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Raimundinus vilis, un santo fra Piacenza e Borgo San Donnino

  • Pubblicato in Diocesi

L’immagine di Raimundinus vilis, scolpita sull’acroterio del portale meridionale del Duomo di Fidenza, è tradizionalmente identificata con un personaggio storico, realmente vissuto al tempo di Benedetto Antelami: Raimondo Zanfogni, detto Palmerio, (1160-1200), laico piacentino morto in odore di santità il 27 luglio del 1200. Il suo nome è associato in particolare ad una notevole attività caritativa esercitata a Piacenza presso l’antico ospedale dei XII Apostoli che da esso prenderà il nome (Marina Gazzini, Confraternite e società cittadine nell'alto Medioevo, 2006).

André Vauchez lo cita tra i santi locali, come una sorta di santo civico, figure tipiche della religiosità di età comunale che possiamo associare per esempio alla figura di Omobono, santo patrono di Cremona, canonizzato nel 1199, un anno prima della morte del Palmerio.

”Raimondo si dedicò alla pratica della carità dopo aver trascorso buona parte della sua vita in pellegrinaggio soprattutto in Terrasanta: ciò gli valse il nome di Palmerio. Dopo il 1178, con il benestare del suo vescovo, diede vita nella sua terra natale ad un ospizio ove accoglieva i pellegrini, i malati e i poveri. Si fece anche difensore di questi ultimi contro i giudici iniqui e i ricchi, mettendosi alla testa di processioni in cui i diseredati di ogni genere gridavano “Soccorreteci, o cristiani senza cuore, perché noi moriamo di fame, mentre voi siete nell’abbondanza”. Per lui come per altri la pratica delle opere di misericordia – ricorda Vauchez - aveva offerto un programma spirituale uno strumento di santificazione” (La spiritualità dell'Occidente medioevale, in Vita e Pensiero,Milano, 2006, p.118).

Come si può notare, la sua immagine, così decisamente caratterizzata, si distingue dalle altre sculture per la diversità del materiale impiegato, una arenaria grigia, porosa, che interrompe l’uniformità plastico-cromatica dell’insieme giallo-ocra, e per l’effetto simmetrico poco convincente (se si considera lo slancio e la monumentalità dell’acroterio del portale settentrionale). Da notare inoltre l’incasso non troppo regolare e l’incerto allineamento col timpano: contrasti o discordanze che fanno pensare a una aggiunta o ad una sostituzione, a un intervento realizzato, come vedremo, non molti anni dopo la costruzione del protiro quasi sicuramente dalle stesse maestranze attive in questa zona della facciata, come lascia intendere la coerenza del linguaggio stilistico.

A porre il problema della datazione è  soprattutto Yoshie Kojima, che ritiene la statua coeva alle altre sculture della facciata e pertanto anteriore al 1200. Secondo la studiosa giapponese è assai probabile che San Raimondo “sia stato rappresentato quando era ancora in vita vista la mancanza di indicazione di “santo” nell’iscrizione sottostante dove si legge Raimundinus vilis, come per sottolinearne l’atteggiamento di umiltà “che ben si s'addice ad un uomo molto devoto, che non si cura delle proprie spoglie mortali” (Y.Kojima, "Il Duomo di San Donnino a Fidenza", Pisa, 2006, p.41).

Si tratta di una ipotesi suggestiva interessante  sotto il profilo iconografico per cui, come abbiamo scritto in passato, Raimundinus vilis va visto in relazione al messaggio delle Beatitudini evangeliche annunciate dal Cristo della chiave di volta del portale centrale Beati pauperes spiritu) e dai sei apostoli del sottarco. Come esempio di umiltà e di distacco dai beni terreni egli sovrasta simbolicamente la ieratica figura del prelato in abiti vescovili, forse l’arciprete della chiesa di San Donnino. Ma il modello di santità del laico piacentino non era ancora, a quella data, diffuso e celebrato da poter essere recepito nel disegno originario della facciata antelamica. (cfr. A.Aimi-G.Ponzi, "Simbologia e geometria del Duomo di Fidenza", in "Proposta", n.2, Fidenza,1973, pp.4-8).

Difficile comunque accettare che l'immagine del futuro beato piacentino sia stata collocata in una posizione così eminente prima di un pronunciamento delle autorità della Chiesa, che non tarderà tuttavia ad arrivare con la celebrazione in forma solenne delle esequie. Il rito liturgico fu seguito infatti da una imponente traslatio guidata dal vescovo di Piacenza e dalla depositio delle reliquie nell'arca allestita presso la chiesa dei XII Apostoli che da quel momento diventa un vero e proprio santuario, meta di pellegrinaggi e teatro di molti prodigi: per Raimondo è un riconoscimento de facto che avvia al processo canonico, rendendo pienamente legittima l'iniziativa dei canonici di Borgo San Donnino. Sulla base di questa ipotesi la datazione della scultura di Raimundinus vilis e la sua collocazione al vertice del portale slittano logicamente a dopo il 1200: una sorta di  “aggiornamento” iconografico, effettuato in tempi brevissimi e che può aver comportato la rimozione dell’eventuale acroterio preesistente.

Questo intervento assume valore assai rilevante perchè si pone come discrimen per confermare la piena appartenenza dell’impianto della facciata all'ultimo quarto del XII secolo. L’inserimento della nuova statua potrebbe essere avvenuto già nel corso del 1201 sull’onda del clamore dei primi miracoli, senza  dimenticare che l’anno successivo fu sottoscritta la cosidetta "Pace di Alseno" tra Piacenza, Parma e Cremona che, come ricorda Roberto Tassi (Il Duomo di Fidenza,Parma, 1973) inaugura un lungo  periodo di pace operosa con la ripresa del cantiere del Duomo e, in particolare, il completamento dei lavori nella zona absidale per arrivare alla riconsacrazione dell’edificio finalmente agibile nella primavera del 1207.

Resta da chiedersi perché la fama di santità di Raimondo Zanfogni (l'umile Raimondino non "il villano" come è stato proposto recentemente da Barbara Zilocchi in L'officina Benedetto Antelami della Cattedrale di Fidenza, Milano, 2019, p.219) sia stata così prontamente recepita dalla Chiesa di Borgo e poi altrettanto rapidamente dimenticata, dal momento che la vicenda del santo piacentino non avrà un seguito devozionale, mentre il suo nome non è destinato a comparire tra i compatroni della città e poi della diocesi. Il riconoscimento della sua immagine fidentina avverrà solo nell’Ottocento in seguito alle ricerche di Amadio Ronchini, puntualmente confermate dal Francovic e dagli altri studiosi che si sono occupati del Duomo.

A Fidenza il santo è rappresentato con il cappuccio e il bastone a ricordo dei ripetuti pellegrinaggi e dalla gerla contenente il pane per i poveri. Assente è invece il simbolo della croce portata sulle spalle, che invece ritroviamo presente nelle testimonianze settecentesche, tra cui un eccezionale foglio firmato da G.B. Tagliasacchi (1696-1737), conservato nelle raccolte dell'Ambrosiana di Milano (G.Ponzi, Raimondo Palmieri in un disegno di G.B.Tagliasacchi, in Il Risveglio,15 nov. 2013).

Sulla facciata del Duomo il futuro beato è ritratto a mezza figura come accovacciato su un basso edificio con tetto a capanna e i lati scanditi da un motivo geometrico regolare di rientranze, da intendersi, a mio avviso, non tanto come un tempio idealizzato,  con riferimento, come è stato detto, alle mete dei pellegrinaggi a Gerusalemme, Roma e Compostella, quanto piuttosto come raffigurazione simbolica dell’ospedale dei XII Apostoli che nel 1215 viene ribattezzato "Ospedale di San Raimondo" (M.Gazzini, cit, p.41).

Alcuni storici locali parlano di vari miracoli che il santo piacentino avrebbe compiuto a Borgo, ma le fonti medioevali riferite dal Campi riportano solo la straordinaria guarigione della moglie del mugnaio Albertinello da Borgo San Donnino.

Ben più numerosi sono ovviamente i prodigi accertati nella sua città natale e nella vicina Lombardia, in particolare nelle diocesi di Milano, Pavia, Crema, Cremona, nonché in altre regioni dell'alta Italia. Tra questi colpisce, in particolare, la clamorosa guarigione di un'ossessa avvenuta nel 1209 in Liguria e che ha come protagonista una giovane donna di Lavagna vessata da un crudele demone contro il quale gli esorcismi si erano rivelati inefficaci. Si racconta che dopo molte sofferenze essa venne  finalmente liberata per l’intercessione di un santo ignoto la cui identità viene inaspettatamente rivelata dal diavolo stesso che fa il nome di RAIMONDINO: appunto lo stesso diminutivo che accompagna l'antica immagine fidentina.

Il curioso episodio è cosi descritto da Pietro Maria Campi: “Trovavasi in Lavagna una giovine fieramente dal Demonio vessata, e la madre di lei addimandata Soffia, e il marito, che Ugo dicevasi, per via degli esorcismi di farla sciorre cercavano: ma tutto indarno, che anzi asseriva e replicava l’importuno avversario, che non mai l’avrebbe alcuno cacciato, fuor che RAIMONDINO. Furongli perciò fatti alquanti scongiuri, accioche palesasse dove fosse il qual  mentovato RAIMONDINO; e  finalmente il perverso stretto dalla Divina potenza, con terribil voce esclamando disse, ch’era questi un nuovo Beato nella città di Piacenza defunto….” (P.M.Campi, Vita di S.Raimondo Palmerio.Uno dei fiori eletti del campo di Piacenza, Piacenza,1612).

Ma, al di là dei miracoli, sempre molto impressionanti per l'immaginario medioevale, vi potrebbero essere anche ragioni di carattere dottrinale che possono aver indotto le autorità religiose di Borgo a celebrare così sollecitamente Raimondo Zanfogni: un uomo del popolo, un esponente diremmo oggi, della classe media che parentes habuit nec illustris originis nec viles admodum sed cives privatos..nec pauperes nec opulento (in Vauchez, La santità nel Medioevo, Bologna, p.141, n.80), e il cui modello di vita poteva essere di grande attualità nelle controversie politico-religiose di quel periodo. Alle soglie del Duecento in un tempo travagliato da discordie, lotte intestine, dove "la spada è congiunta al pastorale", questo artigiano, sposato e padre di sei figli, si fa pellegrino per poi dedicarsi completamente ai poveri; svolge un ruolo riconosciuto di pacificatore nelle guerre e nelle lotte civili che insanguinano Piacenza e le vicine città, predica al popolo in sintonia con il magistero e in obbedienza alla gerarchia ecclesiastica: veramente un perfetto exemplum sanctitatis da contrapporre al catarismo che, del rigore morale e della medietas come stile di vita, aveva fatto una delle cifre più visibili del proprio messaggio eterodosso molto insidioso per l'"opulenza" della Chiesa di Roma già dilaniata dallo scisma d'Oriente. 

Mino Ponzi

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