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Martina Pacini

"Benedire e non maledire": il messaggio del vescovo Ovidio per la Quaresima

Quaresima 2024

“Benedire e non maledire”

L’apostolo Paolo concludendo la sua lettera ai cristiani di Roma ci consegna un appassionato ammonimento, vera traccia sapienziale per il cammino ecclesiale nel tempo santo della Quaresima orientato alla Pasqua del Signore: «La carità non abbia finzioni (…). Non siate pigri nello zelo (…); servite il Signore (…). Siate lieti nella speranza, forti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera, solleciti per le necessità dei fratelli, premurosi nell’ospitalità (…). Benedite e non maledite» (Rm 12,9-13). Questo è il principio evangelico che soggiace al documento del Dicastero della Dottrina della Fede (Fiducia supplicans, 18 dicembre 2023) relativo al senso pastorale delle benedizioni. Nel testo si prevede la «possibilità di benedire le coppie in situazioni irregolari e le coppie dello stesso sesso, senza convalidare ufficialmente il loro status o modificare in alcun modo l’insegnamento perenne della Chiesa sul matrimonio». Inutile ricordare la mole di polemiche pretestuose e gratuite che la Dichiarazione stessa ha suscitato. È necessario, però, procedere oltre la grettezza espressa da coloro che nemmeno hanno letto integralmente il testo e rendere ragione della verità e della bontà del documento senza istruire in forma pregiudiziale un processo alle intenzioni. Sempre l’apostolo Paolo ci rammenta in 1Tm 4,4-5 che: «Tutto ciò che è stato creato da Dio è buono e nulla è da scartarsi, quando lo si prende con rendimento di grazie perché esso viene santificato dalla parola di Dio e dalla preghiera». Riferendosi esplicitamente a Gen 1,31 la testimonianza dell’apostolo non solo dichiara l’originaria bontà e bellezza della creazione scaturita dall’Eterno e per il quale tutto è «molto buono», ma afferma che tutta la creazione mantiene una intrinseca verità proprio in forza della preghiera di benedizione davanti a Dio. Usufruendo della creazione come di un dono e non come di una proprietà esclusiva, il credente innalza a Dio il rendimento di grazie che trova nella Parola il fondamento originario. L’utilizzo dei beni della creazione nella concezione ebraica e cristiana della benedizione rievoca il rendimento di grazie delle creature davanti a Dio provvidente. La maledizione, al contrario, è un atto di radicale infedeltà, di contraddizione della bontà originaria in Dio e peccato di idolatria. A questo proposito una testimonianza rabbinica risulta eloquente: «Insegnarono i nostri maestri: ‘Resta vietato all’uomo di godere di qualche cosa che è di questo mondo, senza dire una benedizione; chi gode dei beni di questo mondo, senza dire una benedizione, commette in atto di infedeltà» (Talmud B. Berakôth 35a).

Riassumendo alcuni tratti fondamentali che la benedizione, nella tradizione giudaica e cristiana, rivela quando viene espressa davanti a Dio si potrebbe affermare, anzitutto, che la benedizione è dichiarazione dell’orante a rinunciare a qualsiasi diritto di proprietà sulle cose e sulle persone. È il riconoscimento della gratuità, dell’impossibilità a manipolare la creazione; è la rinuncia alla propria volontà di potenza instaurando con la realtà una relazione che sola permette di scorgerne la profonda identità di dono consegnato con annessa la responsabilità di custodire il dono stesso.

In secondo luogo, la benedizione rivela a chi appartiene la vita. In questa prospettiva la benedizione lascia trasparire la dimensione di una confessione di fede mediante la quale si dichiara la signoria di Dio sul cosmo e sulla storia. L’atto del benedire permette, quindi, di entrare in quell’orizzonte di sapienza della realtà per cui si coglie la verità della Scrittura quando afferma: «La terra è mia e voi siete presso di me come forestieri e pellegrini» (Lv 25,23; cfr. Dt 26,1-11). Confessare che la terra è di Dio significa riconoscere che tutti i suoi beni raggiungono il vertice di significato in un orizzonte di gratuità alieno da ogni forma di tentazione dispotica o di gestione egoistica. In tal senso la benedizione davanti a Dio è azione conseguente al riconoscere che lui per primo ha benedetto le sue creature circondandole del suo amore.

In terzo luogo, la benedizione esplicita la destinazione universale della creazione. Il riconoscere che tutto è di Dio contiene in sé l’intrinseca destinazione della realtà in vista della condivisione. Quando tale processo viene distorto, falsato o misconosciuto, allora nasce l’azione violenta del possedimento che porta irrimediabilmente alla sua perdita. L’usufruire della realtà creata con un atteggiamento di bramosia non permette alla realtà stessa di esprimere l’intrinseca bellezza e bontà originaria che porta in sé.

Infine, la benedizione dichiara che Dio ha affidato all’uomo «il giardino di Eden perché lo coltivasse e custodisse» (Gen 2,15); ciò è avvenuto perché è insisto nel suo progetto di un amore eterno e fedele. L’atto del benedire davanti a Dio evidenzia senza equivoci la riconsegna libera di un dono gratuitamente ricevuto. In questa dimensione il credente esercita il suo sacerdozio celebrando la liturgia della vita.

Ioannis Zizioulas, rifacendosi all’esperienza della liturgia eucaristica nella tradizione orientale, rilegge il momento della presentazione dei doni, in una illuminata sintesi interpretativa del ministero dell’uomo nel creato, che davanti a Dio ‘offre’ il mondo: «Tutti i fedeli che vanno alla liturgia portano con sé il mondo [...]. Anziché far dimenticare ai fedeli i loro bisogni quotidiani la liturgia domanda loro di portarli in chiesa e di pregare [...]. Questo grande scandalo per certe anime pie è un’azione che svela il compiersi durante la liturgia di un cammino verso la santa Tavola (l’altare), di un mondo così com’è [...]. Questa accettazione del mondo da parte della liturgia indica che realmente il mondo non ha mai cessato di essere mondo di Dio». Benedire e non maledire significa, pertanto, imparare a riconoscere le tracce della presenza di Dio provvidente nella nostra storia e sui volti delle persone che incontriamo; esse sono il riflesso del volto del Signore e manifestazione della bontà custodita nel cuore di tutti quelli che lo cercano.

 

+ Ovidio Vezzoli

Vescovo di Fidenza

Nuova identità grafica per l’Editore Paoline

Le Figlie di San Paolo, comunemente note come suore Paoline, il 5 febbraio scorso hanno presentato il restyling del marchio editoriale Paoline, che sostituisce esattamente dopo 30 anni il precedente.

 Accanto al marchio editoriale rinnovato, ricorrendo anche il 60° anniversario dalla nascita al cielo di suor Tecla Merlo, cofondatrice dell’Istituto, anche un nuovo logo istituzionale per la Congregazione.

Il contesto attuale in rapida evoluzione ha incoraggiato le Figlie di San Paolo ad adeguare la propria identità visiva per rispondere alle esigenze dei tempi moderni, per comunicare sempre meglio e in maniera coordinata in oltre 50 nazioni, attraverso siti web, social network, libri, strumenti multimediali e nei tanti luoghi dove essere presenti oggi e domani.

Assecondando il linguaggio dell’era digitale del XXI secolo e seguendo il loro carisma di comunicatrici del Vangelo, le Figlie di San Paolo attraverso il proprio Editore Paoline danno vita a un’azione di rebranding, che coinvolge centinaia di lingue in 50 Paesi del mondo, per offrire una nuova forma di comunicazione e annuncio del Vangelo, che guardi a tutti i nuovi media e diventi sempre più capace di esserci nella complessità dei tempi e delle società. Spingersi sempre oltre, protendersi sempre oltre, puntare sempre oltre: è ciò che da sempre caratterizza una storia fatta di instancabile impegno per l’evangelizzazione ed è segno di una promessa per un futuro di innovazione, cambiamento, presenza.

L'ellisse di colore blu, con una linea aperta e inclusiva, rappresenta il mondo al quale le Paoline sono chiamate ad annunciare il Vangelo. Il colore blu richiama l'ambito digitale e le reti dell’infrastruttura informatica ed esprime il desiderio di essere apostole del XXI secolo. La lettera P, con il suo colore identitario rosso, simboleggia lo slancio pastorale di Paolo, modello del vivere in Cristo e ispiratore della missione. In alcune lingue, rappresenta anche la P di Parola, Palabra, Palavra… da diffondere in tutto il mondo. Il logotipo Paoline, posto al di sotto dell’emblema: l’ellisse e la P, rappresenta la base solida, come le radici di un albero maestoso.

Accanto al restyling del marchio editoriale, le Figlie di San Paolo si dotano da oggi anche di un nuovo logo istituzionale. Il nome "Figlie di San Paolo" racchiude la profonda connessione che le lega all'Apostolo delle genti. Tuttavia, nei 50 Paesi dove si trovano, il nome si riverbera attraverso una varietà di forme. È per questo motivo che si è scelto di raffigurare la Congregazione attraverso un nuovo logo ispirato al distintivo. L’ellisse, condivisa con l’Editore Paoline, rappresenta la Congregazione e la missione dell’evangelizzazione; aperta e inclusiva in quanto abbraccia la Croce-Libro, che richiama il distintivo delle Figlie di San Paolo, l’Apostolo delle genti e la Parola da annunciare.

Il Sussidio Diocesano per la Quaresima

E' disponibile il Sussidio preparato dagli Uffici Pastorali della Diocesi di Fidenza in vista della Quaresima dal titolo “I luoghi della conversione: un cammino di resurrezione insieme ai fratelli nelle strade della vita”. Un percorso a tappe per i luoghi di conversione più significativi presenti nei Vangeli.

Nel sussidio tante proposte per giovani e ragazzi e una nuova preziosa collaborazione: quella con il gruppo "Laudato sì", nato in seno alla parrocchia di San Giuseppe Lavoratore in Fidenza. Per una riflessione alla luce dell'enciclica di Papa Francesco con alcuni utili consigli per migliorare il nostro rapporto con il Creato e con ciò che ci circonda.

 

Qui il sussidio.

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