La fraternità, seme di risurrezione
Il messaggio per la Pasqua 2021 del Vescovo Ovidio.
La Bibbia non tace su esperienze di vita caratterizzate da una difficile fraternità segnata da contrasti, intrighi, incomprensioni, sotterfugi, insidie di ogni genere, pregiudizi e distanze. In tal senso basterebbe evocare le tragiche pagine del primo fratricidio consumato da Caino nei confronti del fratello Abele (cfr. Gen 4,1-16), della distanza frapposta tra Isacco e Ismaele (cfr. Gen 21,8-10), della lotta tra Esaù e Giacobbe (cfr. Gen 27,41-45), dell’invidia dei figli di Giacobbe nei confronti del loro fratello Giuseppe (cfr. Gen 37,1-36), dell’oltraggio di Ammon, figlio di Davide, alla sorella Tamar (cfr. 2Sam 13,1-22) e il conseguente assassinio di Ammon da parte del fratello Assalonne (cfr. 2Sam 13,23-37), degli intrighi per la conquista del potere messi in atto dai figli di Davide (cfr. 2Sam 15,1-12). Il Nuovo Testamento non è meno tenue quando registra incomprensione e sdegno nella comunità apostolica a proposito della richiesta avanzata da Giacomo e Giovanni per occupare posti di prestigio accanto a Gesù nel giorno del giudizio (cfr. Mc 10,35-41). Lo stesso si può affermare relativamente ai contrasti tra Pietro e Paolo a proposito di atteggiamenti giudicati non secondo la verità scaturita dall’Evangelo e che Paolo denuncia nella forma dell’ipocrisia nella quale Pietro è caduto come in una trappola (cfr. Gal 2,11-14). Sulla stessa lunghezza d’onda si collocano i molteplici ammonimenti di Paolo, e non solo, circa la necessità di custodire nell’amore e nella carità fraterna le relazioni nella comunità cristiana (cfr. Rm 12,3-21). Non è certamente casuale il fatto che Gesù nell’ultima cena con i suoi discepoli lasci ad essi come testamento l’unico comandamento dell’amore, che si declina nella carità nei confronti del prossimo: “Amatevi gli uni gli altri, come io ho amato voi” (cfr. Gv 15,12-17).
La fraternità, dunque, è difficile; eppure è a partire da essa che si può verificare la vera obbedienza alla parola dell’Evangelo. Papa Francesco, il 3 ottobre 2020, ha consegnato la sua Lettera enciclica “Fratelli tutti”, richiamando la necessità della fratellanza universale quale vero antidoto alla violenza e alla barbarie delle parole, e non solo, che inquinano le relazioni umane. La fraternità è autentico segno di risurrezione; è l’alternativa non illusoria al veleno e all’ipocrisia dell’inimicizia, del sospetto, della menzogna e di qualsiasi forma di morte.
Tutto ciò conduce a riconoscere la necessità del dialogo. Esso solo può dinamicamente mettere in atto un cammino di cambiamento e, dunque, di conversione alla vera fraternità. Dal dialogo, in realtà, noi non usciamo nello stesso modo con cui abbiamo accettato di entrare. Il dialogo porta ad una conoscenza inaspettata dell’altro; ci introduce alla scoperta di se stessi e dell’altro come dono reciproco in una dinamica di gratuità. Il dialogo porta alla conversione di sé e introduce in un cammino di comunione nella quale la fraternità è possibile. E questo avviene senza la paura di dover rinunciare a ciò che costituisce il fondamento della nostra fede, della speranza che è in noi come dono e dell’amore che ci sospinge ad un incontro di comunione e di condivisione. In un contesto, come quello contemporaneo, per i credenti la tentazione di un irrigidimento dell’identità confessionale nei confronti di altre confessioni di fede, viste come una minaccia alla propria integrità, è sempre in agguato. È necessario, invece, per i credenti accogliere l’altro come riflesso del mistero della incarnazione di Dio, che si è fatto uomo in Gesù, per incontrare tutti.
Davanti alla Pasqua di risurrezione del Signore, che tutti interpella nella sua novità mai esaurita, da dove ricominciare per riprendere lo stile di una fraternità autentica? Guardando al Crocifisso Risorto, che consegna ai suoi il dono della pace senza colpevolizzare né rivangare torti subiti e tradimenti, come è possibile ristabilire relazioni fraterne incrinate da rivendicazioni oggettivamente fragili e senza fondamento? Anzitutto, è necessario disarmare se stessi lasciando aperta la via della misericordia, del perdono e della compassione. Tutti siamo debitori davanti a Dio e all’altro; tutti abbiamo bisogno di misericordia per guardare in modo nuovo all’altro, oltre schemi e griglie che hanno reso opaco e torbido l’occhio del nostro cuore, incapace di vedere e discernere. Solo lasciando spazio alla pace donata da Gesù il Risorto è possibile ricominciare a vivere e a sperare.
In secondo luogo, è necessario non assopire mai in noi l’interrogativo essenziale: a che punto sono del mio cammino nella sequela del Signore? Per apprendere di nuovo l’arte della relazione fraterna è decisivo uscire dalle proprie miopi chiusure e staticità, che ci fanno contemplare noi stessi nella dimensione di una illusoria perfezione, cadendo nel giudizio sprezzante nei confronti dell’altro.
In forza del mistero della risurrezione del Signore, la Chiesa è chiamata ad essere testimone credibile tra gli uomini, serva della comunione, sale della terra e luce del mondo (cfr. Mt 5,13-16), narrazione vivente della speranza che non delude (cfr. Rm 5,5), icona di un Dio che si è fatto pellegrino e straniero lui stesso nel Figlio amato (cfr. Gv 1,11; Lc 24,13-35) perché ogni uomo sia riconosciuto figlio dell’unico Padre e fratello/sorella universale in umanità.
+ Ovidio Vezzoli
vescovo di Fidenza