BannerTopDEF2

Martina Pacini

Lectio divina del Vescovo Ovidio nel Tempo di Avvento

“La speranza non delude” (Rm 5,5) è il titolo della lectio divina del Vescovo Ovidio nel Tempo di Avvento (anno C).
I quattro incontri si svolgeranno nella Cattedrale di Fidenza con inizio alle ore 20.30.
La prima lectio è prevista per il 28 novembre (Lc 21,25-28.34-36);
la seconda il 5 dicembre (Lc 1,26-38);
la terza il 12 dicembre (Lc 3,10-18);
la quarta il 19 dicembre (Lc 1,39-45).

Mandato ai catechisti

Martedì 3 dicembre alle ore 20.30 presso il centro interparrocchiale San Michele in Fidenza il Vescovo Ovidio presenterà la Lettera pastorale 2024-2025 dal titolo "Chi ha orecchio ascolti" ai catechisti della Diocesi.
A seguire conferirà loro il Mandato.

"Pellegrini nella speranza": il messaggio del vescovo Ovidio per l'Avvento

L’evento del Giubileo Ordinario 2025 è bene illustrato nelle sue motivazioni fondamentali da Papa Francesco nella Bolla di indizione (Spes non confundit) mediante il richiamo esplicito a Rm 5,5: «La speranza non delude». Questo rimando biblico viene ulteriormente declinato dal tema del pellegrinaggio indicato dallo slogan che accompagna l’esperienza dell’Anno giubilare: «Peregrinantes in spem». Al centro, dunque, di questo cammino di fede è posta la speranza che non delude. Oltre ogni equivoco non si tratta di porre attenzione ad una virtù teologale riproposta come tematica a partire dalla quale elaborare proposte pastorali o proporre cammini penitenziali affidati alla buona volontà e alla devozione religiosa dei credenti. Al contrario, la speranza ha un nome ben preciso: Gesù di Nazareth, il Figlio di Dio, Parola eterna fatta carne; la sua missione affidatagli dal Padre è quella di ricondurre l’umanità al Signore unico affinché impari nuovamente a riconoscere la sua presenza nella vita dell’altro, che condivide con noi i tratti di un cammino di vita spesso faticoso e messo alla prova, quanto alla sua dignità. Dunque, pellegrini nella speranza che non delude. Papa Francesco sintetizza con acutezza il desiderio profondo dell’umanità relativamente alla speranza:

«Tutti sperano. Nel cuore di ogni persona è racchiusa la speranza come desiderio e attesa del bene, pur non sapendo che cosa il domani porterà con sé. L’imprevedibilità del futuro, tuttavia, fa sorgere sentimenti a volte contrapposti: dalla fiducia al timore, dalla serenità allo sconforto, dalla certezza al dubbio. Incontriamo spesso persone sfiduciate, che guardano all’avvenire con scetticismo e pessimismo, come se nulla potesse offrire loro felicità. Possa il Giubileo essere per tutti occasione di rianimare la speranza. La Parola di Dio ci aiuta a trovarne le ragioni […]» (Papa Francesco, Spes non confundit, n. 1).

Come è possibile rianimare questa speranza nel cuore di ogni uomo e ogni donna? Come non cadere nella trappola mortale del nichilismo che tutto azzera in una uniformità che mortifica ogni anelito alla speranza? Al riguardo il profeta Zaccaria è testimone di una parola provocatoria la cui finalità è quella di risvegliare il cuore dei timorati di Dio perchè ripongano in lui la loro fiducia e non si lascino ingannare da illusorie promesse: «Gli strumenti divinatori dicono menzogne, gli indovini vedono il falso, raccontano sogni fallaci, danno vane consolazioni: per questo vanno vagando come pecore, sono oppressi, perché senza pastore» (Zc 10,2). Pertanto, come reagire con audacia evangelica ad un modo di pensare che vede davanti a sé solo catastrofi, finitudine miserevole dell’umanità, cattiveria, aggressività e dominio sugli altri perché ritenuti ostacolo alla espansione del proprio ego dominante? Papa Francesco indica la strada di chi lascia operare lo Spirito Santo nelle proprie vite ispirando le scelte del bene da attuare:

È infatti lo Spirito Santo, con la sua perenne presenza nel cammino della Chiesa, a irradiare nei credenti la luce della speranza: Egli la tiene accesa come una fiaccola che mai si spegne, per dare sostegno e vigore alla nostra vita. La speranza cristiana, in effetti, non illude e non delude, perché è fondata sulla certezza che niente e nessuno potrà mai separarci dall’amore divino» (Papa Francesco, Spes non confundit, n. 3).

Sta davanti a noi il tempo di grazia dell’Avvento del Signore. Le tematiche della speranza, della sobrietà, della vigile attesa del Signore che viene caratterizzano queste quattro settimane che dispongono all’incontro con la Parola fatta carne, Gesù il Signore di tutti, che viene a noi nella sua misericordia e nel suo giudizio. Il tempo di Avvento ci richiama la dimensione del cammino che si fa vigilanza in un momento della nostra storia in cui è difficile intravvedere una luce di speranza, si sperimenta una sempre più faticosa riconciliazione con se stessi e con gli altri; la tentazione di fronte a tutto ciò è quella di cadere nella rassegnazione e nella percezione della disfatta davanti a situazioni che ci superano grandemente nella loro complessità.

In questo frattempo, la grazia dell’Avvento del Signore ci esorta alla necessità, anzitutto, dell’ascolto che costituisce il criterio affinché l’evento stesso del Giubileo ordinario 2025 sia sottratto al carattere di eccezionalità spettacolare e folcloristica, ma sia posto nella condizione di esprimere ciò che caratterizza senza equivoci un cammino di ritorno al Signore e all’essenziale della vita cristiana. In secondo luogo, è ribadita fortemente l’urgenza di un discernimento evangelico del segno del tempo, senza deleghe; è necessario chiederci: che cosa domanda oggi il Signore a questa umanità? Quale parola di speranza che non delude possono ancora testimoniare i credenti agli uomini e alle donne del nostro tempo? La Chiesa è ancora luce che orienta il cammino di quanti cercano la verità, il senso di questa storia e il significato della propria esistenza in questo oggi? Maria, la Madre del Signore, vergine orante, donna dell’attesa e di speranza interceda per noi presso il Figlio e sostenga il nostro cammino orientato alla speranza che non delude.

+ Ovidio Vezzoli

vescovo di Fidenza

Il messaggio di Papa Francesco per la VIII Giornata mondiale dei Poveri

 

La preghiera del povero sale fino a Dio (cfr Siracide 21,5)

Cari fratelli e sorelle!

1. La preghiera del povero sale fino a Dio (cfr Sir 21,5). Nell’anno dedicato alla preghiera, in vista del Giubileo Ordinario 2025, questa espressione della sapienza biblica è quanto mai appropriata per prepararci all’VIII Giornata Mondiale dei Poveri, che ricorrerà il 17 novembre prossimo. La speranza cristiana abbraccia anche la certezza che la nostra preghiera giunge fino al cospetto di Dio; ma non qualsiasi preghiera: la preghiera del povero! Riflettiamo su questa Parola e “leggiamola” sui volti e nelle storie dei poveri che incontriamo nelle nostre giornate, perché la preghiera diventi via di comunione con loro e di condivisione della loro sofferenza.

2. Il libro del Siracide, a cui facciamo riferimento, non è molto conosciuto, e merita di essere scoperto per la ricchezza di temi che affronta soprattutto quando tocca la relazione dell’uomo con Dio e il mondo. Il suo autore, Ben Sira, è un maestro, uno scriba di Gerusalemme, che scrive probabilmente nel II secolo a.C. È un uomo saggio, radicato nella tradizione d’Israele, che insegna su vari campi della vita umana: dal lavoro alla famiglia, dalla vita in società all’educazione dei giovani; pone attenzione ai temi legati alla fede in Dio e all’osservanza della Legge. Affronta i problemi non facili della libertà, del male e della giustizia divina, che sono di grande attualità anche per noi oggi. Ben Sira, ispirato dallo Spirito Santo, intende trasmettere a tutti la via da seguire per una vita saggia e degna di essere vissuta davanti a Dio e ai fratelli.

3. Uno dei temi a cui questo autore sacro dedica maggior spazio è la preghiera. Egli lo fa con molto ardore, perché dà voce alla propria esperienza personale. In effetti, nessuno scritto sulla preghiera potrebbe essere efficace e fecondo se non partisse da chi ogni giorno sta alla presenza di Dio e ascolta la sua Parola. Ben Sira dichiara di aver ricercato la sapienza fin dalla giovinezza: «Quando ero ancora giovane, prima di andare errando, ricercai assiduamente la sapienza nella mia preghiera» (Sir 51,13).

4. In questo suo percorso, egli scopre una delle realtà fondamentali della rivelazione, cioè il fatto che i poveri hanno un posto privilegiato nel cuore di Dio, a tal punto che, davanti alla loro sofferenza, Dio è “impaziente” fino a quando non ha reso loro giustizia: «La preghiera del povero attraversa le nubi né si quieta finché non sia arrivata; non desiste finché l’Altissimo non sia intervenuto e abbia reso soddisfazione ai giusti e ristabilito l’equità. Il Signore certo non tarderà né si mostrerà paziente verso di loro” (Sir 35,21-22). Dio conosce le sofferenze dei suoi figli, perché è un Padre attento e premuroso verso tutti. Come Padre, si prende cura di quelli che ne hanno più bisogno: i poveri, gli emarginati, i sofferenti, i dimenticati... Ma nessuno è escluso dal suo cuore, dal momento che, davanti a Lui, tutti siamo poveri e bisognosi. Tutti siamo mendicanti, perché senza Dio saremmo nulla. Non avremmo neppure la vita se Dio non ce l’avesse donata. E, tuttavia, quante volte viviamo come se fossimo noi i padroni della vita o come se dovessimo conquistarla! La mentalità mondana chiede di diventare qualcuno, di farsi un nome a dispetto di tutto e di tutti, infrangendo regole sociali pur di giungere a conquistare ricchezza. Che triste illusione! La felicità non si acquista calpestando il diritto e la dignità degli altri.

La violenza provocata dalle guerre mostra con evidenza quanta arroganza muove chi si ritiene potente davanti agli uomini, mentre è miserabile agli occhi di Dio. Quanti nuovi poveri produce questa cattiva politica fatta con le armi, quante vittime innocenti! Eppure, non possiamo indietreggiare. I discepoli del Signore sanno che ognuno di questi “piccoli” porta impresso il volto del Figlio di Dio, e ad ognuno deve giungere la nostra solidarietà e il segno della carità cristiana. «Ogni cristiano e ogni comunità sono chiamati ad essere strumenti di Dio per la liberazione e la promozione dei poveri, in modo che essi possano integrarsi pienamente nella società; questo suppone che siamo docili e attenti ad ascoltare il grido del povero e soccorrerlo» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 187).

5. In questo anno dedicato alla preghiera, abbiamo bisogno di fare nostra la preghiera dei poveri e pregare insieme a loro. È una sfida che dobbiamo accogliere e un’azione pastorale che ha bisogno di essere alimentata. In effetti, «la peggior discriminazione di cui soffrono i poveri è la mancanza di attenzione spirituale. L’immensa maggioranza dei poveri possiede una speciale apertura alla fede; hanno bisogno di Dio e non possiamo tralasciare di offrire loro la sua amicizia, la sua benedizione, la sua Parola, la celebrazione dei Sacramenti e la proposta di un cammino di crescita e di maturazione nella fede. L’opzione preferenziale per i poveri deve tradursi principalmente in un’attenzione religiosa privilegiata e prioritaria» (ivi, 200).

Tutto questo richiede un cuore umile, che abbia il coraggio di diventare mendicante. Un cuore pronto a riconoscersi povero e bisognoso. Esiste, infatti, una corrispondenza tra povertà, umiltà e fiducia. Il vero povero è l’umile, come affermava il santo vescovo Agostino: «Il povero non ha di che inorgoglirsi, il ricco ha l’orgoglio da combattere. Ascoltami perciò: sii un vero povero, sii virtuoso, sii umile» (Discorsi, 14, 4). L’umile non ha nulla da vantare e nulla pretende, sa di non poter contare su sé stesso, ma crede fermamente di potersi appellare all’amore misericordioso di Dio, davanti al quale sta come il figlio prodigo che torna a casa pentito per ricevere l’abbraccio del padre (cfr Lc 15,11-24). Il povero, non avendo nulla a cui appoggiarsi, riceve forza da Dio e in Lui pone tutta la sua fiducia. Infatti, l’umiltà genera la fiducia che Dio non ci abbandonerà mai e non ci lascerà senza risposta.

6. Ai poveri che abitano le nostre città e fanno parte delle nostre comunità dico: non perdete questa certezza! Dio è attento a ognuno di voi e vi è vicino. Non vi dimentica né potrebbe mai farlo. Tutti facciamo esperienza di una preghiera che sembra rimanere senza risposta. A volte chiediamo di essere liberati da una miseria che ci fa soffrire e ci umilia e Dio sembra non ascoltare la nostra invocazione. Ma il silenzio di Dio non è distrazione dalle nostre sofferenze; piuttosto, custodisce una parola che chiede di essere accolta con fiducia, abbandonandoci in Lui e alla sua volontà. È ancora il Siracide che lo attesta: “Il giudizio di Dio sarà a favore del povero” (cfr  21,5). Dalla povertà, dunque, può sgorgare il canto della più genuina speranza. Ricordiamoci che «quando la vita interiore si chiude nei propri interessi non vi è più spazio per gli altri, non entrano più i poveri, non si ascolta più la voce di Dio, non si gode più della dolce gioia del suo amore, non palpita l’entusiasmo di fare il bene. […] Questa non è la vita nello Spirito che sgorga dal cuore di Cristo risorto» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 2).

7. La Giornata Mondiale dei Poveri è diventata ormai un appuntamento per ogni comunità ecclesiale. È un’opportunità pastorale da non sottovalutare, perché provoca ogni credente ad ascoltare la preghiera dei poveri, prendendo coscienza della loro presenza e necessità. È un’occasione propizia per realizzare iniziative che aiutano concretamente i poveri, e anche per riconoscere e dare sostegno ai tanti volontari che si dedicano con passione ai più bisognosi. Dobbiamo ringraziare il Signore per le persone che si mettono a disposizione per ascoltare e sostenere i più poveri. Sono sacerdoti, persone consacrate, laici e laiche che, con la loro testimonianza, danno voce alla risposta di Dio alla preghiera di quanti si rivolgono a Lui. Il silenzio, dunque, si spezza ogni volta che un fratello nel bisogno viene accolto e abbracciato. I poveri hanno ancora molto da insegnare, perché in una cultura che ha messo al primo posto la ricchezza e spesso sacrifica la dignità delle persone sull’altare dei beni materiali, loro remano contro corrente evidenziando che l’essenziale per la vita è ben altro.

La preghiera, quindi, trova nella carità che si fa incontro e vicinanza la verifica della propria autenticità. Se la preghiera non si traduce in agire concreto è vana; infatti «la fede senza le opere è morta» (Gc 2,26). Tuttavia, la carità senza preghiera rischia di diventare filantropia che presto si esaurisce. «Senza la preghiera quotidiana vissuta con fedeltà, il nostro fare si svuota, perde l’anima profonda, si riduce ad un semplice attivismo» (Benedetto XVI, Catechesi, 25 aprile 2012). Dobbiamo evitare questa tentazione ed essere sempre vigili con la forza e la perseveranza che proviene dallo Spirito Santo che è datore di vita.

8. In questo contesto è bello ricordare la testimonianza che ci ha lasciato Madre Teresa di Calcutta, una donna che ha dato la vita per i poveri. La Santa ripeteva continuamente che era la preghiera il luogo da cui attingeva forza e fede per la sua missione di servizio agli ultimi. Quando, il 26 ottobre 1985, parlò nell’Assemblea Generale dell’ONU, mostrando a tutti la corona del Rosario che teneva sempre in mano disse: «Io sono soltanto una povera suora che prega. Pregando, Gesù mi mette nel cuore il suo amore e io vado a donarlo a tutti i poveri che incontro sul mio cammino. Pregate anche voi! Pregate, e vi accorgerete dei poveri che avete accanto. Forse nello stesso pianerottolo della vostra abitazione. Forse anche nelle vostre case c’è chi aspetta il vostro amore. Pregate, e gli occhi si apriranno e il cuore si riempirà di amore».

E come non ricordare qui, nella città di Roma, San Benedetto Giuseppe Labre (1748-1783), il cui corpo riposa ed è venerato nella chiesa parrocchiale di Santa Maria ai Monti. Pellegrino dalla Francia a Roma, rifiutato da tanti monasteri, egli trascorse gli ultimi anni della sua vita povero tra i poveri, sostando ore e ore in preghiera davanti al Santissimo Sacramento, con la corona del rosario, recitando il breviario, leggendo il Nuovo Testamento e l’Imitazione di Cristo. Non avendo nemmeno una piccola stanza dove alloggiare, dormiva abitualmente in un angolo delle rovine del Colosseo, come “vagabondo di Dio”, facendo della sua esistenza una preghiera incessante che saliva fino a Lui.

9. In cammino verso l’Anno Santo, esorto ognuno a farsi pellegrino di speranza, ponendo segni tangibili per un futuro migliore. Non dimentichiamo di custodire «i piccoli particolari dell’amore» (Esort. ap. Gaudete et exsultate, 145): fermarsi, avvicinarsi, dare un po’ di attenzione, un sorriso, una carezza, una parola di conforto... Questi gesti non si improvvisano; richiedono, piuttosto, una fedeltà quotidiana, spesso nascosta e silenziosa, ma resa forte dalla preghiera. In questo tempo, in cui il canto di speranza sembra cedere il posto al frastuono delle armi, al grido di tanti innocenti feriti e al silenzio delle innumerevoli vittime delle guerre, rivolgiamo a Dio la nostra invocazione di pace. Siamo poveri di pace e tendiamo le mani per accoglierla come dono prezioso e nello stesso tempo ci impegniamo a ricucirla nel quotidiano.

10. Siamo chiamati in ogni circostanza ad essere amici dei poveri, seguendo le orme di Gesù che per primo si è fatto solidale con gli ultimi. Ci sostenga in questo cammino la Santa Madre di Dio Maria Santissima, che apparendo a Banneux ci ha lasciato il messaggio da non dimenticare: «Sono la Vergine dei poveri». A lei, che Dio ha guardato per la sua umile povertà, compiendo cose grandi con la sua obbedienza, affidiamo la nostra preghiera, convinti che salirà fino al cielo e sarà ascoltata.

 

Roma, San Giovanni in Laterano, 13 giugno 2024, memoria di Sant’Antonio da Padova, Patrono dei poveri.


FRANCESCO

Sottoscrivi questo feed RSS