pubblichiamo di seguito la lettera inviata dal Card. Matteo Zuppi, Presidente della CEI, a Mons. Angelo Spinillo, Vescovo di Aversa, in occasione del 30° anniversario della morte di Don Giuseppe Diana.

Caro Monsignore,
desidero esprimere la mia vicinanza alla celebrazione in ricordo di Don Peppino Diana. Era davvero un custode, come San Giuseppe di cui portava il nome e che per spregio proprio nel giorno della sua memoria è stato ucciso. Un uomo di Dio, un testimone semplice e coraggioso, appassionato del suo Signore e per questo senza compromessi con chi offende l’umanità e Dio. La sua testimonianza, chiara e senza nessuna ambiguità, è luce nelle tenebre di una violenza che è solo vigliacca, che arma le mani e i cuori e che cresce sempre nell’indifferenza.
Ricordare Don Peppino ci aiuta a capire che non si può servire Dio e mammona. E di questo ringrazio voi che avete conservato la sua memoria. Don Peppino è una luce di speranza. Il suo sacrificio è il seme caduto a terra per la viltà di un assassino e del sistema di morte che si portava dentro e lo accecava. Il seme continua a dare frutto: l’amore per i poveri, l’attenzione ai fragili, la giustizia nei comportamenti, l’onesta che non accetta opportunismi, rendere il mondo migliore di come lo abbiamo trovato, come ricorda la legge scout che ha amato.
Grazie Mons. Spinillo per la memoria e sentite tu e tutta la tua Chiesa - che ricordo con tanto affetto per la mia visita e che porto nel cuore - la vicinanza della Chiesa italiana, madre fiera di un figlio che ha amato Gesù e il prossimo più delle sue paure e convenienze. E per questo non resta solo e ci fa sentire meno soli, perché niente ci può separare dall’amore di Cristo. Il male uccide il corpo ma non l’amore. Un abbraccio e un impegno di pace.

 

Foto: Siciliani-Gennari/Sir

"Cristiani e musulmani: estinguere il fuoco della guerra e accendere la candela della pace": messaggio per il Ramadan 2024

Cari fratelli e sorelle musulmani,
ancora una volta vi salutiamo in occasione del mese del Ramadan con un messaggio di vicinanza e di amicizia, consapevoli dell’importanza di questo periodo per il vostro cammino spirituale e per la vostra vita famigliare e sociale, che abbraccia anche i vostri amici e vicini cristiani.
Siamo lieti di sapere che il nostro Messaggio annuale per il Ramadan è un mezzo importante per rafforzare e costruire buone relazioni tra cristiani e musulmani, grazie alla sua diffusione attraverso i media tradizionali e moderni, in particolare i social media. Per questo motivo sarebbe utile far conoscere meglio questo Messaggio ad entrambe le comunità.
Avremmo voluto condividere con voi alcune considerazioni su un tema diverso da quello che abbiamo scelto di affrontare, ma il numero crescente di conflitti in questi giorni, che vanno dai combattimenti militari agli scontri armati di varia intensità che coinvolgono Stati, organizzazioni criminali, bande armate e civili, è diventato davvero allarmante. Papa Francesco ha recentemente osservato che questo aumento delle ostilità sta di fatto trasformando “una terza guerra mondiale combattuta a pezzi” in “un vero conflitto globale”.
Le cause di questi conflitti sono molteplici, alcune di lunga data, altre più recenti. Insieme al perenne desiderio umano di dominio, alle ambizioni geopolitiche e agli interessi economici, una delle cause principali è sicuramente la continua produzione e il commercio di armi. Anche se una parte della nostra famiglia umana soffre gravemente gli effetti devastanti dell’uso di queste armi in guerra, altri si rallegrano cinicamente del grande profitto economico derivante da questo commercio immorale. Papa Francesco ha descritto questo come intingere un boccone di pane nel sangue del nostro fratello.
Allo stesso tempo, possiamo essere grati di possedere anche immense risorse umane e religiose per promuovere la pace. Il desiderio di pace e di sicurezza è profondamente radicato nell’animo di ogni persona di buona volontà, poiché nessuno può non vedere gli effetti tragici della guerra nella perdita di vite umane, nel bilancio di gravi ferite e nella moltitudine di orfani e vedove. La distruzione delle infrastrutture e delle proprietà rende la vita irrimediabilmente difficile, se non impossibile. A volte centinaia di migliaia di persone sono sfollate nel proprio Paese o costrette a fuggire in altri Paesi come rifugiati. Di conseguenza, la condanna e il rifiuto della guerra dovrebbero essere inequivocabili: ogni guerra è fratricida, inutile, insensata e oscura. In guerra perdono tutti. Ancora una volta, nelle parole di Papa Francesco: “Nessuna guerra è santa, solo la pace è santa”.
Tutte le religioni, ciascuna a modo suo, considerano la vita umana sacra e quindi degna di rispetto e protezione. Fortunatamente, gli Stati che consentono e praticano la pena capitale diventano ogni anno sempre meno. Un risvegliato senso del rispetto per questa fondamentale dignità del dono della vita contribuirà alla convinzione che la guerra deve essere rifiutata e la pace custodita.
Pur con le loro differenze, le religioni riconoscono l’esistenza e l’importante ruolo della coscienza. Formare le coscienze al rispetto del valore assoluto della vita di ogni persona e del suo diritto all’integrità fisica, alla sicurezza e ad una vita dignitosa contribuirà parimenti alla condanna e al rifiuto della guerra, di ogni guerra e di tutte le guerre.
Guardiamo all’Onnipotente come al Dio della pace, fonte della pace, che ama in modo speciale tutti coloro che dedicano la propria vita al servizio della pace. Come tante cose, la pace è un dono divino ma, allo stesso tempo, il frutto degli sforzi umani, soprattutto nel preparare le condizioni necessarie alla sua instaurazione e conservazione.
Come credenti, noi siamo anche testimoni della speranza, come abbiamo ricordato nel nostro Messaggio per il Ramadan del 2021: “Cristiani e musulmani: testimoni della speranza”. La speranza può essere simboleggiata da una candela, la cui luce irradia sicurezza e gioia, mentre il fuoco, incontrollato, può portare alla distruzione della fauna e della flora, delle infrastrutture e alla perdita di vite umane.

Cari fratelli e sorelle musulmani, uniamoci per spegnere il fuoco dell’odio, della violenza e della guerra, e accendiamo invece la dolce candela della pace, attingendo alle risorse per la pace che sono presenti nelle nostre ricche tradizioni umane e religiose.
Possano il vostro digiuno, le altre pie pratiche durante il Ramadan e la celebrazione di ‘Id al-Fitr che lo conclude, portarvi abbondanti frutti di pace,
speranza e gioia.

 

Miguel Ángel Cardinal Ayuso Guixot, MCCJ
Prefetto del Dicastero per il Dialogo Interreligioso

 

Mons. Indunil Kodithuwakku Janakaratne Kankanamalage
Segretario del Dicastero per il Dialogo Interreligioso

Foto: pexels

XI anniversario dell'elezione al soglio pontificio: gli auguri della Presidenza CEI a Papa Francesco

Pubblichiamo il Messaggio di auguri della Presidenza CEI al Santo Padre in occasione dell’undicesimo anniversario dell’elezione al Soglio pontificio.

Buonasera, gioia, Vangelo, misericordia, amore,
famiglia, giovani, fratellanza, Creato, riforma, Chiesa

Beatissimo Padre,
quelle sopra sono undici parole con cui vogliamo rileggere i Suoi undici anni di pontificato e rivolgerLe gli auguri delle Chiese in Italia.
Buonasera è il primo saluto rivolto al mondo intero, segno di immediatezza e familiarità.
Gioia è invito costante a testimoniare con il sorriso la radicalità della fede.
Vangelo è incontro, ancora oggi e sempre, con il Signore che si dona.
Misericordia è esperienza continua del perdono di Dio.
Amore è il punto di congiunzione del nostro rapporto con Dio e con gli altri.
Famiglia è il luogo dove s’impara ad amare e a uscire da sé stessi.
Giovani: non una categoria, ma il presente della nostra storia.
Fratellanza è la via da seguire per un futuro di pace e convivenza.
Creato è la nostra Casa comune da salvaguardare contro le logiche predatorie.
Riforma è la conversione missionaria cui siamo tutti chiamati.
Chiesa è la comunità dei discepoli missionari che vivono il Vangelo.
Beatissimo Padre,
ogni anniversario è occasione preziosa per testimoniare l’affetto verso le persone care, ma anche il momento in cui esprimere la propria gratitudine per i doni ricevuti nel tempo. Nel fare memoria di quel 13 marzo 2013 rinnoviamo dunque l’impegno ad annunciare il Vangelo in questa nostra storia. Siamo convinti che questo sia il regalo più bello che possiamo donarLe: Evangelii gaudium, la gioia del Vangelo!
Vogliamo essere, con la Sua paterna guida, sempre più una Chiesa sinodale che cammina “in compagnia del Risorto, preoccupata non di salvaguardare sé stessa e i propri interessi, ma di servire il Vangelo in stile di gratuità e di cura, coltivando la libertà e la creatività proprie di chi testimonia la lieta notizia dell’amore di Dio rimanendo radicato in ciò che è essenziale”.
RinnovandoLe la gioia della nostra disponibilità, Le assicuriamo la preghiera delle Chiese che sono in Italia.

Auguri, Santità.

 

Foto: Vatican Media/SIR

Monsignor Petar Rajič Nunzio Apostolico in Italia e nella Repubblica di San Marino

Il Santo Padre ha nominato Nunzio Apostolico in Italia e nella Repubblica di San Marino Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Petar Rajič, Arcivescovo titolare di Sarsenterum, finora Nunzio Apostolico in Lituania, Lettonia ed Estonia.

Pubblichiamo la nota della Presidenza della CEI a seguito della sua nomina.

"Ringraziamo Papa Francesco per l’attenzione continua e costante verso le Chiese in Italia. La nomina del Nunzio Apostolico è espressione del particolare vincolo di comunione che si rinnova tra la Sede Apostolica e le comunità ecclesiali.
In questo momento desideriamo esprimere la nostra gratitudine al Cardinale Emil Paul Tscherrig per il servizio svolto, in questi sette anni, a favore delle nostre Chiese. È stato un tempo intenso, contraddistinto da profondi cambiamenti che stanno interessando i territori e condizionato anche dalla pandemia. Abbiamo davvero avuto modo di sperimentare la sua preziosa azione e il suo consiglio nel rendere sempre più saldi ed efficaci i vincoli di unità con la Sede Apostolica e nel tessere le relazioni con le Autorità dello Stato.
Con gli stessi sentimenti, accogliamo oggi Monsignor Petar Rajič ringraziandolo sin d’ora per il ministero che svolgerà tra di noi. Affidiamo la sua missione ai nostri Patroni San Francesco d’Assisi e Santa Caterina da Siena".

 

Foto CEI

In 10 anni 307 progetti a favore delle donne in 40 Paesi

Negli ultimi 10 anni sono stati 307 i progetti in favore delle donne in più di 40 Paesi per quasi 33 milioni di euro. Dalla formazione al supporto alle donne vittime di violenza, dall’avvio di attività generatrici di reddito alla promozione di un’agricoltura sostenibile, la Chiesa italiana – grazie ai fondi dell’8xmille che i cittadini destinano alla Chiesa cattolica – continua a favorire partecipazione e opportunità.

“Lavorare insieme aiuta a rafforzare i legami, a ridarci speranza. Finalmente qualcuno ci è stato accanto, ci ha dato ascolto, ha capito i nostri bisogni. Ci sentiamo anche noi protagoniste”, sottolinea Jeanine che a Ruyigi, in Burundi, ha beneficiato di un programma per l’accesso all’acqua potabile. Un desiderio di riscatto e di riprendere in mano la propria vita che emerge nelle testimonianze di tante altre donne, dal Madagascar al Congo, dall’India alla Colombia, dal Kosovo alla Terra Santa, che hanno trovato nell’aiuto della Chiesa cattolica un seme da cui far nascere il futuro. Come accade in Costa Rica dove un gruppo di donne ha generato partecipazione e cooperazione in un territorio impervio. “Tempesta e calma. Dopo la tempesta c’è la calma che fa venir fuori dalla terra l’aroma di caffè e come lo senti inizi a sognare e si rafforza il legame con questi campi e la soddisfazione per ciò che siamo riuscite a realizzare”, racconta Margot, che a La Legua de Aserrí, nell’arcidiocesi di San José, ha fondato ASIPROFE, un’associazione di donne imprenditrici che producono e commercializzano “Aromas de La Legua”, un caffè puro al 100%. Tutto è iniziato con un piccolo contributo che nel 2016 ha permesso l’acquisto di una macchina per tostare i chicchi di caffè e un mulino. Da lì ha preso il via un cambiamento duraturo che continua ancora oggi, grazie a Margot, a Lorena, a Maria e a tante altre donne. “In Costa Rica – aggiunge Margot – le donne coltivatrici di caffè guadagnano il 40% in meno rispetto agli uomini e devono affrontare notevoli difficoltà nell’accedere a una formazione e a informazioni adeguate che aiutino a migliorare la produttività, la qualità e il reddito dei loro raccolti. Nonostante tutto questo noi abbiamo dimostrato che insieme possiamo farcela”.
Mai come oggi il mondo ha bisogno della mente, del cuore, delle mani delle donne. Della loro creatività e delle loro competenze. Fondamentale è dunque il loro sostegno verso una prospettiva di pari dignità e opportunità. Papa Francesco ricorda infatti che “… l’organizzazione delle società in tutto il mondo è ancora lontana dal rispecchiare con chiarezza che le donne hanno esattamente la stessa dignità e identici diritti degli uomini. A parole si affermano certe cose, ma le decisioni e la realtà gridano un altro messaggio” (Fratelli tutti, 23).

A livello mondiale, l’uguaglianza di genere è tornata ai livelli pre-Covid19, ma il cambiamento segna il passo a causa delle crisi sociali, economiche ed energetiche che continuano a susseguirsi in un contesto segnato dai conflitti. Secondo il Rapporto globale sulla disparità di genere 2023 del World Economic Forum le donne continuano a sostenere il maggior peso di queste crisi, sotto tutti i profili. Sul fronte della salute, perché più esposte nei servizi di cura e quindi a contagi, sul piano occupazionale e finanziario, anche perché spesso hanno contratti atipici, in relazione alla divisione dei compiti familiari, alla fruizione di strumenti digitali e all’accesso ed esercizio di discipline STEM vale a dire le discipline scientifiche, tecnologiche, ingegneristiche e matematiche che svolgono un ruolo cruciale nella società odierna.


Con gli interventi finanziati, la Chiesa cattolica sostiene le donne, i bambini e i più poveri. Tra gli ambiti più significativi, infatti, figurano l’accompagnamento dei giovani in situazione di marginalità, l’accesso alle cure sanitarie, il dialogo intercomunitario e interreligioso, la formazione e l’istruzione. Specifica attenzione viene data alla sostenibilità dei progetti, con l’obiettivo di un sempre maggiore coinvolgimento della popolazione locale.
Negli ultimi 10 anni la Conferenza Episcopale Italiana, attraverso il Comitato per gli interventi caritativi per lo sviluppo dei popoli e il quotidiano impegno del Servizio, e grazie ai fondi dell’8xmille, ha sostenuto 4138 progetti in 108 Paesi, per 708.8 milioni di euro. Dietro ai numeri ci sono persone, comunità, relazioni. Come dice il nome è un Servizio, che chiede di essere sensibili, attenti, pronti a raccogliere tutti gli stimoli, le richieste di aiuto e le opportunità che il contesto nel quale viviamo è capace di offrire, con un atteggiamento di umiltà e gratitudine. È per gli interventi di carità, una carità che è reciprocità e opportunità per riconoscere le proprie povertà. È per lo sviluppo, uno sviluppo integrale, reale, sostenibile che prende forma attraverso progetti concreti e processi aperti alla partecipazione di ogni persona e di tutti i popoli. A partire dalle nostre comunità, si promuovono così stili di vita e azioni che aiutano a pensare globalmente e a riconoscersi parte dello stesso mondo, fratelli tutti.

 

Foto: CEI

Il 1° marzo in preghiera per la pace

In preghiera perché la Chiesa in Italia e le Chiese in Europa “insegnino a costruire legami di pace e di verità attraverso l’insegnamento autentico del Vangelo per essere un solo corpo e un solo spirito”, perché i governanti delle Nazioni “promuovano il bene comune a partire dai compiti loro affidati affinché si estinguano le contese e le divisioni a favore di una reale comunione tra i popoli della terra” e perché i popoli dell’Ucraina, della Terra Santa e di tutte le terre martoriate dalla guerra “non perdano mai la speranza in te, o Signore, ma, alimentanti dal tuo amore e dalla tua presenza, disprezzino l’odio e favoriscano la giustizia”.

Venerdì 1° marzo, aderendo all’iniziativa del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa (CCEE), le comunità ecclesiali si ritroveranno per celebrare una Messa per l’attuale Sinodo e per le vittime delle guerre che imperversano in Ucraina e in Terra Santa.
Per l’occasione, l’Ufficio Liturgico Nazionale ha predisposto un testo ad hoc della Preghiera dei fedeli che potete scaricare al link sottostante.

https://www.chiesacattolica.it/wp-content/uploads/sites/31/2024/02/26/Preghiera-fedeli_1-marzo-2024.pdf

 

Foto CEI

Cammino sinodale: conclusi i lavori del Comitato Nazionale

Non è una tecnica. È uno sforzo comune per arrivare a costruire decisioni insieme. Uno sforzo empirico che prende corpo strada facendo. Il Cammino sinodale, parafrasando Antonio Machado, si fa solo camminando. Fianco a fianco: Chiese locali, Uffici e Servizi della CEI, Comitato Nazionale.

“La fase sapienziale è molto importante perché i soggetti che sono stati coinvolti nell’ascolto ora vengono interpellati per individuare proposte e scelte operative”, ha sottolineato Mons. Giuseppe Baturi, Segretario Generale della CEI, introducendo i lavori del Comitato Nazionale del Cammino sinodale, che – moderati da Mons. Claudio Giuliodori, membro della Presidenza del Comitato – si sono tenuti a Roma il 24 e il 25 febbraio. “Il cammino – ha affermato Mons. Baturi – deve tendere ad un’incidenza effettiva: l’ascolto deve farsi ragione di governo. La partecipazione e la corresponsabilità devono permeare la Chiesa ai vari livelli”.


Nei prossimi mesi, con l’approssimarsi della conclusione della fase sapienziale, infatti, i vari percorsi confluiranno in un’unica via verso le scelte profetiche attese per la tarda primavera del 2025. Nella certezza che, come ha sottolineato Mons. Valentino Bulgarelli, Segretario del Comitato, “non ci sono processi paralleli ma un lavoro condiviso tra laici, presbiteri, Vescovi per far maturare la Tradizione a servizio delle Chiese locali”.


L’essenza stessa del Comitato, nella sua pluralità di competenze, biografie, provenienze, è espressione della volontà di unire tutti. Articolato in cinque Commissioni – “La missione secondo lo stile della prossimità”, “Linguaggio e comunicazione”, “Formazione alla fede e alla vita”, “Corresponsabilità e ministerialità”, “Il cambiamento delle strutture” –, il suo compito è individuare le “condizioni di possibilità” per l’annuncio del Vangelo in questo tempo. Nelle riflessioni, attese per la fine di aprile, si innesteranno i contributi, le esperienze vissute, le proposte immaginate dalle Diocesi.

Un grande discernimento ecclesiale che porterà all’Assemblea Generale della CEI del maggio 2024: “in questi mesi – ha spiegato mons. Erio Castellucci, Presidente del Comitato – verrà preparata una sintesi di tutti i contributi elaborati a diversi livelli che sarà portata all’Assemblea Generale della CEI in programma a maggio. Arricchita dal confronto tra i Vescovi, questa sarà presentata al Consiglio Permanente di settembre e poi servirà da base per la prima assemblea sinodale prevista dal 15 al 17 novembre 2024”. “Da metà novembre 2024 fino a febbraio 2025 – ha continuato – le Chiese locali potranno inviare indicazioni, suggerimenti e osservazioni in vista della seconda assemblea sinodale, che si terrà dal 31 marzo al 4 aprile 2025”. Da questi passaggi scaturirà quella visione di insieme che, dopo l’Assemblea Generale di maggio 2025, sarà riconsegnata alle Chiese particolari, dando il via alla fase di ricezione.
Importanti le prime intuizioni emerse dal confronto all’interno delle Commissioni. La missione non è proselitismo bensì essenza costitutiva della Chiesa convocata da Dio a contribuire alla realizzazione del suo sogno per l’intera famiglia umana. Una consapevolezza di sé e del suo rapporto con il mondo – nell’ottica del Concilio – che deve trovare espressione in tutte le forme di linguaggio con cui la comunità ecclesiale comunica e si comunica. Da tecnica strategica, la comunicazione diviene, dunque, banco di prova della capacità della Chiesa di incarnarsi nella realtà. In questa linea, la formazione è affidata all’intera comunità che ha come riferimento la pedagogia di Gesù. Da qui la necessità di andare oltre il modello scolastico dell’iniziazione cristiana, il riequilibrio dello sforzo tra quest’ultima e l’educazione di giovani e adulti, l’aggiornamento della formazione dei presbiteri sviluppando l’idea di comunità vocazionali, la creazione di spazi formativi comuni tra laici e presbiteri e presbiteri e Vescovi, la cura dell’alleanza educativa. Per quanto riguarda la corresponsabilità, in un supplemento del discernimento, è emersa la necessità di realizzare approfondimenti su alcuni nodi specifici, quali gli organismi di partecipazione e i vari ministeri. Questo il quadro in cui si inserisce il cambiamento delle strutture che non significa solo l’impiego dei beni materiali bensì la maturazione di modelli di governance ispirati da una visione di Chiesa-comunità in missione. “Primi frutti del discernimento – ha concluso Mons. Antonio Raspanti, membro della Presidenza del Comitato – che si sommano al grande di frutto dell’edificazione in atto di un nuovo metodo ecclesiale. Un metodo che matura le proprie conclusioni e proposizioni a partire dall’ascolto, paziente, a volto faticoso, sempre fecondo, del Popolo di Dio”.

 

Foto: CEI

Concordato, strumento di libertà e collaborazione

“Un ottimo strumento di libertà e collaborazione per la realizzazione della missione della Chiesa in Italia e nel mondo”. Così Mons. Giuseppe Baturi, Arcivescovo di Cagliari e Segretario Generale della CEI, definisce il Concordato che ha portato la Conferenza Episcopale “ad esprimere in modo unitario la volontà dei Vescovi e a incrementare la produzione normativa di diritto particolare, assumendo una presenza sempre più significativa sulla scena nazionale”.

Intervenendo al convegno organizzato dall’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede e dalla Fondazione Craxi sul tema “Stato e Chiesa. A 40 anni dalla firma del Concordato repubblicano”, Mons. Baturi ha illustrato l’impegno della CEI nei vari ambiti di collaborazione con lo Stato. “La prospettiva che ha animato e continuerà ad animare tutta la Chiesa italiana nella sua azione di collaborazione con lo Stato italiano – ha assicurato – è soprattutto quella di offrire un contributo creativo al bene morale e alla crescita del Paese”.L’Accordo del 1984, ha ricordato mons. Baturi, “oltre ad aver contribuito ad assicurare alla CEI un ruolo di interlocuzione con le autorità civili le ha anche attribuito puntuali competenze concordatarie, riconoscendola come il soggetto ecclesiale più idoneo a trattare con i pubblici poteri”. Come dimostra “quella disposizione generale posta nell’art. 2.2 dell’Accordo che nell’assicurare alla CEI la piena libertà di comunicazione e corrispondenza la menziona tra i soggetti ecclesiali subito dopo la Santa Sede, rivelando l’importanza che essa assume nell’economia complessiva della nuova disciplina concordataria”.

La collaborazione della Conferenza Episcopale con le autorità civili, ha proseguito il Segretario Generale, “non ha riguardato solo la definizione delle norme di attuazione quanto anche il piano amministrativo e i rapporti con le amministrazioni pubbliche”. “In questi quarant’anni di collaborazione – ha rilevato l’Arcivescovo – l’abituale confronto tenuto dalla CEI con le pubbliche autorità e la rappresentanza delle istituzioni ecclesiali ha prodotto una mole ingente di documenti e assicurato soluzioni condivise su molti ambiti”.Secondo Mons. Baturi, “la materia che più di altre ha costituito per la CEI un importante banco di prova di maturità e responsabilità è quella degli enti e beni ecclesiastici”. “È toccato alla CEI – ha affermato – riscrivere ed attuare, dettando una puntuale e specifica disciplina canonica, tutta la materia del sostentamento del clero e la disciplina sulla gestione dei fondi provenienti dall’8 per mille che con l’entrata in vigore del nuovo codice di diritto canonico del 1983 andava completamente rivista”. A tale proposito, il Segretario Generale ha giudicato “positivo il percorso intrapreso, in collaborazione con lo Stato, per mettere a punto un sistema trasparente ed efficiente di impiego delle risorse finanziarie sia per assicurare il congruo e dignitoso sostentamento ai nostri sacerdoti sia per assicurare le opere di carità e di soccorso della Chiesa in Italia e nel mondo”.

Nel suo intervento, Mons. Baturi ha inoltre sottolineato che, nell’ambito dell’Accordo, la CEI ha potuto “dispiegare il proprio impegno non solo su materie concordatarie molto importanti quanto anche in nuovi settori della solidarietà, della cultura, della formazione, e in particolare di offrire il proprio contributo sul drammatico fenomeno dell’immigrazione”. È avvenuto, ad esempio, con la sottoscrizione di protocolli d’intesa “per l’apertura di corridoi umanitari allo scopo di favorire l’arrivo in Italia in modo legale e in condizioni di sicurezza di soggetti vulnerabili e beneficiari di protezioni internazionali”. Si tratta “di iniziative ed attività che si propongono di rispondere alle urgenze provocate dal fenomeno migratorio sperimentando forme innovative di accoglienza e canali legali alternativi”, ha osservato il Segretario Generale per il quale “l’esperienza realizzata anche a motivo della sinergia con le istituzioni civili e l’associazionismo civile consente di apprezzarle come buone pratiche che potrebbero in analogia essere mutuate da altri paesi europei pur nelle differenze degli assetti nazionali”.


Dopo aver ricordato che “l’ambito della solidarietà è certamente un altro settore in cui l’attivazione di modelli di collaborazione può contribuire a dare risposte efficienti valorizzando le esperienze di tutte le realtà del cosiddetto Terzo settore”, Mons. Baturi si è quindi soffermato “sul riconoscimento e sul sostegno che all’azione della CEI è venuto dai pontefici che in questi ultimi quarant’anni si sono avvicendati alla guida della Chiesa Universale”. “Da San Giovanni Paolo II a Benedetto XVI e oggi con Papa Francesco – ha concluso – la CEI ha sempre goduto del pieno sostegno e della più ampia fiducia rispetto al proprio operato nel rapporto con le autorità civili”.

 

(Foto Siciliani-Gennari/SIR)

Terremoto in Siria e Turchia: un anno dopo

Ad un anno dal terremoto che ha colpito la zona al confine tra la Turchia e la Siria, Caritas Italiana pubblica alcune schede informative relative agli interventi compiuti sul territorio.


In Turchia, la rete Caritas si è mobilitata immediatamente per portare aiuto alla comunità. Nella primissima fase è stato attivato in Anatolia un numero verde del centro d’ascolto a supporto della comunità, sono state distribuite coperte e forniti pasti caldi per le persone sfollate. Successivamente è stato elaborato un piano di risposta rapida all’emergenza seguito da un programma di medio periodo di cui hanno beneficiato circa 38.000 persone.


In Siria, la Caritas locale ha mobilitato i team degli uffici regionali e nazionale nel soccorso alla popolazione colpita avviando la distribuzione di beni primari, cibo, acqua potabile e generi di prima necessità (coperte, indumenti pesanti, kit igienici…); la distribuzione è avvenuta in 71 centri di accoglienza comunitari presenti nelle aree colpite dal sisma, in particolare in quelli situati nelle zone di Aleppo e di Lattakia. Molti di questi centri sono stati allestiti dalle parrocchie locali, che hanno accolto gli sfollati. Le famiglie aiutate sono state circa 10mila.

Al 31 dicembre 2023, Caritas Italiana ha raccolto per Turchia e Siria 13.067.814,08 euro: tale somma comprende 1,5 milioni di contributo della CEI (fondi 8xmille) e le donazioni giunte attraverso la colletta nazionale.
Le uscite per Turchia e Siria ammontano a 3.405.017,30 euro (di cui 1.253.514.11 per la Turchia e 2.151.503.19 per la Siria). Questa cifra comprende i fondi spesi, quelli trasferiti in loco e le risorse accantonate per Caritas Italiana (5 per cento delle offerte non CEI). I restanti 9.662.796,78 euro comprendono fondi già stanziati ma non ancora spesi né trasferiti e fondi che sono destinati a progetti ancora da definire. In caso di catastrofi naturali, infatti, gli interventi si svolgono sulla base di una progettazione pluriennale e dunque i fondi raccolti vengono messi a disposizione man mano che le progettualità lo richiedono.

Il 18 febbraio la Colletta Nazionale pro Terra Santa

Terra Santa

Il 18 febbraio colletta nazionale
per esprimere solidarietà e partecipazione

La Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana indice per domenica 18 febbraio (I di Quaresima) una colletta nazionale, da tenersi in tutte le chiese italiane, quale segno concreto di solidarietà e partecipazione di tutti i credenti ai bisogni, materiali e spirituali, delle popolazioni colpite dal conflitto in Terra Santa.

Le offerte raccolte, da inviare a Caritas Italiana entro il 3 maggio, renderanno possibile una progettazione unitaria degli interventi anche grazie al coordinamento con la rete delle Caritas internazionali impegnate sul campo. 

“Caritas Italiana – spiega il direttore, don Marco Pagniello – è in costante contatto con la Chiesa locale: dopo aver sostenuto, nella fase iniziale dell’emergenza, gli interventi di Caritas Gerusalemme, continua a seguire l’evolversi della situazione, accompagnando le Chiese locali nell’organizzazione delle diverse iniziative per far fronte ai bisogni dei più poveri e favorire un clima di pace e riconciliazione”. 

La colletta del 18 febbraio rappresenta, inoltre, una preziosa occasione di sensibilizzazione e animazione delle comunità parrocchiali italiane. A tal fine Caritas Italiana sta predisponendo sussidi e locandine che sanno messi a disposizione delle Diocesi.

 

Maggiori informazioni: https://www.caritas.it/terra-santa-ferita/

Nuova identità grafica per l’Editore Paoline

Le Figlie di San Paolo, comunemente note come suore Paoline, il 5 febbraio scorso hanno presentato il restyling del marchio editoriale Paoline, che sostituisce esattamente dopo 30 anni il precedente.

 Accanto al marchio editoriale rinnovato, ricorrendo anche il 60° anniversario dalla nascita al cielo di suor Tecla Merlo, cofondatrice dell’Istituto, anche un nuovo logo istituzionale per la Congregazione.

Il contesto attuale in rapida evoluzione ha incoraggiato le Figlie di San Paolo ad adeguare la propria identità visiva per rispondere alle esigenze dei tempi moderni, per comunicare sempre meglio e in maniera coordinata in oltre 50 nazioni, attraverso siti web, social network, libri, strumenti multimediali e nei tanti luoghi dove essere presenti oggi e domani.

Assecondando il linguaggio dell’era digitale del XXI secolo e seguendo il loro carisma di comunicatrici del Vangelo, le Figlie di San Paolo attraverso il proprio Editore Paoline danno vita a un’azione di rebranding, che coinvolge centinaia di lingue in 50 Paesi del mondo, per offrire una nuova forma di comunicazione e annuncio del Vangelo, che guardi a tutti i nuovi media e diventi sempre più capace di esserci nella complessità dei tempi e delle società. Spingersi sempre oltre, protendersi sempre oltre, puntare sempre oltre: è ciò che da sempre caratterizza una storia fatta di instancabile impegno per l’evangelizzazione ed è segno di una promessa per un futuro di innovazione, cambiamento, presenza.

L'ellisse di colore blu, con una linea aperta e inclusiva, rappresenta il mondo al quale le Paoline sono chiamate ad annunciare il Vangelo. Il colore blu richiama l'ambito digitale e le reti dell’infrastruttura informatica ed esprime il desiderio di essere apostole del XXI secolo. La lettera P, con il suo colore identitario rosso, simboleggia lo slancio pastorale di Paolo, modello del vivere in Cristo e ispiratore della missione. In alcune lingue, rappresenta anche la P di Parola, Palabra, Palavra… da diffondere in tutto il mondo. Il logotipo Paoline, posto al di sotto dell’emblema: l’ellisse e la P, rappresenta la base solida, come le radici di un albero maestoso.

Accanto al restyling del marchio editoriale, le Figlie di San Paolo si dotano da oggi anche di un nuovo logo istituzionale. Il nome "Figlie di San Paolo" racchiude la profonda connessione che le lega all'Apostolo delle genti. Tuttavia, nei 50 Paesi dove si trovano, il nome si riverbera attraverso una varietà di forme. È per questo motivo che si è scelto di raffigurare la Congregazione attraverso un nuovo logo ispirato al distintivo. L’ellisse, condivisa con l’Editore Paoline, rappresenta la Congregazione e la missione dell’evangelizzazione; aperta e inclusiva in quanto abbraccia la Croce-Libro, che richiama il distintivo delle Figlie di San Paolo, l’Apostolo delle genti e la Parola da annunciare.

Il Messaggio di Papa Francesco per la Giornata del Malato

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
PER LA XXXII GIORNATA MONDIALE DEL MALATO

11 febbraio 2024

«Non è bene che l’uomo sia solo». Curare il malato curando le relazioni

«Non è bene che l’uomo sia solo» (Gen 2,18). Fin dal principio, Dio, che è amore, ha creato l’essere umano per la comunione, inscrivendo nel suo essere la dimensione delle relazioni. Così, la nostra vita, plasmata a immagine della Trinità, è chiamata a realizzare pienamente sé stessa nel dinamismo delle relazioni, dell’amicizia e dell’amore vicendevole. Siamo creati per stare insieme, non da soli. E proprio perché questo progetto di comunione è inscritto così a fondo nel cuore umano, l’esperienza dell’abbandono e della solitudine ci spaventa e ci risulta dolorosa e perfino disumana. Lo diventa ancora di più nel tempo della fragilità, dell’incertezza e dell’insicurezza, spesso causate dal sopraggiungere di una qualsiasi malattia seria.

Penso ad esempio a quanti sono stati terribilmente soli, durante la pandemia da Covid-19: pazienti che non potevano ricevere visite, ma anche infermieri, medici e personale di supporto, tutti sovraccarichi di lavoro e chiusi nei reparti di isolamento. E naturalmente non dimentichiamo quanti hanno dovuto affrontare l’ora della morte da soli, assistiti dal personale sanitario ma lontani dalle proprie famiglie.

Allo stesso tempo, partecipo con dolore alla condizione di sofferenza e di solitudine di quanti, a causa della guerra e delle sue tragiche conseguenze, si trovano senza sostegno e senza assistenza: la guerra è la più terribile delle malattie sociali e le persone più fragili ne pagano il prezzo più alto.

Occorre tuttavia sottolineare che, anche nei Paesi che godono della pace e di maggiori risorse, il tempo dell’anzianità e della malattia è spesso vissuto nella solitudine e, talvolta, addirittura nell’abbandono. Questa triste realtà è soprattutto conseguenza della cultura dell’individualismo, che esalta il rendimento a tutti i costi e coltiva il mito dell’efficienza, diventando indifferente e perfino spietata quando le persone non hanno più le forze necessarie per stare al passo. Diventa allora cultura dello scarto, in cui «le persone non sono più sentite come un valore primario da rispettare e tutelare, specie se povere o disabili, se “non servono ancora” – come i nascituri –, o “non servono più” – come gli anziani» (Enc. Fratelli tutti, 18). Questa logica pervade purtroppo anche certe scelte politiche, che non riescono a mettere al centro la dignità della persona umana e dei suoi bisogni, e non sempre favoriscono strategie e risorse necessarie per garantire ad ogni essere umano il diritto fondamentale alla salute e l’accesso alle cure. Allo stesso tempo, l’abbandono dei fragili e la loro solitudine sono favoriti anche dalla riduzione delle cure alle sole prestazioni sanitarie, senza che esse siano saggiamente accompagnate da una “alleanza terapeutica” tra medico, paziente e familiare.

Ci fa bene riascoltare quella parola biblica: non è bene che l’uomo sia solo! Dio la pronuncia agli inizi della creazione e così ci svela il senso profondo del suo progetto per l’umanità ma, al tempo stesso, la ferita mortale del peccato, che si introduce generando sospetti, fratture, divisioni e, perciò, isolamento. Esso colpisce la persona in tutte le sue relazioni: con Dio, con sé stessa, con l’altro, col creato. Tale isolamento ci fa perdere il significato dell’esistenza, ci toglie la gioia dell’amore e ci fa sperimentare un oppressivo senso di solitudine in tutti i passaggi cruciali della vita.

Fratelli e sorelle, la prima cura di cui abbiamo bisogno nella malattia è la vicinanza piena di compassione e di tenerezza. Per questo, prendersi cura del malato significa anzitutto prendersi cura delle sue relazioni, di tutte le sue relazioni: con Dio, con gli altri – familiari, amici, operatori sanitari –, col creato, con sé stesso. È possibile? Si, è possibile e noi tutti siamo chiamati a impegnarci perché ciò accada. Guardiamo all’icona del Buon Samaritano (cfr Lc 10,25-37), alla sua capacità di rallentare il passo e di farsi prossimo, alla tenerezza con cui lenisce le ferite del fratello che soffre.

Ricordiamo questa verità centrale della nostra vita: siamo venuti al mondo perché qualcuno ci ha accolti, siamo fatti per l’amore, siamo chiamati alla comunione e alla fraternità. Questa dimensione del nostro essere ci sostiene soprattutto nel tempo della malattia e della fragilità, ed è la prima terapia che tutti insieme dobbiamo adottare per guarire le malattie della società in cui viviamo.

A voi, che state vivendo la malattia, passeggera o cronica, vorrei dire: non abbiate vergogna del vostro desiderio di vicinanza e di tenerezza! Non nascondetelo e non pensate mai di essere un peso per gli altri. La condizione dei malati invita tutti a frenare i ritmi esasperati in cui siamo immersi e a ritrovare noi stessi.

In questo cambiamento d’epoca che viviamo, specialmente noi cristiani siamo chiamati ad adottare lo sguardo compassionevole di Gesù. Prendiamoci cura di chi soffre ed è solo, magari emarginato e scartato. Con l’amore vicendevole, che Cristo Signore ci dona nella preghiera, specialmente nell’Eucaristia, curiamo le ferite della solitudine e dell’isolamento. E così cooperiamo a contrastare la cultura dell’individualismo, dell’indifferenza, dello scarto e a far crescere la cultura della tenerezza e della compassione.

Gli ammalati, i fragili, i poveri sono nel cuore della Chiesa e devono essere anche al centro delle nostre attenzioni umane e premure pastorali. Non dimentichiamolo! E affidiamoci a Maria Santissima, Salute degli infermi, perché interceda per noi e ci aiuti ad essere artigiani di vicinanza e di relazioni fraterne.

Roma, San Giovanni in Laterano, 10 gennaio 2024

FRANCESCO

Il Messaggio per la 46ª Giornata Nazionale per la Vita

Pubblichiamo il Messaggio che il Consiglio Episcopale Permanente della CEI ha preparato per la 46ª Giornata Nazionale per la Vita, che si celebrerà il 4 febbraio 2024 sul tema «La forza della vita ci sorprende. “Quale vantaggio c’è che l’uomo guadagni il mondo intero e perda la sua vita?” (Mc 8,36)».

1. Molte, troppe “vite negate”
Sono numerose le circostanze in cui si è incapaci di riconoscere il valore della vita tanto che, per tutta una serie di ragioni, si decide di metterle fine o si tollera che venga messa a repentaglio.
La vita del nemico – soldato, civile, donna, bambino, anziano… – è un ostacolo ai propri obiettivi e può, anzi deve, essere stroncata con la forza delle armi o comunque annichilita con la violenza. La vita del migrante vale poco, per cui si tollera che si perda nei mari o nei deserti o che venga violentata e sfruttata in ogni possibile forma. La vita dei lavoratori è spesso considerata una merce, da “comprare” con paghe insufficienti, contratti precari o in nero, e mettere a rischio in situazioni di patente insicurezza. La vita delle donne viene ancora considerata proprietà dei maschi – persino dei padri, dei fidanzati e dei mariti – per cui può essere umiliata con la violenza o soffocata nel delitto. La vita dei malati e disabili gravi viene giudicata indegna di essere vissuta, lesinando i supporti medici e arrivando a presentare come gesto umanitario il suicidio assistito o la morte procurata. La vita dei bambini, nati e non nati, viene sempre più concepita come funzionale ai desideri degli adulti e sottoposta a pratiche come la tratta, la pedopornografia, l’utero in affitto o l’espianto di organi. In tale contesto l’aborto, indebitamente presentato come diritto, viene sempre più banalizzato, anche mediante il ricorso a farmaci abortivi o “del giorno dopo” facilmente reperibili.
Tante sono dunque le “vite negate”, cui la nostra società preclude di fatto la possibilità di esistere o la pari dignità con quelle delle altre persone.

2. La forza sorprendente della vita
Eppure, se si è capaci di superare visioni ideologiche, appare evidente che ciascuna vita, anche quella più segnata da limiti, ha un immenso valore ed è capace di donare qualcosa agli altri. Le tante storie di persone giudicate insignificanti o inferiori che hanno invece saputo diventare punti di riferimento o addirittura raggiungere un sorprendente successo stanno a dimostrare che nessuna vita va mai discriminata, violentata o eliminata in ragione di qualsivoglia considerazione.
Quante volte il capezzale di malati gravi diviene sorgente di consolazione per chi sta bene nel corpo, ma è disperato interiormente. Quanti poveri, semplici, piccoli, immigrati… sanno mettere il poco che hanno a servizio di chi ha più problemi di loro. Quanti disabili portano gioia nelle famiglie e nelle comunità, dove non “basta la salute” per essere felici. Quante volte colui che si riteneva nemico mortale compie gesti di fratellanza e perdono. Quanto spesso il bambino non voluto fa della propria vita una benedizione per sé e per gli altri.
La vita, ogni vita, se la guardiamo con occhi limpidi e sinceri, si rivela un dono prezioso e possiede una stupefacente capacità di resilienza per fronteggiare limiti e problemi.

3. Le ragioni della vita
Al di là delle numerose esperienze che fanno dubitare delle frettolose e interessate negazioni, la vita ha solide ragioni che ne attestano sempre e comunque la dignità e il valore.
La scienza ha mostrato in passato l’inconsistenza di innumerevoli valutazioni discriminatorie, smascherandone la natura ideologica e le motivazioni egoistiche: chi, ad esempio, tentava di fondare scientificamente le discriminazioni razziali è rimasto senza alcuna valida ragione. Ma anche chi tenta di definire un tempo in cui la vita nel grembo materno inizi ad essere umana si trova sempre più privo di argomentazioni, dinanzi alle aumentate conoscenze sulla vita intrauterina, come ha mostrato la recente pubblicazione Il miracolo della vita, autorevolmente presentata dal Santo Padre.
Quando, poi, si stabilisce che qualcuno o qualcosa possieda la facoltà di decidere se e quando una vita abbia il diritto di esistere, arrogandosi per di più la potestà di porle fine o di considerarla una merce, risulta in seguito assai difficile individuare limiti certi, condivisi e invalicabili. Questi risultano alla fine arbitrari e meramente formali. D’altra parte, cos’è che rende una vita degna e un’altra no? Quali sono i criteri certi per misurare la felicità e la realizzazione di una persona? Il rischio che prevalgano considerazioni di carattere utilitaristico o funzionalistico metterebbe in guardia la retta ragione dall’assumere decisioni dirimenti in questi ambiti, come purtroppo è accaduto e accade. Da questo punto di vista, destano grande preoccupazione gli sviluppi legislativi locali e nazionali sul tema dell’eutanasia.
Così gli sbagli del passato si ripetono e nuovi continuamente vengono ad aggiungersi, favoriti dalle crescenti possibilità che la tecnologia oggi offre di manipolare e dominare l’essere umano, e dal progressivo sbiadirsi della consapevolezza sulla intangibilità della vita. Deprechiamo giustamente le negazioni della vita perpetrate nel passato, spesso legittimate in nome di visioni ideologiche o persino religiose per noi inaccettabili. Siamo sicuri che domani non si guarderà con orrore a quelle di cui siamo oggi indifferenti testimoni o cinici operatori? In tal caso non basterà invocare la liceità o la “necessità” di certe pratiche per venire assolti dal tribunale della storia.

4. Accogliere insieme ogni vita
Nella Giornata per la vita salga dunque, da parte di tutte le donne e gli uomini, un forte appello all’impossibilità morale e razionale di negare il valore della vita, ogni vita. Non ne siamo padroni né possiamo mai diventarlo; non è ragionevole e non è giusto, in nessuna occasione e con nessuna motivazione.
Il rispetto della vita non va ridotto a una questione confessionale, poiché una civiltà autenticamente umana esige che si guardi ad ogni vita con rispetto e la si accolga con l’impegno a farla fiorire in tutte le sue potenzialità, intervenendo con opportuni sostegni per rimuovere ostacoli economici o sociali. Papa Francesco ricorda che «il grado di progresso di una civiltà si misura dalla capacità di custodire la vita, soprattutto nelle sue fasi più fragili» (Discorso all’associazione Scienza & Vita, 30 maggio 2015). La drammatica crisi demografica attuale dovrebbe costituire uno sprone a tutelare la vita nascente.

5. Stare da credenti dalla parte della vita
Per i credenti, che guardano il mistero della vita riconoscendo in essa un dono del Creatore, la sua difesa e la sua promozione, in ogni circostanza, sono un inderogabile impegno di fede e di amore. Da questo punto di vista, la Giornata assume una valenza ecumenica e interreligiosa, richiamando i fedeli di ogni credo a onorare e servire Dio attraverso la custodia e la valorizzazione delle tante vite fragili che ci sono consegnate, testimoniando al mondo che ognuna di esse è un dono, degno di essere accolto e capace di offrire a propria volta grandi ricchezze di umanità e spiritualità a un mondo che ne ha sempre maggiore bisogno.

Roma, 26 settembre 2023

Il Consiglio Episcopale Permanente
della Conferenza Episcopale Italiana

Intelligenza artificiale e sapienza del cuore: il messaggio del Papa per la 58° Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali

Pubblichiamo di seguito il Messaggio del Santo Padre per la 58ma Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali che quest’anno si celebra, in molti Paesi, il 12 maggio 2024 sul tema: Intelligenza artificiale e sapienza del cuore: per una comunicazione pienamente umana:

Intelligenza artificiale e sapienza del cuore:

per una comunicazione pienamente umana

Cari fratelli e sorelle!

L’evoluzione dei sistemi della cosiddetta “intelligenza artificiale”, sulla quale ho già riflettuto nel recente Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, sta modificando in modo radicale anche l’informazione e la comunicazione e, attraverso di esse, alcune basi della convivenza civile. Si tratta di un cambiamento che coinvolge tutti, non solo i professionisti. L’accelerata diffusione di meravigliose invenzioni, il cui funzionamento e le cui potenzialità sono indecifrabili per la maggior parte di noi, suscita uno stupore che oscilla tra entusiasmo e disorientamento e ci pone inevitabilmente davanti a domande di fondo: cosa è dunque l’uomo, qual è la sua specificità e quale sarà il futuro di questa nostra specie chiamata homo sapiens nell’era delle intelligenze artificiali? Come possiamo rimanere pienamente umani e orientare verso il bene il cambiamento culturale in atto?

A partire dal cuore

Innanzitutto conviene sgombrare il terreno dalle letture catastrofiche e dai loro effetti paralizzanti. Già un secolo fa, riflettendo sulla tecnica e sull’uomo, Romano Guardini invitava a non irrigidirsi contro il “nuovo” nel tentativo di «conservare un bel mondo condannato a sparire». Al tempo stesso, però, in modo accorato ammoniva profeticamente: «Il nostro posto è nel divenire. Noi dobbiamo inserirvici, ciascuno al proprio posto (…), aderendovi onestamente ma rimanendo tuttavia sensibili, con un cuore incorruttibile, a tutto ciò che di distruttivo e di non umano è in esso». E concludeva: «Si tratta, è vero, di problemi di natura tecnica, scientifica, politica; ma essi non possono esser risolti se non procedendo dall’uomo. Deve formarsi un nuovo tipo umano, dotato di una più profonda spiritualità, di una libertà e di una interiorità nuove»[1].

In quest’epoca che rischia di essere ricca di tecnica e povera di umanità, la nostra riflessione non può che partire dal cuore umano[2]. Solo dotandoci di uno sguardo spirituale, solo recuperando una sapienza del cuore, possiamo leggere e interpretare la novità del nostro tempo e riscoprire la via per una comunicazione pienamente umana. Il cuore, inteso biblicamente come sede della libertà e delle decisioni più importanti della vita, è simbolo di integrità, di unità, ma evoca anche gli affetti, i desideri, i sogni, ed è soprattutto luogo interiore dell’incontro con Dio. La sapienza del cuore è perciò quella virtù che ci permette di tessere insieme il tutto e le parti, le decisioni e le loro conseguenze, le altezze e le fragilità, il passato e il futuro, l’io e il noi.

Questa sapienza del cuore si lascia trovare da chi la cerca e si lascia vedere da chi la ama; previene chi la desidera e va in cerca di chi ne è degno (cfr Sap 6,12-16). Sta con chi accetta consigli (cfr Pr 13,10), con chi ha il cuore docile, un cuore che ascolta (cfr 1 Re 3,9). Essa è un dono dello Spirito Santo, che permette di vedere le cose con gli occhi di Dio, di comprendere i nessi, le situazioni, gli avvenimenti e di scoprirne il senso. Senza questa sapienza l’esistenza diventa insipida, perché è proprio la sapienza – la cui radice latina sapere la accomuna al sapore – a donare gusto alla vita.

Opportunità e pericolo

Non possiamo pretendere questa sapienza dalle macchine. Benché il termine intelligenza artificiale abbia ormai soppiantato quello più corretto, utilizzato nella letteratura scientifica, machine learning, l’utilizzo stesso della parola “intelligenza” è fuorviante. Le macchine possiedono certamente una capacità smisuratamente maggiore rispetto all’uomo di memorizzare i dati e di correlarli tra loro, ma spetta all’uomo e solo a lui decodificarne il senso. Non si tratta quindi di esigere dalle macchine che sembrino umane. Si tratta piuttosto di svegliare l’uomo dall’ipnosi in cui cade per il suo delirio di onnipotenza, credendosi soggetto totalmente autonomo e autoreferenziale, separato da ogni legame sociale e dimentico della sua creaturalità.

In realtà, l’uomo da sempre sperimenta di non bastare a sé stesso e cerca di superare la propria vulnerabilità servendosi di ogni mezzo. A partire dai primi manufatti preistorici, utilizzati come prolungamenti delle braccia, attraverso i media impiegati come estensione della parola, siamo oggi giunti alle più sofisticate macchine che agiscono come ausilio del pensiero. Ognuna di queste realtà può però essere contaminata dalla tentazione originaria di diventare come Dio senza Dio (cfr Gen 3), cioè di voler conquistare con le proprie forze ciò che andrebbe invece accolto come dono da Dio e vissuto nella relazione con gli altri.

A seconda dell’orientamento del cuore, ogni cosa nelle mani dell’uomo diventa opportunità o pericolo. Il suo stesso corpo, creato per essere luogo di comunicazione e comunione, può diventare mezzo di aggressività. Allo stesso modo ogni prolungamento tecnico dell’uomo può essere strumento di servizio amorevole o di dominio ostile. I sistemi di intelligenza artificiale possono contribuire al processo di liberazione dall’ignoranza e facilitare lo scambio di informazioni tra popoli e generazioni diverse. Possono ad esempio rendere raggiungibile e comprensibile un enorme patrimonio di conoscenze scritto in epoche passate o far comunicare le persone in lingue per loro sconosciute. Ma possono al tempo stesso essere strumenti di “inquinamento cognitivo”, di alterazione della realtà tramite narrazioni parzialmente o totalmente false eppure credute – e condivise – come se fossero vere. Basti pensare al problema della disinformazione che stiamo affrontando da anni nella fattispecie delle fake news[3] e che oggi si avvale del deep fake, cioè della creazione e diffusione di immagini che sembrano perfettamente verosimili ma sono false (è capitato anche a me di esserne oggetto), o di messaggi audio che usano la voce di una persona dicendo cose che la stessa non ha mai detto. La simulazione, che è alla base di questi programmi, può essere utile in alcuni campi specifici, ma diventa perversa là dove distorce il rapporto con gli altri e la realtà.

Della prima ondata di intelligenza artificiale, quella dei social media, abbiamo già compreso l’ambivalenza toccandone con mano, accanto alle opportunità, anche i rischi e le patologie. Il secondo livello di intelligenze artificiali generative segna un indiscutibile salto qualitativo. È importante quindi avere la possibilità di comprendere, capire e regolamentare strumenti che nelle mani sbagliate potrebbero aprire scenari negativi. Come ogni altra cosa uscita dalla mente e dalle mani dell’uomo, anche gli algoritmi non sono neutri. Perciò è necessario agire preventivamente, proponendo modelli di regolamentazione etica per arginare i risvolti dannosi e discriminatori, socialmente ingiusti, dei sistemi di intelligenza artificiale e per contrastare il loro utilizzo nella riduzione del pluralismo, nella polarizzazione dell’opinione pubblica o nella costruzione di un pensiero unico. Rinnovo dunque il mio appello esortando «la Comunità delle nazioni a lavorare unita al fine di adottare un trattato internazionale vincolante, che regoli lo sviluppo e l’uso dell’intelligenza artificiale nelle sue molteplici forme»[4].Tuttavia, come in ogni ambito umano, la regolamentazione non basta.

Crescere in umanità

Siamo chiamati a crescere insieme, in umanità e come umanità. La sfida che ci è posta dinanzi è di fare un salto di qualità per essere all’altezza di una società complessa, multietnica, pluralista, multireligiosa e multiculturale. Sta a noi interrogarci sullo sviluppo teorico e sull’uso pratico di questi nuovi strumenti di comunicazione e di conoscenza. Grandi possibilità di bene accompagnano il rischio che tutto si trasformi in un calcolo astratto, che riduce le persone a dati, il pensiero a uno schema, l’esperienza a un caso, il bene al profitto, e soprattutto che si finisca col negare l’unicità di ogni persona e della sua storia, col dissolvere la concretezza della realtà in una serie di dati statistici.

La rivoluzione digitale può renderci più liberi, ma non certo se ci imprigiona nei modelli oggi noti come echo chamber. In questi casi, anziché accrescere il pluralismo dell’informazione, si rischia di trovarsi sperduti in una palude anonima, assecondando gli interessi del mercato o del potere. Non è accettabile che l’uso dell’intelligenza artificiale conduca a un pensiero anonimo, a un assemblaggio di dati non certificati, a una deresponsabilizzazione editoriale collettiva. La rappresentazione della realtà in big data, per quanto funzionale alla gestione delle macchine, implica infatti una perdita sostanziale della verità delle cose, che ostacola la comunicazione interpersonale e rischia di danneggiare la nostra stessa umanità. L’informazione non può essere separata dalla relazione esistenziale: implica il corpo, lo stare nella realtà; chiede di mettere in relazione non solo dati, ma esperienze; esige il volto, lo sguardo, la compassione oltre che la condivisione.

Penso al racconto delle guerre e a quella “guerra parallela” che si fa tramite campagne di disinformazione. E penso a quanti reporter sono feriti o muoiono sul campo per permetterci di vedere quello che i loro occhi hanno visto. Perché solo toccando con mano la sofferenza dei bambini, delle donne e degli uomini, si può comprendere l’assurdità delle guerre.

L’uso dell’intelligenza artificiale potrà contribuire positivamente nel campo della comunicazione, se non annullerà il ruolo del giornalismo sul campo, ma al contrario lo affiancherà; se valorizzerà le professionalità della comunicazione, responsabilizzando ogni comunicatore; se restituirà ad ogni essere umano il ruolo di soggetto, con capacità critica, della comunicazione stessa.

Interrogativi per l’oggi e il domani

Alcune domande sorgono dunque spontanee: come tutelare la professionalità e la dignità dei lavoratori nel campo della comunicazione e della informazione, insieme a quella degli utenti in tutto il mondo? Come garantire l’interoperabilità delle piattaforme? Come far sì che le aziende che sviluppano piattaforme digitali si assumano le proprie responsabilità rispetto a ciò che diffondono e da cui traggono profitto, analogamente a quanto avviene per gli editori dei media tradizionali? Come rendere più trasparenti i criteri alla base degli algoritmi di indicizzazione e de-indicizzazione e dei motori di ricerca, capaci di esaltare o cancellare persone e opinioni, storie e culture? Come garantire la trasparenza dei processi informativi? Come rendere evidente la paternità degli scritti e tracciabili le fonti, impedendo il paravento dell’anonimato? Come rendere manifesto se un’immagine o un video ritraggono un evento o lo simulano? Come evitare che le fonti si riducano a una sola, a un pensiero unico elaborato algoritmicamente? E come invece promuovere un ambiente adatto a preservare il pluralismo e a rappresentare la complessità della realtà? Come possiamo rendere sostenibile questo strumento potente, costoso ed estremamente energivoro? Come possiamo renderlo accessibile anche ai paesi in via di sviluppo?

Dalle risposte a questi e ad altri interrogativi capiremo se l’intelligenza artificiale finirà per costruire nuove caste basate sul dominio informativo, generando nuove forme di sfruttamento e di diseguaglianza; oppure se, al contrario, porterà più eguaglianza, promuovendo una corretta informazione e una maggiore consapevolezza del passaggio di epoca che stiamo attraversando, favorendo l’ascolto dei molteplici bisogni delle persone e dei popoli, in un sistema di informazione articolato e pluralista. Da una parte si profila lo spettro di una nuova schiavitù, dall’altra una conquista di libertà; da una parte la possibilità che pochi condizionino il pensiero di tutti, dall’altra quella che tutti partecipino all’elaborazione del pensiero.

La risposta non è scritta, dipende da noi. Spetta all’uomo decidere se diventare cibo per gli algoritmi oppure nutrire di libertà il proprio cuore, senza il quale non si cresce nella sapienza. Questa sapienza matura facendo tesoro del tempo e abbracciando le vulnerabilità. Cresce nell’alleanza fra le generazioni, fra chi ha memoria del passato e chi ha visione di futuro. Solo insieme cresce la capacità di discernere, di vigilare, di vedere le cose a partire dal loro compimento. Per non smarrire la nostra umanità, ricerchiamo la Sapienza che è prima di ogni cosa (cfr Sir 1,4), che passando attraverso i cuori puri prepara amici di Dio e profeti (cfr Sap 7,27): ci aiuterà ad allineare anche i sistemi dell’intelligenza artificiale a una comunicazione pienamente umana.

Roma, San Giovanni in Laterano, 24 gennaio 2024

FRANCESCO

 

Foto: Pexels

Tv2000 lancia l’App Play2000

Tv2000 lancia l’App Play2000, una piattaforma Over The Top (OTT) pensata per essere semplice, intuitiva e gratuita, a portata di smartphone, tablet, smart tv e Pc. Da oggi 24 gennaio, festa di San Francesco di Sales patrono dei giornalisti e della stampa cattolica, la nuova App si può scaricare in tutti gli App store. Permette una fruizione multimediale a 360 gradi di tutti i contenuti video e audio: informazione, approfondimenti e intrattenimento. ‘In ogni luogo’ è il claim scelto per il lancio promozionale di questo nuovo strumento che punta all’ecosistema digitale in cui tutti siamo immersi. Per lo sviluppo dell’App l’emittente della Cei si è avvalsa della professionalità di Mosai.co, una società italiana di service e consulenza ad alta tecnologia con cui è stato condiviso l’intero percorso di ideazione, progettazione e realizzazione. Lo streaming dei contenuti è sempre possibile, anche in condizioni di bassa connettività e su qualsiasi dispositivo. È questo che rende Play2000 alla portata di tutti e ovunque. I contenuti live, in tempo reale, danno modo agli utenti di seguire minuto per minuto la programmazione quotidiana di Tv2000. La playlist dei video on demand rende gestibili e facilmente recuperabili (attraverso una semplice funzione di ricerca) i contenuti già trasmessi.
La galleria dei podcast, prodotti da Radio inBlu2000, rappresenta uno spazio innovativo, che dà la possibilità all’utente di fruire liberamente dei contenuti radiofonici, riascoltandoli quando vuole.
In un’unica App, tv e radio.


Dal punto di vista tecnico, Play2000 propone alcune soluzioni moderne e innovative: il player video permette la costante disponibilità del contenuto, anche in condizioni di scarsa connettività, garantendo una visione senza interruzioni e buffering. Video in alta risoluzione, in multi-bitrate, (dunque con la possibilità di accedere a contenuti di qualità adeguata alla velocità della propria connessione a Internet), e in modalità adattiva offrono la migliore esperienza di visione possibile. Tutto in sicurezza: Play2000 è compliant al GDPR, totalmente conforme al Regolamento generale sulla protezione dei dati, con la massima attenzione alla tutela dei dati personali degli utenti.
“Play2000 – spiega l’amministratore delegato di Tv2000 e inBlu2000, Massimo Porfiri - ha caratteristiche che puntano molto sul concetto di usabilità. L’App è semplice, intuitiva, vicina alle esigenze dell’utente. Un progetto realizzato insieme alla società Mosai.co che ringraziamo per l’alta professionalità. Una delle scelte di design che è stata fatta è quella di utilizzare un linguaggio ormai abbastanza diffuso tra le piattaforme OTT, con una distinzione immediatamente percepibile tra le sezioni dei contenuti trasmessi in diretta, dei video on demand e dei podcast. Per quest’ultima tipologia di contenuto multimediale si offrono moltissime declinazioni: i podcast sono un punto di forza di Play2000 e – se possibile – avvicinano ancora di più l’App alla community, che può divertirsi, approfondire e informarsi anche in mobilità. È un investimento con un occhio al futuro ma guardando al presente nello spirito di servizio alla Chiesa e alla società italiana. Camminiamo in avanti grazie al sostegno del nostro editore, la Conferenza episcopale italiana, che ci ha sostenuti e incoraggiati anche in questo progetto che proietta le nostre emittenti, sempre più competitive, nel panorama radio-televisivo italiano”.
“Play2000 rafforza il senso di comunità, – sottolinea il direttore di Tv2000 e inBlu2000, Vincenzo Morgante - rende gli utenti ancor più partecipi delle sue proposte di intrattenimento e di informazione, apre nuovi spazi per contenuti originali ed esclusivi. Un hub digitale importante, fedele e innovativo, che punta a declinare la tradizionale proposta di Tv2000 e inBlu2000 attraverso codici, linguaggi e parole nuove. Si amplia, dunque, la nostra offerta radio-tv con uno strumento che accresce e valorizza sempre più il nostro voler fare ‘servizio pubblico’ anche essendo emittenti private. Ci siamo affidati a un team di professionisti valorizzando e integrando anche le nostre risorse interne. È un App facile da scaricare e ancor più semplice da utilizzare anche da coloro che hanno meno dimestichezza con la tecnologia. Abbiamo voluto tener conto non solo dei nuovi potenziali utenti ma anche dei nostri numerosi e affezionati telespettatori e radioascoltatori. Oggi anche noi ci sediamo al tavolo del grande gioco strategico delle piattaforme OTT, un crocevia inevitabile in un periodo di grande trasformazione delle modalità di fruizione dei contenuti video”.

Insegnamento della religione cattolica: il Messaggio della Presidenza CEI

Pubblichiamo il Messaggio della Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana in vista della scelta di avvalersi dell’Insegnamento della religione cattolica (IRC) nell’anno scolastico 2024/25.
I dati relativi all’anno scolastico 2022/23 restituiscono un quadro di sostanziale stabilità, con una media nazionale di avvalentisi pari all’84,05%.

Cari studenti e cari genitori,

nelle prossime settimane si svolgeranno le iscrizioni al primo anno dei diversi ordini e gradi di scuola. In questa occasione, dovrà essere effettuata anche la scelta se avvalersi o meno dell’insegnamento della religione cattolica (Irc). Vi invitiamo a considerarla una preziosa opportunità formativa, che arricchisce il percorso scolastico promuovendo la conoscenza delle radici e dei valori cristiani della cultura italiana.
Sono trascorsi quasi quarant’anni da quando, con l’Accordo di revisione del Concordato del 1984 e la successiva Legge di ratifica del 1985, l’insegnamento della religione ha assunto il profilo attuale: quello di una disciplina scolastica aperta, aggiornata dal punto di vista pedagogico e didattico, adeguata all’oggi, attenta ai bisogni educativi delle persone e condotta nel rispetto più assoluto della libertà di coscienza di ognuno. Un valido momento di studio e di dialogo, fatto proprio ogni anno dalla stragrande maggioranza di studenti e di famiglie.
L’ampia partecipazione attesta la qualità formativa di tale insegnamento e, allo stesso tempo, richiama a una responsabilità e a un’attenzione da parte di tutti; la relazione che si instaura fra insegnanti e alunni fa sì che si possano intercettare tematiche culturali ed esistenziali altrimenti non trattate a scuola. In un momento come l’attuale in cui si moltiplicano, da parte dei ragazzi, le domande di ascolto e di vicinanza, l’“alleanza educativa” tra Chiesa e scuola su cui si fonda l’Irc si rivela una risorsa assai preziosa.
A renderla possibile ed efficace sono in primo luogo i docenti di religione, di cui riconosciamo la preparazione e la disponibilità e ai quali vogliamo esprimere gratitudine e sostegno.
Un pensiero particolare va ai giovani chiamati per la prima volta a scegliere personalmente l’insegnamento della religione cattolica.
Cari ragazzi, ci rivolgiamo a voi attingendo alle parole rivolte da papa Francesco a migliaia di vostri coetanei l’estate scorsa durante la Giornata mondiale della gioventù a Lisbona. Voi, cari studenti, “pellegrini del sapere”, cosa volete vedere realizzato nella vostra vita e nel mondo? Quali cambiamenti, quali trasformazioni? E in che modo l’esperienza che fate a scuola può contribuirvi? Cercate e rischiate! Abbiate il coraggio di sostituire le paure con i sogni! Noi abbiamo fiducia in voi.
Possa l’Irc, con il contributo di tutti, sostenere le vostre famiglie nel compito educativo e accompagnare ciascuno di voi nell’avventura della scuola e della vita.


La Presidenza

della Conferenza Episcopale Italiana

Firmata da CEI e Ministero dell’Istruzione e del Merito l'intesa riguardante il concorso ordinario per l’insegnamento della religione cattolica

Concorso insegnanti di religione
Firmata l’Intesa tra CEI e Ministero dell’Istruzione e del Merito

È stata firmata il 9 gennaio dal Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, Card. Matteo Zuppi, e dal Ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, l’Intesa riguardante il concorso ordinario per la copertura del 30 per cento dei posti per l’insegnamento della religione cattolica vacanti, previsto dall’articolo 1-bis della legge 159/19.
Il restante 70 per cento dei posti disponibili sarà coperto grazie a una procedura straordinaria, riservata ai docenti con almeno 36 mesi di servizio. Complessivamente si tratta di circa 6400 insegnanti.
L’Intesa firmata oggi, che sostituisce integralmente quella sottoscritta il 14 dicembre 2020, ricorda che la procedura concorsuale “è bandita, nel rispetto dell'Accordo di revisione del Concordato lateranense stipulato tra la Santa Sede e la Repubblica Italiana il 18 febbraio 1984, ratificato con legge 25 marzo 1985, n. 121 e dell'Intesa tra il Presidente della Conferenza Episcopale Italiana e il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca sottoscritta il 28 giugno 2012, cui è stata data esecuzione con decreto del Presidente della Repubblica 20 agosto 2012, n. 175”.
I titoli di qualificazione professionale per partecipare al concorso sono quelli indicati al punto 4 dell’Intesa del 28 giugno 2012, rilasciati da Facoltà e Istituti elencati dal decreto del Ministro dell’Istruzione il 24 luglio 2020 (n. 70). Tra i requisiti è prevista la certificazione dell’idoneità diocesana all’insegnamento della religione cattolica “di cui all’articolo 3, comma 4, della legge 18 luglio 2003, n. 186, rilasciata dal Responsabile dell’Ufficio diocesano competente, nei novanta giorni antecedenti alla data di presentazione della domanda di partecipazione”.
Il concorso, si legge nel testo, “si articola in una prova scritta e una orale” e “accerta la preparazione dei candidati con riferimento alle materie ed alle competenze indicate dalla normativa vigente e dalle intese richiamate in premessa. L’articolazione, il punteggio ed i criteri delle prove concorsuali e della valutazione dei titoli sono determinate dal bando di concorso, tenendo presente che tutti i candidati sono già in possesso dell'idoneità diocesana, che è condizione per l’insegnamento della religione cattolica”.
Siglando l’Intesa, il Card. Matteo Zuppi, Arcivescovo di Bologna e Presidente della CEI, ha espresso gratitudine al Ministro Valditara per “aver colmato un vuoto e per la collaborazione aperta e feconda che si è instaurata in vista di questo importante passaggio”. “Al di là dell’atto formale, richiesto dalla legge il presente accordo - ha aggiunto - riconosce e riafferma il valore degli insegnanti di religione nelle nostre scuole: educatori preparati e appassionati che arricchiscono l’esperienza scolastica con un’occasione unica di dialogo, approfondimento culturale e confronto interdisciplinare. È giusto che sia data loro maggiore stabilità e sicurezza”.
“L’insegnamento della religione – ha dichiarato Giuseppe Valditara, Ministro dell’Istruzione e del Merito - è un’occasione di confronto e di dialogo sui principi etici e morali che da sempre accompagnano le civiltà nel loro cammino. È anche l’occasione per andare alle radici della nostra civiltà imparando a conoscere il messaggio cristiano. Approfondire questi temi significa fornire agli studenti gli strumenti per conoscere alcuni aspetti imprescindibili della nostra storia. Grazie a docenti motivati e competenti sarà possibile creare sempre più momenti di approfondimento e di arricchimento culturale”.
Il nuovo concorso si terrà a vent’anni dalla prima, e finora unica, procedura bandita nel febbraio 2004 in attuazione della legge 186/03, che istituiva i ruoli per l’insegnamento della religione cattolica.

Giornata Mondiale della Pace: il Messaggio di Papa Francesco

Pubblichiamo il testo del Messaggio di Papa Francesco per la 57ª Giornata Mondiale della Pace, che si celebrerà il 1° gennaio 2024 sul tema “Intelligenza artificiale e pace”. 

All’inizio del nuovo anno, tempo di grazia che il Signore dona a ciascuno di noi, vorrei rivolgermi al Popolo di Dio, alle nazioni, ai Capi di Stato e di Governo, ai Rappresentanti delle diverse religioni e della società civile, a tutti gli uomini e le donne del nostro tempo per porgere i miei auguri di pace.

1. Il progresso della scienza e della tecnologia come via verso la pace

La Sacra Scrittura attesta che Dio ha donato agli uomini il suo Spirito affinché abbiano «saggezza, intelligenza e scienza in ogni genere di lavoro» (Es 35,31). L’intelligenza è espressione della dignità donataci dal Creatore, che ci ha fatti a sua immagine e somiglianza (cfr Gen 1,26) e ci ha messo in grado di rispondere al suo amore attraverso la libertà e la conoscenza. La scienza e la tecnologia manifestano in modo particolare tale qualità fondamentalmente relazionale dell’intelligenza umana: sono prodotti straordinari del suo potenziale creativo.
Nella Costituzione Pastorale Gaudium et spes, il Concilio Vaticano II ha ribadito questa verità, dichiarando che «col suo lavoro e col suo ingegno l’uomo ha cercato sempre di sviluppare la propria vita». Quando gli esseri umani, «con l’aiuto della tecnica», si sforzano affinchè la terra «diventi una dimora degna di tutta la famiglia umana», agiscono secondo il disegno di Dio e cooperano con la sua volontà di portare a compimento la creazione e di diffondere la pace tra i popoli. Anche il progresso della scienza e della tecnica, nella misura in cui contribuisce a un migliore ordine della società umana, ad accrescere la libertà e la comunione fraterna, porta dunque al miglioramento dell’uomo e alla trasformazione del mondo.
Giustamente ci rallegriamo e siamo riconoscenti per le straordinarie conquiste della scienza e della tecnologia, grazie alle quali si è posto rimedio a innumerevoli mali che affliggevano la vita umana e causavano grandi sofferenze. Allo stesso tempo, i progressi tecnico-scientifici, rendendo possibile l’esercizio di un controllo finora inedito sulla realtà, stanno mettendo nelle mani dell’uomo una vasta gamma di possibilità, alcune delle quali possono rappresentare un rischio per la sopravvivenza e un pericolo per la casa comune. I notevoli progressi delle nuove tecnologie dell’informazione, specialmente nella sfera digitale, presentano dunque entusiasmanti opportunità e gravi rischi, con serie implicazioni per il perseguimento della giustizia e dell’armonia tra i popoli. È pertanto necessario porsi alcune domande urgenti. Quali saranno le conseguenze, a medio e a lungo termine, delle nuove tecnologie digitali? E quale impatto avranno sulla vita degli individui e della società, sulla stabilità internazionale e sulla pace?

2. Il futuro dell’intelligenza artificiale tra promesse e rischi

I progressi dell’informatica e lo sviluppo delle tecnologie digitali negli ultimi decenni hanno già iniziato a produrre profonde trasformazioni nella società globale e nelle sue dinamiche. I nuovi strumenti digitali stanno cambiando il volto delle comunicazioni, della pubblica amministrazione, dell’istruzione, dei consumi, delle interazioni personali e di innumerevoli altri aspetti della vita quotidiana.
Inoltre, le tecnologie che impiegano una molteplicità di algoritmi possono estrarre, dalle tracce digitali lasciate su internet, dati che consentono di controllare le abitudini mentali e relazionali delle persone a fini commerciali o politici, spesso a loro insaputa, limitandone il consapevole esercizio della libertà di scelta. Infatti, in uno spazio come il web, caratterizzato da un sovraccarico di informazioni, possono strutturare il flusso di dati secondo criteri di selezione non sempre percepiti dall’utente.
Dobbiamo ricordare che la ricerca scientifica e le innovazioni tecnologiche non sono disincarnate dalla realtà e «neutrali», ma soggette alle influenze culturali. In quanto attività pienamente umane, le direzioni che prendono riflettono scelte condizionate dai valori personali, sociali e culturali di ogni epoca. Dicasi lo stesso per i risultati che conseguono: essi, proprio in quanto frutto di approcci specificamente umani al mondo circostante, hanno sempre una dimensione etica, strettamente legata alle decisioni di chi progetta la sperimentazione e indirizza la produzione verso particolari obiettivi.
Questo vale anche per le forme di intelligenza artificiale. Di essa, ad oggi, non esiste una definizione univoca nel mondo della scienza e della tecnologia. Il termine stesso, ormai entrato nel linguaggio comune, abbraccia una varietà di scienze, teorie e tecniche volte a far sì che le macchine riproducano o imitino, nel loro funzionamento, le capacità cognitive degli esseri umani. Parlare al plurale di “forme di intelligenza” può aiutare a sottolineare soprattutto il divario incolmabile che esiste tra questi sistemi, per quanto sorprendenti e potenti, e la persona umana: essi sono, in ultima analisi, “frammentari”, nel senso che possono solo imitare o riprodurre alcune funzioni dell’intelligenza umana. L’uso del plurale evidenzia inoltre che questi dispositivi, molto diversi tra loro, vanno sempre considerati come “sistemi socio-tecnici”. Infatti il loro impatto, al di là della tecnologia di base, dipende non solo dalla progettazione, ma anche dagli obiettivi e dagli interessi di chi li possiede e di chi li sviluppa, nonché dalle situazioni in cui vengono impiegati.
L’intelligenza artificiale, quindi, deve essere intesa come una galassia di realtà diverse e non possiamo presumere a priori che il suo sviluppo apporti un contributo benefico al futuro dell’umanità e alla pace tra i popoli. Tale risultato positivo sarà possibile solo se ci dimostreremo capaci di agire in modo responsabile e di rispettare valori umani fondamentali come «l’inclusione, la trasparenza, la sicurezza, l’equità, la riservatezza e l’affidabilità».
Non è sufficiente nemmeno presumere, da parte di chi progetta algoritmi e tecnologie digitali, un impegno ad agire in modo etico e responsabile. Occorre rafforzare o, se necessario, istituire organismi incaricati di esaminare le questioni etiche emergenti e di tutelare i diritti di quanti utilizzano forme di intelligenza artificiale o ne sono influenzati. L’immensa espansione della tecnologia deve quindi essere accompagnata da un’adeguata formazione alla responsabilità per il suo sviluppo. La libertà e la convivenza pacifica sono minacciate quando gli esseri umani cedono alla tentazione dell’egoismo, dell’interesse personale, della brama di profitto e della sete di potere. Abbiamo perciò il dovere di allargare lo sguardo e di orientare la ricerca tecnico-scientifica al perseguimento della pace e del bene comune, al servizio dello sviluppo integrale dell’uomo e della comunità.
La dignità intrinseca di ogni persona e la fraternità che ci lega come membri dell’unica famiglia umana devono stare alla base dello sviluppo di nuove tecnologie e servire come criteri indiscutibili per valutarle prima del loro impiego, in modo che il progresso digitale possa avvenire nel rispetto della giustizia e contribuire alla causa della pace. Gli sviluppi tecnologici che non portano a un miglioramento della qualità di vita di tutta l’umanità, ma al contrario aggravano le disuguaglianze e i conflitti, non potranno mai essere considerati vero progresso.
L’intelligenza artificiale diventerà sempre più importante. Le sfide che pone sono tecniche, ma anche antropologiche, educative, sociali e politiche. Promette, ad esempio, un risparmio di fatiche, una produzione più efficiente, trasporti più agevoli e mercati più dinamici, oltre a una rivoluzione nei processi di raccolta, organizzazione e verifica dei dati. Occorre essere consapevoli delle rapide trasformazioni in atto e gestirle in modo da salvaguardare i diritti umani fondamentali, rispettando le istituzioni e le leggi che promuovono lo sviluppo umano integrale. L’intelligenza artificiale dovrebbe essere al servizio del migliore potenziale umano e delle nostre più alte aspirazioni, non in competizione con essi.

3. La tecnologia del futuro: macchine che imparano da sole

Nelle sue molteplici forme l’intelligenza artificiale, basata su tecniche di apprendimento automatico (machine learning), pur essendo ancora in fase pionieristica, sta già introducendo notevoli cambiamenti nel tessuto delle società, esercitando una profonda influenza sulle culture, sui comportamenti sociali e sulla costruzione della pace.
Sviluppi come il machine learning o come l’apprendimento profondo (deep learning) sollevano questioni che trascendono gli ambiti della tecnologia e dell’ingegneria e hanno a che fare con una comprensione strettamente connessa al significato della vita umana, ai processi basilari della conoscenza e alla capacità della mente di raggiungere la verità.
L’abilità di alcuni dispositivi nel produrre testi sintatticamente e semanticamente coerenti, ad esempio, non è garanzia di affidabilità. Si dice che possano “allucinare”, cioè generare affermazioni che a prima vista sembrano plausibili, ma che in realtà sono infondate o tradiscono pregiudizi. Questo pone un serio problema quando l’intelligenza artificiale viene impiegata in campagne di disinformazione che diffondono notizie false e portano a una crescente sfiducia nei confronti dei mezzi di comunicazione. La riservatezza, il possesso dei dati e la proprietà intellettuale sono altri ambiti in cui le tecnologie in questione comportano gravi rischi, a cui si aggiungono ulteriori conseguenze negative legate a un loro uso improprio, come la discriminazione, l’interferenza nei processi elettorali, il prendere piede di una società che sorveglia e controlla le persone, l’esclusione digitale e l’inasprimento di un individualismo sempre più scollegato dalla collettività. Tutti questi fattori rischiano di alimentare i conflitti e di ostacolare la pace.

4. Il senso del limite nel paradigma tecnocratico

Il nostro mondo è troppo vasto, vario e complesso per essere completamente conosciuto e classificato. La mente umana non potrà mai esaurirne la ricchezza, nemmeno con l’aiuto degli algoritmi più avanzati. Questi, infatti, non offrono previsioni garantite del futuro, ma solo approssimazioni statistiche. Non tutto può essere pronosticato, non tutto può essere calcolato; alla fine «la realtà è superiore all’idea» e, per quanto prodigiosa possa essere la nostra capacità di calcolo, ci sarà sempre un residuo inaccessibile che sfugge a qualsiasi tentativo di misurazione.
Inoltre, la grande quantità di dati analizzati dalle intelligenze artificiali non è di per sé garanzia di imparzialità. Quando gli algoritmi estrapolano informazioni, corrono sempre il rischio di distorcerle, replicando le ingiustizie e i pregiudizi degli ambienti in cui esse hanno origine. Più diventano veloci e complessi, più è difficile comprendere perché abbiano prodotto un determinato risultato.
Le macchine “intelligenti” possono svolgere i compiti loro assegnati con sempre maggiore efficienza, ma lo scopo e il significato delle loro operazioni continueranno a essere determinati o abilitati da esseri umani in possesso di un proprio universo di valori. Il rischio è che i criteri alla base di certe scelte diventino meno chiari, che la responsabilità decisionale venga nascosta e che i produttori possano sottrarsi all’obbligo di agire per il bene della comunità. In un certo senso, ciò è favorito dal sistema tecnocratico, che allea l’economia con la tecnologia e privilegia il criterio dell’efficienza, tendendo a ignorare tutto ciò che non è legato ai suoi interessi immediati. Questo deve farci riflettere su un aspetto tanto spesso trascurato nella mentalità attuale, tecnocratica ed efficientista, quanto decisivo per lo sviluppo personale e sociale: il “senso del limite”. L’essere umano, infatti, mortale per definizione, pensando di travalicare ogni limite in virtù della tecnica, rischia, nell’ossessione di voler controllare tutto, di perdere il controllo su sé stesso; nella ricerca di una libertà assoluta, di cadere nella spirale di una dittatura tecnologica. Riconoscere e accettare il proprio limite di creatura è per l’uomo condizione indispensabile per conseguire, o meglio, accogliere in dono la pienezza. Invece, nel contesto ideologico di un paradigma tecnocratico, animato da una prometeica presunzione di autosufficienza, le disuguaglianze potrebbero crescere a dismisura, e la conoscenza e la ricchezza accumularsi nelle mani di pochi, con gravi rischi per le società democratiche e la coesistenza pacifica.

5. Temi scottanti per l’etica

In futuro, l’affidabilità di chi richiede un mutuo, l’idoneità di un individuo ad un lavoro, la possibilità di recidiva di un condannato o il diritto a ricevere asilo politico o assistenza sociale potrebbero essere determinati da sistemi di intelligenza artificiale. La mancanza di diversificati livelli di mediazione che questi sistemi introducono è particolarmente esposta a forme di pregiudizio e discriminazione: gli errori sistemici possono facilmente moltiplicarsi, producendo non solo ingiustizie in singoli casi ma anche, per effetto domino, vere e proprie forme di disuguaglianza sociale. Talvolta, inoltre, le forme di intelligenza artificiale sembrano in grado di influenzare le decisioni degli individui attraverso opzioni predeterminate associate a stimoli e dissuasioni, oppure mediante sistemi di regolazione delle scelte personali basati sull’organizzazione delle informazioni. Queste forme di manipolazione o di controllo sociale richiedono un’attenzione e una supervisione accurate, e implicano una chiara responsabilità legale da parte dei produttori, di chi le impiega e delle autorità governative.
L’affidamento a processi automatici che categorizzano gli individui, ad esempio attraverso l’uso pervasivo della vigilanza o l’adozione di sistemi di credito sociale, potrebbe avere ripercussioni profonde anche sul tessuto civile, stabilendo improprie graduatorie tra i cittadini. E questi processi artificiali di classificazione potrebbero portare anche a conflitti di potere, non riguardando solo destinatari virtuali, ma persone in carne ed ossa. Il rispetto fondamentale per la dignità umana postula di rifiutare che l’unicità della persona venga identificata con un insieme di dati. Non si deve permettere agli algoritmi di determinare il modo in cui intendiamo i diritti umani, di mettere da parte i valori essenziali della compassione, della misericordia e del perdono o di eliminare la possibilità che un individuo cambi e si lasci alle spalle il passato.
In questo contesto non possiamo fare a meno di considerare l’impatto delle nuove tecnologie in ambito lavorativo: mansioni che un tempo erano appannaggio esclusivo della manodopera umana vengono rapidamente assorbite dalle applicazioni industriali dell’intelligenza artificiale. Anche in questo caso, c’è il rischio sostanziale di un vantaggio sproporzionato per pochi a scapito dell’impoverimento di molti. Il rispetto della dignità dei lavoratori e l’importanza dell’occupazione per il benessere economico delle persone, delle famiglie e delle società, la sicurezza degli impieghi e l’equità dei salari dovrebbero costituire un’alta priorità per la Comunità internazionale, mentre queste forme di tecnologia penetrano sempre più profondamente nei luoghi di lavoro.

6. Trasformeremo le spade in vomeri?

In questi giorni, guardando il mondo che ci circonda, non si può sfuggire alle gravi questioni etiche legate al settore degli armamenti. La possibilità di condurre operazioni militari attraverso sistemi di controllo remoto ha portato a una minore percezione della devastazione da essi causata e della responsabilità del loro utilizzo, contribuendo a un approccio ancora più freddo e distaccato all’immensa tragedia della guerra. La ricerca sulle tecnologie emergenti nel settore dei cosiddetti “sistemi d’arma autonomi letali”, incluso l’utilizzo bellico dell’intelligenza artificiale, è un grave motivo di preoccupazione etica. I sistemi d’arma autonomi non potranno mai essere soggetti moralmente responsabili: l’esclusiva capacità umana di giudizio morale e di decisione etica è più di un complesso insieme di algoritmi, e tale capacità non può essere ridotta alla programmazione di una macchina che, per quanto “intelligente”, rimane pur sempre una macchina. Per questo motivo, è imperativo garantire una supervisione umana adeguata, significativa e coerente dei sistemi d’arma.
Non possiamo nemmeno ignorare la possibilità che armi sofisticate finiscano nelle mani sbagliate, facilitando, ad esempio, attacchi terroristici o interventi volti a destabilizzare istituzioni di governo legittime. Il mondo, insomma, non ha proprio bisogno che le nuove tecnologie contribuiscano all’iniquo sviluppo del mercato e del commercio delle armi, promuovendo la follia della guerra. Così facendo, non solo l’intelligenza, ma il cuore stesso dell’uomo, correrà il rischio di diventare sempre più “artificiale”. Le più avanzate applicazioni tecniche non vanno impiegate per agevolare la risoluzione violenta dei conflitti, ma per pavimentare le vie della pace.
In un’ottica più positiva, se l’intelligenza artificiale fosse utilizzata per promuovere lo sviluppo umano integrale, potrebbe introdurre importanti innovazioni nell’agricoltura, nell’istruzione e nella cultura, un miglioramento del livello di vita di intere nazioni e popoli, la crescita della fraternità umana e dell’amicizia sociale. In definitiva, il modo in cui la utilizziamo per includere gli ultimi, cioè i fratelli e le sorelle più deboli e bisognosi, è la misura rivelatrice della nostra umanità.
Uno sguardo umano e il desiderio di un futuro migliore per il nostro mondo portano alla necessità di un dialogo interdisciplinare finalizzato a uno sviluppo etico degli algoritmi – l’algor-etica –, in cui siano i valori a orientare i percorsi delle nuove tecnologie. Le questioni etiche dovrebbero essere tenute in considerazione fin dall’inizio della ricerca, così come nelle fasi di sperimentazione, progettazione, produzione, distribuzione e commercializzazione. Questo è l’approccio dell’etica della progettazione, in cui le istituzioni educative e i responsabili del processo decisionale hanno un ruolo essenziale da svolgere.

7. Sfide per l’educazione

Lo sviluppo di una tecnologia che rispetti e serva la dignità umana ha chiare implicazioni per le istituzioni educative e per il mondo della cultura. Moltiplicando le possibilità di comunicazione, le tecnologie digitali hanno permesso di incontrarsi in modi nuovi. Tuttavia, rimane la necessità di una riflessione continua sul tipo di relazioni a cui ci stanno indirizzando. I giovani stanno crescendo in ambienti culturali pervasi dalla tecnologia e questo non può non mettere in discussione i metodi di insegnamento e formazione.
L’educazione all’uso di forme di intelligenza artificiale dovrebbe mirare soprattutto a promuovere il pensiero critico. È necessario che gli utenti di ogni età, ma soprattutto i giovani, sviluppino una capacità di discernimento nell’uso di dati e contenuti raccolti sul web o prodotti da sistemi di intelligenza artificiale. Le scuole, le università e le società scientifiche sono chiamate ad aiutare gli studenti e i professionisti a fare propri gli aspetti sociali ed etici dello sviluppo e dell’utilizzo della tecnologia.
La formazione all’uso dei nuovi strumenti di comunicazione dovrebbe tenere conto non solo della disinformazione, delle fake news, ma anche dell’inquietante recrudescenza di «paure ancestrali […] che hanno saputo nascondersi e potenziarsi dietro nuove tecnologie». Purtroppo, ancora una volta ci troviamo a dover combattere “la tentazione di fare una cultura dei muri, di alzare muri per impedire l’incontro con altre culture, con altra gente” e lo sviluppo di una coesistenza pacifica e fraterna.

8. Sfide per lo sviluppo del diritto internazionale

La portata globale dell’intelligenza artificiale rende evidente che, accanto alla responsabilità degli Stati sovrani di disciplinarne l’uso al proprio interno, le Organizzazioni internazionali possono svolgere un ruolo decisivo nel raggiungere accordi multilaterali e nel coordinarne l’applicazione e l’attuazione. A tale proposito, esorto la Comunità delle nazioni a lavorare unita al fine di adottare un trattato internazionale vincolante, che regoli lo sviluppo e l’uso dell’intelligenza artificiale nelle sue molteplici forme. L’obiettivo della regolamentazione, naturalmente, non dovrebbe essere solo la prevenzione delle cattive pratiche, ma anche l’incoraggiamento delle buone pratiche, stimolando approcci nuovi e creativi e facilitando iniziative personali e collettive.
In definitiva, nella ricerca di modelli normativi che possano fornire una guida etica agli sviluppatori di tecnologie digitali, è indispensabile identificare i valori umani che dovrebbero essere alla base dell’impegno delle società per formulare, adottare e applicare necessari quadri legislativi. Il lavoro di redazione di linee guida etiche per la produzione di forme di intelligenza artificiale non può prescindere dalla considerazione di questioni più profonde riguardanti il significato dell’esistenza umana, la tutela dei diritti umani fondamentali, il perseguimento della giustizia e della pace. Questo processo di discernimento etico e giuridico può rivelarsi un’occasione preziosa per una riflessione condivisa sul ruolo che la tecnologia dovrebbe avere nella nostra vita individuale e comunitaria e su come il suo utilizzo possa contribuire alla creazione di un mondo più equo e umano. Per questo motivo, nei dibattiti sulla regolamentazione dell’intelligenza artificiale, si dovrebbe tenere conto della voce di tutte le parti interessate, compresi i poveri, gli emarginati e altri che spesso rimangono inascoltati nei processi decisionali globali.

* * *

Spero che questa riflessione incoraggi a far sì che i progressi nello sviluppo di forme di intelligenza artificiale servano, in ultima analisi, la causa della fraternità umana e della pace. Non è responsabilità di pochi, ma dell’intera famiglia umana. La pace, infatti, è il frutto di relazioni che riconoscono e accolgono l’altro nella sua inalienabile dignità, e di cooperazione e impegno nella ricerca dello sviluppo integrale di tutte le persone e di tutti i popoli.
La mia preghiera all’inizio del nuovo anno è che il rapido sviluppo di forme di intelligenza artificiale non accresca le troppe disuguaglianze e ingiustizie già presenti nel mondo, ma contribuisca a porre fine a guerre e conflitti, e ad alleviare molte forme di sofferenza che affliggono la famiglia umana. Possano i fedeli cristiani, i credenti di varie religioni e gli uomini e le donne di buona volontà collaborare in armonia per cogliere le opportunità e affrontare le sfide poste dalla rivoluzione digitale, e consegnare alle generazioni future un mondo più solidale, giusto e pacifico.

Francesco

Dal Vaticano, 8 dicembre 2023

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