Veglia missionaria diocesana
- Pubblicato in Diocesi
Dati i posti limitati in Cattedrale sarà possibile seguire la Veglia anche via streaming collegandosi al link sottostante poco prima dell'inizio.
Ma chi era Annalena Tonelli?
È da uno scritto di Antoine de Saint-Exupéry – “Terra degli uomini” – che Annalena Tonelli, martire forlinese uccisa nel 2003 a Borama, al confine tra Somalia ed Etiopia, prese lo spunto per definire se stessa e la propria vocazione: «giardiniera di uomini». Una donna che con la sua compassione e dedizione «ha fatto fiorire di fede e speranza il deserto», prima in Kenya e poi in Somalia.
«È la compassione il tratto distintivo della vita di Annalena – ha sottolineato padre Luca Vitali, autore di una biografia della Tonelli – e tre sono le modalità mediante cui questa martire dei nostri giorni ha declinato l’amore per il prossimo, per quegli ultimi cui ha dedicato tutta la sua vita: il comandamento nuovo di Gesù, la preghiera e la perseveranza nella testimonianza». Nata nel 1943, secondogenita di una famiglia di cinque figli, Annalena compì gli studi prima a Forlì e poi a Bologna dove si laureò in Giurisprudenza «proprio come Gandhi – ha spiegato Vitali – già decisa e determinata a spendersi per i più poveri e desiderosa di partire per l’India per aiutarli concretamente».
Pur impegnata nello studio, si appassionò ai problemi sociali della sua città: si occupò di ragazze svantaggiate e rifiutate dalle loro famiglie, dell’assistenza alle persone che allora risiedevano nel “Casermone”, la bidonville della sua città, inoltre collaborò con la San Vincenzo de’ Paoli e si iscrisse alla Fuci, della quale divenne presidente. Ancora, coinvolse le sorelle e diverse amiche nell’assistenza ai bambini presso il brefotrofio e si interessò ai problemi del Terzo Mondo promuovendone la conoscenza anche attraverso film e conferenze.
Dopo la laurea, la prima esperienza di missione in Kenya fu a Chinga dove operò come insegnante di inglese, e poi a Wajir, il villaggio nel deserto del nord-est del Paese che aveva in precedenza visitato e scelto perché rispondeva alla sua esigenza di predicare il Vangelo con la vita nel mondo musulmano, secondo la spiritualità di Charles de Foucauld. Qui, nel 1974 Tonelli «fondò con tre compagne, una fisioterapista, un’infermiera e un’assistente sociale – come ha ricordato il nipote Andrea Saletti -, il Walaal Farahsan Rehabilitation Centre for the Disabled, occupandosi in particolare dei malati di poliomielite e di quelli con danni cerebrali».
Nel 1976, su richiesta del Ministero della Sanità, come supervisore di tutto il programma Tonelli aprì la TB Manyatta per il servizio agli ammalati di tubercolosi che la impegnerà per il resto della sua vita e che si rivelerà un’opera di estremo successo «specie per l’applicazione del “dot” – ha ricordato ancora Saletti - ossia un metodo di somministrazione dei farmaci antitubercolari che, inventato da Annalena, si utilizza ancora in molte parti del mondo».
Sul finire degli anni ’80 Annalena scelse di operare a Mogadiscio, in particolare ottenne dal Consolato somalo il visto per un anno di volontariato gratuito a Belet-Weyne dove impostò un lavoro di monitoraggio della tbc per tutta la regione dell’Hiran-Galgaduud mettendo anche in funzione il vecchio dispensario alla periferia della città. Nel 1992 a Merka, nella Somalia meridionale dove operò fino alla morte, riattivò il porto in disuso da 25 anni per consentire l’arrivo di aiuti umanitari internazionali , «gestendo da lì in avanti una struttura ospedaliera per malati di tbc – ha raccontato ancora Vitali – e aprendo anche delle scuole e un centro nutrizionale: per questo venne insignita dell’onorificienza di Cavaliere della Repubblica».
Eppure Annalena Tonelli si definì sempre «nessuno» e fino all’ultimo scrisse e disse di sé di non meritare alcuno speciale riconoscimento. Dopo la sua morte, avvenuta per mano di due sicari con un colpo alla nuca il 5 ottobre del 2003 mentre era di rientro dalla visita serale agli ammalati, venne ritrovato un foglietto scritto di suo pugno con poche, lapidarie parole: «Non parlate di me perchè non avrebbe senso, ma date gloria al Signore per gli infiniti indicibilmente grandi doni di cui ha intessuto la mia vita. Ed ora tutti insieme incominciamo a servire il Signore, perché fino ad ora ben poco noi abbiamo fatto». Le sue ceneri vennero sparse, come aveva espressamente richiesto, nell’eremo di Wajir, «sulla sabbia del deserto più amato del mondo».