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Il magistero silenzioso del Natale

Il magistero silenzioso del Natale

I testi biblici che la Chiesa ci propone nel tempo santo del Natale del Signore esprimono tratti inattesi sui quali non converge quasi mai la nostra attenzione, perché catturata da elementi periferici e non essenziali al fine di cogliere ciò che costituisce il nucleo della buona notizia di Dio all’umanità. Tra questi tratti il silenzio costituisce un riferimento imprescindibile. Nell’evento del Natale il silenzio domina con delicatezza lo svolgersi dei fatti e richiama altresì una lezione magistrale che non possiamo misconoscere. Richiamiamone alcuni passaggi significativi.

Già il libro della Sapienza descrive come dal silenzio eterno uscì la parola di Dio inaugurando il mondo rinnovato dalla provvidenza dell’Altissimo: «Mentre un profondo silenzio avvolgeva tutte le cose, e la notte era a metà del suo corso, la tua parola onnipotente dal cielo, dal tuo trono regale uscì in mezzo a quella terra di sterminio, portando come spada affilata, il tuo ordine inesorabile» (Sap 18,14-15). A questo testo della Scrittura fa eco l’inizio del quarto evangelo prospettando l’inedita iniziativa di Dio a favore di una umanità avvolta dalle tenebre e incapace di darsi salvezza da se stessa: «In principio era la Parola e la Parola era presso Dio e la Parola era Dio» (Gv 1,1). Gli stessi racconti del Nuovo Testamento che si riferiscono alla nascita di Gesù indugiano non poco nel sottolineare il contesto di silenzio che circonda la narrazione dell’evento stesso. Essi sono finalizzati a precisare che in tutto ciò è all’opera Dio soltanto, senza concorso umano alcuno. Questa prospettiva è ben delineata nell’annuncio della inattesa maternità di Maria a Giuseppe suo sposo; egli nella notte del silenzio della rivelazione dell’angelo decide di prendere con sé Maria come sua sposa senza scrivere per lei un atto di ripudio che l’avrebbe esposta in tal modo ad una solitudine infamante (cfr. Mt 1,18-25). È il medesimo silenzio che accompagna la nascita di Gesù a Betlemme. Il racconto biblico di Luca, infatti, colloca l’evento del Natale in una cornice storica ben precisa caratterizzata dal censimento imposto dall’autorità romana occupante in terra di Palestina; quando, però, si tratta di descrivere più compiutamente il fatto della nascita di Gesù l’evangelista Luca non si abbandona ad una molteplicità di particolari narrativi, ma afferma con essenzialità che Maria «diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non vi era posto per loro nell’albergo» (Lc 2,7). È ancora sul silenzio che l’evangelista Luca si attarda quando riferisce di alcuni pastori che facevano la guardia vegliando nella notte sul gregge nella campagna di Betlemme (cfr. Lc 2,8-15); è nel silenzio che essi sono nella condizione di accogliere l’annuncio dell’angelo e decidere di mettersi in cammino fino al luogo indicato. Ancor di più, Luca richiama l’importanza decisiva del silenzio quando annota l’atteggiamento di Maria, la madre che, rispetto al concitato andirivieni di esseri angelici annunzianti e di pastori adoranti, «da parte sua, custodiva tutti questi eventi meditandoli nel suo cuore» (Lc 2,19). In tal senso si precisa che l’atteggiamento necessario per entrare nella ricchezza del mistero del Natale del Signore è quello caratterizzato dal silenzio. Al contempo, questa scelta sarà più volte indicata da Gesù alla comunità dei discepoli quale stile per una sequela autentica dietro a lui, Maestro unico delle loro vite.

Il magistero silenzioso del Natale del Signore quale insegnamento trasmette alla comunità ecclesiale e all’umanità intera oggi? Va precisato, anzitutto, che la sapienza del silenzio denuncia l’ipocrisia del rumore delle molteplici parole umane, che procedono verso la deriva dell’ovvietà, dell’insignificanza, dello scontato di un pettegolezzo assordante, inconcludente e inutile nascondendo null’altro che l’incapacità ad ascoltare, a pensare, a discernere e valutare con intelligenza.

È necessario sottolineare, in secondo luogo, che il silenzio è rivelativo della sapienza dell’ascolto dell’altro, è pazienza nell’attesa, è la rinuncia a primeggiare e ad ammutolire l’altro con parole assolute che chiudono la possibilità del dialogo e del confronto. Il silenzio non è da confondere con il mutismo, con il non sapere che cosa dire; al contrario, il mutismo genera solo disperazione, rassegnazione, senso di abbandono, rinuncia alla speranza e alla ricerca di senso, quando addirittura non si trasforma in espressione di disprezzo dell’altro che ti sta davanti e per il quale si ritiene che ci stia occupando tempo prezioso. La sapienza del silenzio ci insegna che non si può dire tutto; non si può cadere nell’arroganza di spiegare ogni cosa ad ogni costo; è necessario il rispetto del silenzio nella sua dimensione di mistero ineffabile, che sono io per me stesso, ma che lo è anche per l’altro davanti a me. Vi è un non-detto nella vita di ciascuno che esige il silenzio custodito con sapienza e che solo il Signore conosce nella sua interezza e senso ultimo. La pretesa di spiegare ogni cosa dell’altro significa irrompere nella sua vita con un processo di dominio che lo rende schiavo impedendogli di camminare nella libertà.

In terzo luogo, conseguentemente, va richiamato che il silenzio è atteggiamento cosciente che rivela ospitalità nei confronti dell’altro. Infatti sono proprio il sospetto e il pregiudizio dei sadducei e di alcuni farisei nei confronti di Gesù ad impedire loro di fare posto alla parola dell’evangelo annunziata. La loro argomentazione lascia spazio a parole di accusa nei confronti del rabbi di Nazareth, tratteggiato come negazionista dell’importanza del rispetto delle tradizioni dei padri; è proprio la molteplicità delle parole inutili e accusatorie ad impedire il silenzio interiore di questi arroganti maestri senza giungere ad accogliere la novità della buona notizia di Dio per tutti. Il quarto evangelo lo dichiara con acutezza denunciando il rifiuto dei capi del popolo nei confronti di Gesù proprio a causa della loro incapacità di ascoltare: «Venne tra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto» (Gv 1,11). È il silenzio davanti all’altro che incontriamo, permettendo a lui di raccontarsi circa la sua identità, che ci rende ospitanti e a lui prossimi. Infatti, la sola presenza dell’altro ci parla se lo sappiamo ascoltare in quanto è già eloquenza della sua dignità di persona che riconosciamo senza ipocrisia.

Infine, il magistero silenzioso che l’evento del Natale del Signore porta con sé conduce a riconoscere la necessità di imparare ad ascoltare, ad apprendere l’arte della prossimità mettendo al bando ogni forma di precipitosa bramosia di sapere e imponendo lentezza alle nostre frette. Come apprendiamo ad accogliere la parola di Dio che giunge a noi nella sua libertà e gratuità, allo stesso modo siamo chiamati a fare spazio all’Emmanuele, il Dio-con-noi che riconosciamo nel volto del fratello e della sorella che incontriamo come dono, non come una minaccia. Questi sono i lineamenti di una Chiesa “in uscita” che non rinuncia all’evangelizzazione, perché nel silenzio del mistero ascoltato, celebrato e accolto impara a discernere il dono di amore e di libertà che l’ha visitata.

Maria, la Vergine del silenzio, ci accompagni con la sua materna intercessione e ci introduca all’arte dell’ascolto per accogliere la ricchezza del mistero della Parola fatta carne:

«Vergine del silenzio

che ascolti la Parola e la conservi

donna del futuro

aprici il cammino».

 

+Ovidio Vezzoli

vescovo

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