Il 26 gennaio lettura continua del Libro di Qoèlet
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- Scritto da Martina Pacini
Natale del Signore: abbassamento e condivisione dell’umano
La ricchezza della parola di Dio che la Chiesa consegna ai credenti in questo tempo di grazia, esorta con insistenza ad essere custodi del mistero, di quell’evento di grazia che ha mutato le sorti dell’umanità, ha cambiato il volto della storia e ha consegnato la speranza che non delude in Gesù il Cristo, Parola eterna di Dio, volto compassionevole del Misericordioso.
Anzitutto, il Natale è mistero di abbassamento. È il venire di Dio, nel suo Figlio Gesù Cristo, incontro all’umanità disorientata, incapace di trovare salvezza e speranza da se stessa, prigioniera delle proprie illusioni, impossibilitata a discernere una strada di vita. L’abbassamento di Dio in Gesù di Nazareth non è solo un atto di umiltà, di condiscendenza verso l’umano o di ciò che noi avremmo potuto ritenere conveniente che il Signore facesse a nostro favore. Al contrario, va ribadito che si tratta di un atto di libertà e per amore. Il Natale del Signore è l’evento che narra della libertà e dell’amore di Dio nei confronti dell’umanità. Questa libertà per amore si incontra perfettamente con l’obbedienza e la medesima compassione di Gesù di Nazareth, il Figlio amato, nel quale il Padre riconosce riflessa in pienezza la sua volontà unica. Questo progetto è ben espresso nel Prologo del quarto Evangelo quando si dichiara senza equivoci: «Vedere Dio nessuno ha mai potuto! Un Dio unico generato, colui che è proteso al cuore del Padre, lui seppe narrarne» (Gv 1,18). Conoscere il Dio cristiano non è il risultato di uno sforzo razionale, la conclusione di un sillogismo filosofico, il prodotto di un algoritmo tecnocratico, l’epilogo di una sottigliezza teologica; al contrario è dato agli umani di conoscere il Signore per grazia, ossia mediante il dono che Lui stesso fa mediante Gesù di Nazareth, il suo Figlio beneamato. Il Mistero del Natale del Signore si dispiega propriamente in questo movimento di abbassamento, di dono, di consegna per amore e nella libertà; ciò avviene nella comunione della Trinità santa senza attendersi alcuna riconoscenza umana, senza calcolo di convenienze, procedendo ben oltre il criterio di corrispondenza, ma solo per amore. Un tale progetto salvifico lo poteva concepire ed attuare solo Dio e non un uomo.
In secondo luogo, strettamente unito al cammino di abbassamento, il Natale del Signore racconta della sua condivisione in pienezza dell’umano. È sufficiente considerare quanto testimoniato dagli Evangeli per poter discernere la ricchezza e il significato ultimo di questa condivisione, non ideale, bensì profondamente umana e storica. Gesù di Nazareth, volto del Padre misericordioso e compassionevole, racconta di un Dio che condivide con una povera umanità l’inizio della sua missione di annuncio dell’evangelo, quando condivide con i poveri e gli umili della terra la sua nascita nel nascondimento e nel silenzio adorante di Maria la madre e di Giuseppe; quando nelle acque del Giordano vi discende insieme ad una umanità peccatrice che cerca perdono e riconciliazione: in quel contesto la voce del Padre lo proclama “suo Figlio amato nel quale è riflessa pienamente la sua volontà”. La condivisione dell’umano è espressa da Gesù quando sta a tavola con pubblicani e peccatori; quando racconta le parabole della misericordia; quando si china sulla infermità dei malati; quando scorge l’inutilità rassegnata della vita dei lebbrosi che implorano da lui la guarigione; quando dichiara solennemente il perdono a una donna che i presunti giusti avevano già deciso di lapidare a morte; quando moltiplica il pane per la folla stanca e affaticata che lo segue da giorni ascoltando la sua parola; quando rassicura della sua presenza i discepoli in una notte di tempesta nella quale la barca minaccia di affondare tra i flutti del lago di Tiberiade; quando rinfranca il cuore affaticato e desolato degli apostoli che non hanno saputo vegliare nella preghiera con lui nella notte del Getsemani; quando non ha una parola di condanna per i suoi che sono fuggiti davanti all’inganno dell’arresto, all’orrore della flagellazione, all’ingiuria del processo farsa e della dileggiante condanna a morte mediante la crocifissione; quando dall’alto della croce grida, da un lato, il suo dolore e il silenzio di Dio, racchiudendo in sé tutte le domande di una umanità ferita e disorientata a causa della propria debolezza e del proprio peccato, dall’altro, quando invoca il perdono del Padre per tutti; quando, risorto dai morti, consola le donne discepole, esorta la comunità apostolica ad essere testimone della sua parola e assicura il dono dello Spirito promesso, autentico protagonista della missione ecclesiale; quando, nondimeno, dichiara solennemente la sua presenza senza tempo, fedele accanto ai suoi fino alla fine del mondo. È necessario ribadire che il mistero del Natale non può essere disgiunto dall’evento della Pasqua del Signore. L’abbassamento e la condivisione dell’umano da parte di Dio in Gesù di Nazareth trovano nel mistero della sua morte, risurrezione e attesa della sua venuta finale nella gloria, il vero compimento della promessa.
L’Anno Giubilare ordinario 2025, che Papa Francesco aprirà in modo solenne nella notte del Natale del Signore, diventi esperienza di cammino e di ritorno al Signore, vera condivisione del dono di grazia e di riconciliazione che ci interpella e ci avvolge, accoglienza di una chiamata alla speranza che non delude.
+ Ovidio Vezzoli
vescovo
L’evento del Giubileo Ordinario 2025 è bene illustrato nelle sue motivazioni fondamentali da Papa Francesco nella Bolla di indizione (Spes non confundit) mediante il richiamo esplicito a Rm 5,5: «La speranza non delude». Questo rimando biblico viene ulteriormente declinato dal tema del pellegrinaggio indicato dallo slogan che accompagna l’esperienza dell’Anno giubilare: «Peregrinantes in spem». Al centro, dunque, di questo cammino di fede è posta la speranza che non delude. Oltre ogni equivoco non si tratta di porre attenzione ad una virtù teologale riproposta come tematica a partire dalla quale elaborare proposte pastorali o proporre cammini penitenziali affidati alla buona volontà e alla devozione religiosa dei credenti. Al contrario, la speranza ha un nome ben preciso: Gesù di Nazareth, il Figlio di Dio, Parola eterna fatta carne; la sua missione affidatagli dal Padre è quella di ricondurre l’umanità al Signore unico affinché impari nuovamente a riconoscere la sua presenza nella vita dell’altro, che condivide con noi i tratti di un cammino di vita spesso faticoso e messo alla prova, quanto alla sua dignità. Dunque, pellegrini nella speranza che non delude. Papa Francesco sintetizza con acutezza il desiderio profondo dell’umanità relativamente alla speranza:
«Tutti sperano. Nel cuore di ogni persona è racchiusa la speranza come desiderio e attesa del bene, pur non sapendo che cosa il domani porterà con sé. L’imprevedibilità del futuro, tuttavia, fa sorgere sentimenti a volte contrapposti: dalla fiducia al timore, dalla serenità allo sconforto, dalla certezza al dubbio. Incontriamo spesso persone sfiduciate, che guardano all’avvenire con scetticismo e pessimismo, come se nulla potesse offrire loro felicità. Possa il Giubileo essere per tutti occasione di rianimare la speranza. La Parola di Dio ci aiuta a trovarne le ragioni […]» (Papa Francesco, Spes non confundit, n. 1).
Come è possibile rianimare questa speranza nel cuore di ogni uomo e ogni donna? Come non cadere nella trappola mortale del nichilismo che tutto azzera in una uniformità che mortifica ogni anelito alla speranza? Al riguardo il profeta Zaccaria è testimone di una parola provocatoria la cui finalità è quella di risvegliare il cuore dei timorati di Dio perchè ripongano in lui la loro fiducia e non si lascino ingannare da illusorie promesse: «Gli strumenti divinatori dicono menzogne, gli indovini vedono il falso, raccontano sogni fallaci, danno vane consolazioni: per questo vanno vagando come pecore, sono oppressi, perché senza pastore» (Zc 10,2). Pertanto, come reagire con audacia evangelica ad un modo di pensare che vede davanti a sé solo catastrofi, finitudine miserevole dell’umanità, cattiveria, aggressività e dominio sugli altri perché ritenuti ostacolo alla espansione del proprio ego dominante? Papa Francesco indica la strada di chi lascia operare lo Spirito Santo nelle proprie vite ispirando le scelte del bene da attuare:
È infatti lo Spirito Santo, con la sua perenne presenza nel cammino della Chiesa, a irradiare nei credenti la luce della speranza: Egli la tiene accesa come una fiaccola che mai si spegne, per dare sostegno e vigore alla nostra vita. La speranza cristiana, in effetti, non illude e non delude, perché è fondata sulla certezza che niente e nessuno potrà mai separarci dall’amore divino» (Papa Francesco, Spes non confundit, n. 3).
Sta davanti a noi il tempo di grazia dell’Avvento del Signore. Le tematiche della speranza, della sobrietà, della vigile attesa del Signore che viene caratterizzano queste quattro settimane che dispongono all’incontro con la Parola fatta carne, Gesù il Signore di tutti, che viene a noi nella sua misericordia e nel suo giudizio. Il tempo di Avvento ci richiama la dimensione del cammino che si fa vigilanza in un momento della nostra storia in cui è difficile intravvedere una luce di speranza, si sperimenta una sempre più faticosa riconciliazione con se stessi e con gli altri; la tentazione di fronte a tutto ciò è quella di cadere nella rassegnazione e nella percezione della disfatta davanti a situazioni che ci superano grandemente nella loro complessità.
In questo frattempo, la grazia dell’Avvento del Signore ci esorta alla necessità, anzitutto, dell’ascolto che costituisce il criterio affinché l’evento stesso del Giubileo ordinario 2025 sia sottratto al carattere di eccezionalità spettacolare e folcloristica, ma sia posto nella condizione di esprimere ciò che caratterizza senza equivoci un cammino di ritorno al Signore e all’essenziale della vita cristiana. In secondo luogo, è ribadita fortemente l’urgenza di un discernimento evangelico del segno del tempo, senza deleghe; è necessario chiederci: che cosa domanda oggi il Signore a questa umanità? Quale parola di speranza che non delude possono ancora testimoniare i credenti agli uomini e alle donne del nostro tempo? La Chiesa è ancora luce che orienta il cammino di quanti cercano la verità, il senso di questa storia e il significato della propria esistenza in questo oggi? Maria, la Madre del Signore, vergine orante, donna dell’attesa e di speranza interceda per noi presso il Figlio e sostenga il nostro cammino orientato alla speranza che non delude.
+ Ovidio Vezzoli
vescovo di Fidenza
La Lettera pastorale 2024-2025 dal titolo “Chi ha orecchio ascolti” (il riferimento è alla celebre frase “Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alla Chiesa” contenuta nel libro dell’Apocalisse) si compone di sette capitoli preceduti da un’introduzione e seguiti da alcune indicazioni che il Vescovo Ovidio sottopone all’attenzione delle parrocchie, delle associazioni, dei movimenti e di tutte le realtà ecclesiali presenti in Diocesi.
Le sette Chiese sono quelle dell’Asia Minore: “L’amore, evento costitutivo della Chiesa” riguarda la Chiesa di Efeso” (cap. 1); “Una comunità fedele nel tempo della prova” riguarda la Chiesa di Smirne (cap. 2); “La denuncia dell’idolatria” riguarda la Chiesa di Pergamo (cap. 3); “La critica alla seduzione mondanizzante” riguarda la Chiesa di Tiatira (cap. 4); “Sentire il segno del tempo nella speranza” riguarda la Chiesa di Sardi (cap. 5); “Una Chiesa fedele alla Parola” riguarda la Chiesa di Filadelfia (cap. 6); infine “Contro la tiepidezza” riguarda la Chiesa di Laodicea (cap. 7).
Nell’ultimo paragrafo (“Quasi una conclusione”) il Vescovo sottolinea che l’intento della Lettera “è esclusivamente quello di offrire un orientamento nel cammino pastorale che stiamo compiendo come comunità cristiana fidentina, che comincia a interrogarsi sui segni di questo tempo e su quanto lo Spirito le rivela. Tutto ciò avviene nella fedeltà alla parola dell’evangelo, in comunione con Papa Francesco e con la sollecitudine pastorale di continuare a edificare l’unico corpo vivente di Cristo che è la sua Chiesa”.
Con il numero 29 il nostro settimanale diocesano sospende le pubblicazioni: ritornerà nelle case degli abbonati venerdì 6 settembre. Con l’occasione ricordiamo a coloro che non hanno ancora rinnovato l’abbonamento per il 2024 che possono farlo con il versamento di 40 euro attraverso il bollettino postale oppure tramite bonifico bancario. Tutte le indicazioni si trovano nella sezione "Abbonamenti" del sito web.
Gli uffici della Curia vescovile saranno chiusi dall’1 al 18 agosto: riapertura il 19 agosto.
I fondi dell’8xmille sono importanti per le opere di culto e pastorali nella nostra Diocesi. Senza questi fondi non sarebbero possibili i restauri a oggetti antichi, manifatture, dipinti ed edifici sacri, patrimonio artistico e culturale di grande valore storico, nonchè le attività pastorali e il sostentamento al clero diocesano. La firma per l’8xmille è un investimento a favore del territorio: questi fondi tornano alle Diocesi che li utilizzano per fare del bene alla comunità. Ne parliamo con l’economo diocesano don Andrea Mazzola.
Don Andrea, ci spieghi come i fondi 8xmille aiutano a sostenere l’attività pastorale della Diocesi
I fondi 8xmille sono importanti per il sostentamento del clero, quindi per provvedere ai bisogni di prima necessità di tutti i nostri sacerdoti, senza dimenticare la loro formazione durante l’anno pastorale. Inoltre servono per il mantenimento e la ristrutturazione di edifici sacri, oratori e ambienti parrocchiali dove ogni giorno tanti adulti, bambini e ragazzi si recano a pregare e a giocare. Con questi fondi la Diocesi ha potuto realizzare opere e interventi che si distinguono per qualità progettuale, per la loro capillare diffusione sul territorio, per la capacità di aggregazione e di socializzazione, per l’apporto che hanno dato all’occupazione e allo sviluppo, per la tutela che hanno garantito a parte del patrimonio storico-culturale e artistico.
E per quanto riguarda le attività caritative?
La Diocesi con questi fondi sostiene la mensa Caritas per i poveri, gli ambienti adibiti a prima ospitalità, il magazzino Caritas che raccoglie indumenti e mobili per quanti si trovano in una situazione di bisogno. Inoltre attraverso i centri di ascolto fornisce alle persone il supporto per uscire da gravi dipendenze e rimettere così in moto la propria vita. Dopo una adeguata e scrupolosa mappatura delle situazioni di bisogno presenti sul territorio (in collaborazione con gli enti locali) la Diocesi provvede anche al pagamento di parte di bollette e dell’affitto per le famiglie in difficoltà e le aiuta nella ricerca di un impiego stabile e duraturo nel tempo.
Quali difficoltà la nostra Diocesi potrebbe affrontare senza i fondi dell’8xmille?
Le richieste di aiuto che giungono e le necessità delle nostre chiese sono tante e vorremmo aiutare sempre più persone. Ma i fondi sono in sensibile calo e quindi il rischio concreto è dover ridimensionare questi servizi.
Quali sono i progetti futuri che la Diocesi ha in programma grazie ai fondi dell’8xmille?
Oltre a continuare le opere di carità è in programma il restauro di vari edifici di culto: in primo luogo quello dell’Oratorio della Zappella che è molto importante per il nostro territorio e ricco di una storia che getta le sue radici nel Medioevo. E’ un edificio modesto, ma sappiamo che la chiesetta venne trasformata in ospedale per pellegrini dai frati Penitenti (detti della Zappella, da cui prende appunto il nome). Poi passò ai Frati minori conventuali di San Francesco. Molti storici sono concordi nell’affermare che qui San Francesco d’Assisi, di ritorno dalla Spagna, abbia compiuto il miracolo della moltiplicazione dei pani nel 1215. Il prodigio viene narrato nelle Fonti Francescane e nelle Vite del Serafico d’Assisi. La chiesetta è stata anche quasi interamente distrutta durante il bombardamento del 13 maggio 1944.
Sono in corso inoltre i restauri alla Basilica di San Lorenzo in Monticelli d’Ongina, agli interni della Cattedrale di Fidenza, alla chiesa dei santi Gervasio e Protasio di Zibello, alla chiesa dei santi Vito e Modesto di Polesine, al santuario di Madonna Prati.
(L'oratorio della Zappella)
Quali benefici hanno sperimentato in modo diretto i membri della nostra comunità grazie ai progetti e alle attività finanziate anche con questi fondi? Penso alla possibilità di tenere aperto il Museo diocesano, che raccoglie tante opere e si occupa anche del loro restauro, con la possibilità di visite guidate gratuite in varie occasioni. E poi c’è l’archivio diocesano che da poco ospita anche gli atti delle parrocchie più piccole e fornisce l’importante servizio di consultazione storica. E non da ultimo anche la possibilità di avere un mezzo di comunicazione come il nostro giornale diocesano che da 125 anni è voce viva del territorio.
Martina Pacini
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I fondi dell’8xmille sono importanti anche per le opere di culto e pastorali nella nostra Diocesi. Senza questi fondi non sarebbero possibili i restauri a oggetti antichi, manifatture, dipinti ed edifici sacri, patrimonio artistico e culturale di grande valore storico. In questo articolo parleremo dei lavori di restauro, ancora in corso ma in dirittura d’arrivo, alla chiesa di San Pietro in Vincoli a Borghetto di Noceto insieme all’architetto Angela Desideri, direttore dei lavori, e al parroco don Francesco Villa.
Lo scorso aprile è stato aperto al pubblico il cantiere di restauro della chiesa di San Pietro in Vincoli a Borghetto di Noceto in occasione degli scavi archeologici da poco conclusi. La chiesa oggi è interessata da un secondo stralcio di lavori di restauro, consolidamento e adeguamento impiantistico realizzati con il contributo 8xmille della Cei e con i fondi della parrocchia. Gli interventi previsti riguardano lavori di restauro e consolidamento del campanile, rifacimento dell’impianto termico e illuminotecnico, rifacimento degli intonaci interni e tinteggi, realizzazione di vespaio, nuove pavimentazioni interne ed esterne e restauro di arredi lignei. Questi interventi sono autorizzati dalla Soprintendenza ed eseguiti sotto la sua sorveglianza.
(In foto: gli architetti incaricati dei lavori con il parroco don Francesco Villa)
La visita dello scavo archeologico, fortemente voluta dal parroco don Francesco Villa, si è tenuta sotto la guida del direttore dei lavori Arch. Angela Desideri, dell’impresa esecutrice Cagozzi Giampaolo & C. SNC di Rivotti Maurizio e della ditta ARCHEO.KUN Srl. E’ stata un’occasione nata dalla necessità di condividere con la comunità un frammento di storia della chiesa di Borghetto fino ad ora mai visto.
In occasione dei lavori di restauro della Chiesa, infatti, è stata eseguita un’indagine archeologica diretta dalla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Parma e Piacenza e condotta dagli archeologi della ditta ARCHEO.KUN Srl, che ha permesso di riportare alla luce almeno due fasi più antiche di vita dell’edificio sacro. Sono stati asportati i piani pavimentali e messe in luce le strutture funerarie, distribuite sia all’interno che all’esterno della chiesa, testimonianze materiali dell’antico legame tra il sacro edificio e la comunità. I lavori sono iniziati a novembre del 2023 e si concluderanno questa estate.
La chiesa di San Pietro in Vincoli a Borghetto presenta una pianta ad aula, a navata unica, con cappelle laterali e abside allungata curvilinea. Il periodo di fondazione è incerto: una piccola cappella fu edificata in epoca medievale, probabilmente entro il XII sec. dai frati cistercensi. La conformazione attuale della chiesa risale al prolungamento della navata del XVIII sec. e all’estensione dell’abside nel XX sec. Il corpo della sagrestia, annesso alla chiesa, dalla cartografia raccolta, risulta databile al XIX sec.
“É ormai dal 2019 che la chiesa di Borghetto non è più utilizzabile per il culto. In quell’anno infatti sono state avviate le indagini per la ristrutturazione e per la messa in sicurezza della nostra chiesa parrocchiale” ha sottolineato il parroco don Francesco Villa.
“Da 5 anni non è più stato possibile celebrare alcuna funzione religiosa. Non si può nascondere che la chiusura della chiesa abbia creato notevoli disagi e sacrifici. La popolazione ha però risposto con autentica disponibilità e comprensione. Alcuni sacramenti sono stati celebrati nelle vicine frazioni di Pieve Cusignano e Santa Margherita, mentre le cresime nel periodo della pandemia sono state celebrate in Cattedrale. Grazie alla disponibilità del circolo di Borghetto abbiamo iniziato a celebrare la messa domenicale e le messe feriali nel salone polivalente”.
(In foto: il vescovo Ovidio Vezzoli in visita al cantiere dei lavori)
I disagi si sono trasformati in occasioni per compiere passi di crescita oltre che di collaborazione e aiuto reciproco. “A Borghetto la comunità risulta essere davvero unita soprattutto nei momenti di difficoltà e di prova. Speriamo di poter presto tornare a celebrare nella nostra chiesa. Desidero esprimere un sentito ringraziamento al nostro Vescovo Ovidio per aver sempre seguito e accompagnato la nostra comunità e anche al mio predecessore don Luca Romani per aver sapientemente avviato i lavori di restauro. Un sincero grazie a tutti coloro che stanno lavorando con competenza e professionalità perché al più presto la nostra chiesa possa tornare ad essere luogo di incontro con il Signore e con i fratelli” ha concluso.
Martina Pacini
I fondi dell’8xmille sono importanti anche per le opere di carità presenti nella nostra Diocesi. Ne abbiamo parlato con Stefano Baschieri, direttore della Caritas Diocesana di Fidenza.
Quale importanza ricoprono i fondi 8xmille per le opere di carità presenti nella nostra Diocesi?
I fondi 8xmille dedicati alla carità sono di vitale importanza per il mantenimento delle opere di sostegno alle persone più fragili. Garantiscono la prosecuzione dei servizi nel tempo. Senza questi fondi rischiamo di dover interrompere alcuni di questi importanti servizi.
Come vengono utilizzati i fondi dell’8xmille dalla Caritas diocesana per sostenere le attività di assistenza ai bisognosi?
Le risorse a disposizione danno modo di poter adempiere a tanti costi fissi che le strutture ed i servizi hanno: utenze, manutenzioni ordinarie, acquisto materie prime, aiuti economici alle persone. Inoltre anche il coordinamento dei volontari prevede la presenza di alcune figure, quali ad esempio degli operatori, che a loro volta comportano una spesa. E’ chiaro come la carità si alimenti grazie alla generosità delle persone attraverso donazioni e disponibilità in termini di volontariato, ma in ogni modo per avere una minima organizzazione sono necessarie risorse economiche.
(In foto: Un volontario insieme al direttore della Caritas Diocesana Stefano Baschieri)
Quali opere di carità sono state realizzate in Diocesi grazie ai fondi dell’8xmille?
Numerose sono le opere realizzate nel corso degli anni, tanti i servizi attivati: inizialmente è stato dato avvio al centro di ascolto, poi sono stati realizzati diversi progetti per l’accoglienza delle persone; in seguito è stata aperta la mensa, sono stati aperti alloggi per ospitare piccoli nuclei familiari. Grazie ad altre risorse è poi stato possibile riqualificare diversi locali e ambienti delle strutture: finanziate dall’8xmille per la carità, ma anche attraverso altri finanziamenti.
Quali sono le sfide principali nel gestire e impiegare i fondi dell’8xmille in modo efficace e responsabile?
Come Caritas ci impegniamo quotidianamente per non sprecare nulla di ciò che viene messo a disposizione. Tutte le materie prime che vengono acquistate (laddove non si possono ricevere in donazione) hanno un rigido protocollo volto a trovare i prezzi più bassi, preferendo fornitori locali che spesso offrono scontistiche in quanto condividono la mission del fare il bene per la propria comunità. Nella gestione degli immobili le persone vengono coinvolte ed educate per mantenere nelle migliori condizioni possibili gli ambienti e contenere le spese per le utenze. Al contempo ogni persona coinvolta nei progetti è chiamata a “restituire” quanto ricevuto mettendosi a disposizione degli altri ed offrendo un po’ del proprio tempo.
Quali sono i progetti in cantiere che potrebbero beneficiare dei fondi dell’8xmille?
E’ stato appena realizzato, e vedrà la sua seconda edizione, un progetto di tipo educativo a favore delle scuole e delle parrocchie: si tratta di un concorso che ha come titolo “Ospiti di questa terra”. Tantissimi bambini e ragazzi hanno potuto riflettere insieme ai loro insegnanti sull’attenzione e la cura del creato. A breve verranno implementate alcune strumentazioni all’interno della sede di “Casa Caritas” che permetteranno di mettere in maggiore sicurezza e rendere accessibili a tutti i locali dedicati all’accoglienza. Verrà potenziato il sistema di distribuzione degli alimenti attivo presso il centro di raccolta e distribuzione di via Papini n.2, con l’acquisto di generi alimentari a favore delle famiglie. Diversi anche i tirocini formativi attivi e che verranno attivati, grazie al quale diverse persone potranno rientrare nel mondo del lavoro.
Come può la nostra comunità contribuire ulteriormente per sostenere le attività della Caritas?
Oggi i luoghi maggiormente bisognosi sono il centro di ascolto e la mensa. Perciò se dovessi dire alle persone della comunità di cosa abbiamo bisogno, direi certamente dei volontari. In seconda battuta è necessario che ciascuno rivolga il proprio pensiero a coloro che, vicini a ad ognuno di noi, hanno bisogno di aiuto: questo può essere il sostegno più bello ed importante! Diffuso, silenzioso e costante nel tempo. Infine certamente aggiungerei una cosa molto semplice che possono fare tutti... firmare per l’8xmille alla Chiesa cattolica!
Martina Pacini
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Giovedì 30 maggio alle ore 20 presso la parrocchia di San Pietro Apostolo in Fidenza avrà luogo la celebrazione eucaristica presieduta dal vescovo Ovidio Vezzoli in occasione della solennità del Corpus Domini.
Al termine avrà inizio la processione che percorrerà via Frate Gherardo e piazza Duomo per concludersi in Cattedrale. Qui si terrà l’adorazione eucaristica accompagnata da canti e preghiere.
“Casa Caritas” è un progetto che nasce da lontano e ha visto nel corso degli anni numerose e importanti opere di riqualificazione dell’immobile divenuto oggi sede di tanti servizi a favore delle persone più bisognose del territorio. Con lungimiranza, già nel 2019 il Vescovo di Fidenza mons. Ovidio Vezzoli, espresse il desiderio che il palazzo del “Cenacolo” fosse gestito dalla Fondazione “Mons. Giberti Onlus (Caritas)” di Fidenza con la specifica finalità di farne un centro di attività a sostegno delle persone bisognose. La Fondazione, tenendo fede a quella richiesta, nel corso degli ultimi anni ha riqualificato diverse aree dell’immobile a partire da quella più urgente: la mensa Caritas. In seguito sono stati rimessi a nuovo altri locali, tra cui la sala dedicata all’insegnamento della lingua italiana agli stranieri.
Nell’ultimo anno tutti gli sforzi si sono concentrati sul restauro dell’area abitativa, dedicata all’accoglienza di 12/14 persone in difficoltà: i lavori, durati qualche mese, sono terminati con l’inizio del 2024 e l’inaugurazione dei locali è avvenuta il 23 marzo scorso con la benedizione del Vescovo alla presenza delle autorità, dei volontari e dei benefattori.
Ed è anche grazie al prezioso contributo dell’8xmille della Chiesa Cattolica che è stato possibile fare in modo che ciascuno possa sentirsi “a casa”.
Uno degli ospiti, Francesco, ha collaborato alla realizzazione delle opere di riqualificazione dando il proprio contributo nel tinteggio di alcune stanze: “E’ stata un’occasione per poter offrire il mio contributo, per dire grazie! Non scorderò mai quello che ha fatto la Caritas per me: mi ha teso una mano quando stavo per sprofondare, quando anche i miei familiari mi avevano ormai abbandonato”.
Diverse sono le storie incontrate in questi anni, simili a quella di Francesco: persone che hanno bisogno di trovare la motivazione per potersi rimettere in piedi e costruire qualcosa di buono.
“Casa Caritas” non è dunque solo un “luogo”, uno spazio dove trovare riparo, ma è incontro tra persone, culla di relazioni che fa nascere occasioni di scambio, dove ciascuno può essere valorizzato per ciò che è: solo così ognuno può ritrovare fiducia, amicizia, e forza necessarie per rimettere in moto vite spezzate.
Mario, che viveva solo, è stato accolto per tre settimane: ha ritrovato intorno a sè persone che lo hanno curato ed accompagnato a risolvere alcune delicate situazioni che poi gli hanno permesso di poter vivere in una casa popolare.
Mohamed, che ha vissuto per sei mesi in Caritas, sottolinea: “Di quel periodo ricordo la fatica nel trovare lavoro, soprattutto perchè non avevo un luogo fisso dove tornare: ogni giorno dovevo preoccuparmi di dove avrei dormito la notte seguente. Da quando invece mi è stato offerto un posto dove poter tornare la sera e vivere la mia quotidianità ho ritrovato la serenità e nel giro di poco tempo ho trovato un impiego e dopo qualche mese anche l’autonomia abitativa”.
Anche per i volontari si tratta di uno spazio di crescita personale e di arricchimento: i beneficiari non sono solo le persone che vengono accolte, ma tutti coloro che hanno la possibilità di abitare in questi luoghi. Antonella ricorda: “Con Fabrizio, quando era ospite qui, abbiamo costruito un bel rapporto; lo incontro spesso per le strade della città, siamo diventati amici e ogni volta ci fermiamo e scambiamo qualche parola per aggiornarci sulle nostre vite”.
Non sempre però si riesce ad arrivare ad “un lieto fine”: ciò è innegabile ed è corretto farlo presente. A volte non si verifica quell’alchimia necessaria affinchè si possa riuscire ad accompagnare le persone ad una condizione migliore di quella in cui si trovavano: i limiti di risorse e di volontà, talvolta alcune lacune non permettono di raggiungere l’obiettivo.
Quello di cui siamo certi è che occorre continuare a credere nelle persone, dare a tutti una possibilità di riscatto, affinchè ciascuno abbia l’opportunità di rimettersi in gioco, indipendentemente dal suo passato. Casa Caritas vuole allora essere un’occasione offerta a tutti, perchè l’incontro con le persone ci faccia crescere sul terreno dell’accoglienza perchè l’aiuto sia tangibile.
Martina Pacini
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Pasqua 2024
(Messaggio)
La croce gloriosa
Il quarto evangelo narra della morte di Gesù in croce con un linguaggio che ne sottolinea la signoria e l’esaltazione gloriosa. Per Giovanni il crocifisso non è uno sconfitto; con la sua morte Gesù ha vinto il mondo e lo ha fatto con un atto di totale libertà e obbedienza alla volontà unica del Padre. Con la sua morte di croce Gesù rivela ai suoi un amore “sino alla fine” che non conosce condizioni o limitazioni di sorta. Anche dalla croce Gesù manifesta senza equivoci un amore operoso. Sulla croce Gesù è il Signore che effonde lo Spirito, che costituisce l’inizio della sua Chiesa, che raduna attorno a sé i figli di Dio dispersi e li ricompone in quella unità invocata davanti al Padre (cfr. Gv 17,21). Dalla croce, Gesù effonde la vita per l’umanità tutta attraverso un atto libero di dono che è la sua morte.
Giovanni non intende riferirci solo la descrizione della fine miserevole e drammatica di Gesù, ma interpreta in profondità il senso della sua morte alla luce della Scrittura e della testimonianza fatta di gesti, di parole e di silenzi, che hanno caratterizzato la vita del rabbi di Nazareth in mezzo all’umanità. I gesti e le parole di Gesù incontrano quelli del Padre, fino a delineare i tratti di un’obbedienza perfetta alla sua volontà. La fecondità della sua esistenza consegnata nell’atto supremo della morte in croce si manifesta come sorgente di vita per tutti. È qui che la sua autodonazione raggiunge il vertice, compiendo così il progetto del Padre: la salvezza del mondo (cfr. Gv 3,16).
La scena della morte di Gesù sulla croce narrata dal quarto evangelo è racchiusa in una affermazione decisiva: «È compiuto» (Gv 19,30). Questa è l’ora nella quale Gesù compie le Scritture (cfr. Sal 22,16; 69,22), realizza la missione affidatagli dal Padre in un atteggiamento di umile e lucida obbedienza. Il compimento delle Scritture diviene, allo stesso tempo, pienezza rivelativa dell’opera salvifica del Figlio, che contempla anche la creazione di una nuova comunità di donne discepole presenti presso la croce (cfr. Gv 19,23-27). Egli muore manifestando, senza gridare dolorosamente come ricordano i sinottici, il trionfo dell’ora della gloria in cui il mondo è sottoposto al giudizio della verità. Gesù non è succube degli avvenimenti (cfr. Gv 6,61; 13,1.3; 18,4); al contrario, è lui ad imporre il movimento da vero Signore, proprio come colui che sta al centro dell’evento. Morendo, Gesù vince il mondo con un atto di libertà, che è il dono della sua vita. In questo atto della propria morte Gesù avanza una richiesta: «Ho sete». Come aveva domandato alla donna di Samaria (cfr. Gv 4,7: «Dammi da bere»), così ora, egli chiede l’accoglienza di un amore che l’odio non è riuscito a soffocare. Dopo aver preso l’aceto imbevuto in una spugna e accostatogli alla bocca mediante una verga d’issopo, Gesù esclama: «Compiuto», dichiarando così manifestata la gloria dell’Uomo in tutto uguale a Dio, che all’odio risponde con un atto di amore e il dono di sé. Con la morte di Gesù in croce il credente è posto di fronte all’opera creatrice che giunge al suo compimento inaugurando una nuova umanità. A suggello di quest’opera l’evangelista attrae l’attenzione del lettore sul capo reclinato di Gesù e sulla consegna dello Spirito. Si tratta di un ulteriore gesto che conferma tutta la parola e l’esistenza di Gesù di Nazareth; la sua è stata una vita all’insegna dell’obbedienza libera alla volontà del Padre fino alla morte di croce; è vera eloquenza di un amore senza condizioni e senza confini. L’atto stesso della morte di Gesù, sottolineato dal capo reclinato, è in funzione del dono dello Spirito effuso sulla Chiesa nascente. Infatti, la morte di Gesù non è senza scopo; non è il risultato di un progetto umano violento del quale Gesù diventa succube, nulla potendo contro la cattiveria degli uomini; al contrario, egli muore salvando ogni uomo impossibilitato a trovare salvezza da sé. L’umanità di Gesù, dono di una esistenza fino alla morte, è trasformata in sorgente di vita che effonde lo Spirito, mediante il quale a chiunque cerca la verità è dato di giungere alla pienezza della comunione con Dio.
Questo è un modo altro, per Giovanni, di affermare il mistero della risurrezione di Gesù il crocifisso, vera Pasqua dell’umanità. È lui il Signore con i segni della sua passione che emette il giudizio definitivo sul mondo riportato alla verità di Dio mediante il trionfo della sua misericordia. Colui che è stato trafitto ora diventa l’unica direzione verso la quale lo sguardo di tutti si volge, perché lo riconoscano come il Signore unico. Colui che era inaccessibile nella sua eternità ora diventa colui che Innalzato e Trafitto tutti guardano e dal quale tutti invocano misericordia e vita definitiva.
Questa parola promessa getta una luce nuova sulla morte umana del discepolo trasfigurata dalla morte di Gesù; in lui il discepolo partecipa di quella nuova nascita che lo inserisce nel mondo dell’eterna comunione con il Padre. Andando oltre il dramma del Golgota, il discepolo è chiamato a riflettere sul significato di quella morte di croce, ma anche della sua morte, affinché sia rivelazione di un amore che dona. Carlo Maria Martini, in una meditazione sulla passione del Signore annotava: «Dio amore, bontà, misericordia, si rivela proprio nel linguaggio della croce. La vera onnipotenza è quella capace di annullarsi per amore, di accettare la morte per amore (…). Se non arriviamo qui, a questa contemplazione del Signore che si lascia crocifiggere, la nostra conoscenza di Dio rimarrà sempre una conoscenza “per sentito dire”» (C.M. Martini, Non temiamo la storia, Centro Ambrosiano Documentazione-Piemme, Milano-Casale Monferrato 1992, pp. 83-85).
+Ovidio Vezzoli
vescovo
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