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Mercoledì delle Ceneri, inizio del cammino quaresimale verso la Pasqua

Qual è l’origine del Mercoledì delle Ceneri?

La storia della liturgia ci documenta che il Mercoledì delle Ceneri, quale giorno inaugurale del cammino quaresimale verso la Pasqua del Signore, entra nella prassi ecclesiale per tutti i fedeli solamente verso la fine del I millennio (IX secolo circa). Nella Chiesa antica è già attestato un rito che prevede la vestizione di un abito di penitenza e l’imposizione delle ceneri sul capo dei fedeli maschi (per le donne era contemplato un segno di croce sulla fronte con la cenere) quale segno penitenziale che caratterizza un percorso di conversione in vista della loro riconciliazione e riammissione alla comunione con la Chiesa il giorno del Giovedì santo. Le testimonianze di Cipriano vescovo di Cartagine e del presbitero Tertulliano (III secolo), per quanto riguarda la Chiesa del nord Africa, vanno in questa direzione. Gesù stesso, in continuità con la tradizione profetica dell’Antico Testamento, rimanda a questa prassi in Mt 11,21: “Se a Tiro e Sidone fossero stati compiuti i miracoli che sono stati fatti in mezzo a voi, già da tempo avrebbero fatto penitenza avvolte nel cilicio e nella cenere”. A partire dall’VIII-IX secolo nelle Gallie e dall’XI secolo a Roma è attestato il rito di imposizione delle ceneri sul capo di tutti i fedeli (e non solo dei penitenti) mediante una formula di benedizione propria, quale inizio del cammino quaresimale orientato verso la Pasqua del Signore. La prescrizione successiva di ottenere le ceneri dai rami di ulivo dell’anno precedente bruciati risale al XII secolo.

Qual è il carattere proprio dell’inizio del cammino quaresimale?

A questo proposito è bene ricordare quanto la Costituzione sulla Liturgia del Concilio Vaticano II (Sacrosanctum concilium 109) precisa in riferimento al carattere proprio della Quaresima: “Il duplice carattere della Quaresima che, soprattutto mediante il ricordo o la preparazione al Battesimo e mediante la penitenza dispone i fedeli alla celebrazione del mistero pasquale con l’ascolto più frequente della parola di Dio e la preghiera più intensa, sia posto in maggiore evidenza tanto nella liturgia, quanto nella catechesi liturgica”. Pertanto, memoria del battesimo e dimensione penitenziale caratterizzano l’inizio del cammino quaresimale, che nel Mercoledì delle Ceneri trovano una sintesi eloquente.

Qual è il significato del simbolo delle Ceneri?

Va precisato che le Ceneri sono un sacramentale ovvero un segno che rimanda ad una dimensione spirituale più profonda; esso trova nel cammino di conversione, fatto con fede e senza ipocrisia, la sua significazione più autentica. Il segno delle Ceneri è solo gesto che indica un percorso più ampio e che necessita di essere accompagnato da atteggiamenti di autenticità davanti a Dio: atto di affidamento alla sua misericordia, verità con se stessi, sguardo di speranza sulla propria vita, atteggiamenti di compassione e di prossimità nei confronti della storia umana in cui si abita, astensione dalla pretesa di giudizi sprezzanti su di sé e sugli altri, denuncia di ogni forma di idolatria e di seduzione che la mondanità produce, umile ricerca del senso della vita ricominciando da Dio.

Qual è il vero volto del digiuno?

Il vero volto del digiuno è precisato con sapienza nella Scrittura; è unito alla preghiera e all'elemosina costituendo uno degli atti essenziali che esprimono davanti a Dio l'umiltà, la speranza e l'amore del credente. Il digiuno, nella rivelazione, non è conquista ascetica che procura uno stato di esaltazione psicologica o religiosa, ma un atteggiamento esterno che esprime dipendenza e di umiltà per accogliere l'azione di Dio e mettersi alla sua presenza. La Scrittura, in particolare, offre tre modelli di esperienza di digiuno che precedono un incontro significativo con Dio. Essi tracciano un itinerario pedagogico nella fede e aiutano a cogliere da un lato, il senso profondo della provvisorietà e, dall'altro, la disponibilità più vera per una relazione che arricchisce la vita di una presenza. Mosè rimane quaranta giorni e quaranta notti sul Sinai senza mangiare pane e senza bere acqua, mentre alla scuola di YHWH scrive le parole dell'alleanza. Elia percorre un cammino di quaranta giorni e quaranta notti fino all'Horeb, digiunando, perché già saziato dal pane e dall'acqua con i quali Dio provvidente l'aveva nutrito; al termine discerne la sua presenza nel silenzio profondo e nella solitudine. Gesù stesso inaugura la sua missione di annuncio del regno di Dio con un atto di abbandono fiducioso al Padre, digiunando quaranta giorni nel deserto. È ancora Gesù a mettere in guardia, collocandosi in una linea di continuità con la tradizione profetica, da alcuni pericoli celati da una pratica distorta del digiuno: formalismo, orgoglio e ostentazione di sé per essere visti dagli uomini, distanza tra una prassi penitenziale e la quotidianità dell'esistenza. Per essere gradito a Dio, il digiunare del credente deve procedere in stretto parallelo con l'attenzione ai fratelli e con una ricerca della vera giustizia. Gesù, pertanto, invita a digiunare con una discrezione e una saggezza note solo a Dio che vede anche nel segreto. Solo questo atteggiamento aprirà il cuore del discepolo ad una esigenza di giustizia interiore che invoca costantemente: «O Dio, abbi pietà di me peccatore!» (Lc 18,13). Quale digiuno viene, allora, prospettato? Dalla Scrittura emergono alcune caratteristiche: il vero digiuno conduce a cogliere la dinamicità del provvisorio, è fatto in segreto e davanti a Dio, è unito alla preghiera e all'elemosina, è, infine, un digiunare per amore di Dio. Il digiunare è apertura a discernere il dono da condividere assumendo la connotazione di speranza e di lode. Il digiuno autentico è quello vissuto nell'attesa del ritorno dello sposo perché al suo arrivo si faccia festa. Il digiuno pone nella condizione di sobrietà e di vigilanza perché non ci si addormenti nella crapula, nel torpore dell'indifferenza e del nichilismo. In tal senso il digiuno diventa esperienza di comunione con Cristo, rifuggendo da ogni forma di neopelagianesimo, verso l'esodo pasquale in una dinamica di conversione. L'atteggiamento esterno del digiuno trova la sua valenza se colto in una prospettiva di apertura all'azione di Dio che si manifesta come Signore dell'esistenza.

Da che cosa astenersi?

Ritengo che, a questo proposito, sia necessario compiere un passo in avanti ovvero il superamento di un formalismo esteriore che limita la prassi del digiuno solo ad astenersi da alcuni alimenti. Nel contesto odierno, a mio parere, è necessario ribadire con Gesù che “non è ciò che entra nell’uomo a contaminarlo, ma ciò che esce dal suo cuore; questo sì contamina l’uomo” (cfr. Mc 7,14-15.20). Al contrario, è necessario lavorare per la giustizia, per la pace, per la salvaguardia del creato, per il rispetto della dignità di ogni persona, lottando contro ogni forma di complicità con il male; tutto ciò scaturisce dalle esigenze proprie dell’evangelo.

Digiuno, preghiera, carità fraterna

Il digiuno autentico, il cui significato abbiamo poco prima tracciato, è sempre unito alla preghiera e alla carità fraterna (elemosina), come del resto è indicato nel testo evangelico di Mt 6,1-6.16-18 e previsto per il Mercoledì delle Ceneri (senza disattendere gli altri testi biblici del giorno: Gl 2,12-18; Sal 50; 2Cor 5,20-6,2). Un cammino spirituale che trova nell'itinerario penitenziale una sua espressione tipica non può rinchiudersi in un particolarismo consolatorio, ma deve aprirsi al superamento della propria grettezza e della propria autosufficienza. Tale apertura si concretizza in un atteggiamento di dono e di amore che si esprime propriamente come comunione fraterna e condivisione. Ciò che nell'arroganza appare riduttivo di sé, nell'amore diventa apertura alla storia; ciò che è descritto come attaccamento di sé, si converte in una condivisione attraverso un movimento che conduce ad un cambiamento radicale: da peccatori a discepoli della compassione del Signore. La condizione dell'uomo, quando è caratterizzata da un confidare in sé stesso, si tramuta ben presto in isolamento che produce una chiusura tesa a difendere qualcosa che, in realtà, sarà perso in modo irreparabile. La prassi quaresimale, pertanto, si offre al credente come momento critico in cui viene svelata la tracotanza del peccatore e la necessità di uscire dalla propria paralisi. La conseguenza esistenziale, poi, si fa più attenta al frutto penitenziale del cammino ponendo attenzione all'atteggiamento di chi passa dalla autosufficienza al dono. Il digiuno, dunque, conduce i credenti, oltre ogni retorica, ad essere testimonianza di carità per un servizio ai fratelli.

Qual è il significato delle formule per l’imposizione delle Ceneri?

Rispetto al Missale Romanum (1570) scaturito dalla riforma liturgica del Concilio di Trento, il Messale Romano riformato da Papa Paolo VI dopo la benedizione delle Ceneri contempla due formule per la loro imposizione sul capo dei fedeli; ambedue le formule sono radicate nella Scrittura senza equivoci. La prima formula: “Convertitevi e credete nel Vangelo” (cfr. Mc 1,15; Mt 3,2; 8,10); la seconda: Ricordati, uomo, che polvere tu sei e in polvere ritornerai” (cfr. Gen 3,19; 18,27; Sal 103,14; Qo 3,20; Sap 11,22; Sir 33,10). L’atto di imporre sul capo dei fedeli un poco di cenere porta con sé il senso di una missione, un compito che viene affidato e che il fedele accoglie con umiltà e responsabilità. La significazione dell’atto stesso è precisata ulteriormente proprio dalle due formule bibliche ricordate e che il ministro pronuncia ad alta voce davanti al credente che accoglie l’austero simbolo delle Ceneri. Potremmo riassumere in questi tratti il senso profondo di tutto ciò. In primo luogo, si fa memoria ai credenti che la condizione di discepoli sempre in cammino li caratterizza in ogni istante della vita. Siamo sempre dei viatores, pellegrini di speranza che tengono fisso lo sguardo su Gesù, Evangelo di Dio, buona notizia per l’umanità, fondamento della fede dei credenti. In secondo luogo, è ribadito che il discepolo non è seguace di una ideologia o di una nuova morale che insegna l’arte del vivere nella complessità della storia odierna; al contrario il discepolo sta dietro al maestro unico che è Gesù, Parola eterna del Padre. Infine, la condizione che caratterizza l’umanità è il limite, la finitudine di tutto ciò che è terreno, la temporalità; tutto ciò, se da un lato fa memoria a noi della nostra fragilità che non possiamo rimuovere, dall’altro ciò potrebbe condurre ad assumere uno stato di rassegnazione passiva irreparabile e senza speranza. Al contrario, l’evocazione della condizione mortale se fatta davanti a Dio e confidando nella potenza dell’Evangelo, diventa profezia di risurrezione e di vita eterna alla quale ogni discepolo di Gesù il Cristo è chiamato. In tal senso i due richiami contenuti nelle formule costituiscono un esplicito rimando al mistero della Pasqua del Signore, verso la quale il credente cammina nella speranza.

Quale rapporto tra il Mercoledì delle Ceneri e il cammino quaresimale?

Sul versante storico liturgico al riguardo si può ritenere che la fissazione del giorno di mercoledì è legata al fatto di poter stabilire un periodo di quaranta giorni (con tutta la ricchezza simbolica che a questo numero viene attribuita nella Scrittura) che precedono la Pasqua del Signore. Più precisamente, si calcolano quaranta giorni effettivi dal mercoledì delle Ceneri al mercoledì della Settimana santa, escludendo le domeniche, per lasciar posto al Triduo pasquale che contempla il suo inizio nella celebrazione del Giovedì santo in Coena Domini.

+ Ovidio Vezzoli

Vescovo di Fidenza

“Nel crogiuolo della speranza”: lectio divina nel tempo di Quaresima

“Nel crogiuolo della speranza” è il titolo della lectio divina nel tempo di Quaresima (Anno C) presieduta dal Vescovo Ovidio.
Cinque gli appuntamenti che avranno luogo in Cattedrale a Fidenza a partire dalle ore 20.30.
Il primo, “Con Gesù nel deserto” (Lc 4,1-13) è fissato per il 6 marzo;
il secondo, “Ascoltatelo!” (Lc 9,28-36) il 13 marzo;
il terzo, “Cambiare vita!” (Lc 13,1-9) il 20 marzo;
il quarto, “Padre di misericordia” (Lc 15,1-3.11-32) il 27 marzo;
l’ultimo, “Neanch’io ti condanno” (Gv 8,1-11) il 3 aprile.

CEI: no a polarizzazioni o giochi al ribasso sul fine vita

Il 19 febbraio scorso presso la sede di Circonvallazione Aurelia 50, si è riunita la Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana.

Pubblichiamo di seguito la Nota sul fine vita approvata durante i lavori.

Esprimiamo preoccupazione per recenti iniziative regionali sul tema del fine vita. Da ultimo, l’approvazione nei giorni scorsi della legge sul suicidio medicalmente assistito da parte del Consiglio Regionale della Toscana. Ricordiamo che “primo compito della comunità civile e del sistema sanitario è assistere e curare, non anticipare la morte” (Conferenza Episcopale del Triveneto, 2023). Anche perché “procurare la morte, in forma diretta o tramite il suicidio medicalmente assistito, contrasta radicalmente con il valore della persona, con le finalità dello Stato e con la stessa professione medica” (Conferenza Episcopale dell’Emilia-Romagna, 2024). Invitiamo a non fare “di questo tema una questione di ‘schieramento’, ma un’occasione per una riflessione profonda sulle basi della propria concezione del progresso e della dignità della persona umana” (Conferenza Episcopale della Toscana, 2025), avviando “un ampio confronto parlamentare che rappresenti il Paese e le reali necessità dei suoi cittadini, scevro da logiche di parte e possibili strumentalizzazioni” (Conferenza Episcopale della Puglia, 2022). Auspichiamo, pertanto, che nell’attuale assetto giuridico-normativo si giunga, a livello nazionale, a interventi che tutelino nel miglior modo possibile la vita, favoriscano l’accompagnamento e la cura nella malattia, sostengano le famiglie nelle situazioni di sofferenza. Ribadiamo, peraltro, che la legge sulle cure palliative non ha trovato ancora completa attuazione: queste devono essere garantite a tutti, in modo efficace e uniforme in ogni Regione, perché rappresentano un modo concreto per alleviare la sofferenza e per assicurare dignità fino alla fine, oltre che un’espressione alta di amore per il prossimo. Sulla vita non ci possono essere polarizzazioni o giochi al ribasso. La dignità non finisce con la malattia o quando viene meno l’efficienza. Non si tratta di accanimento, ma di non smarrire l’umanità.

La Presidenza
della Conferenza Episcopale Italiana

Il 26 gennaio lettura continua del Libro di Qoèlet

La domenica della Parola di Dio è stata istituita da Papa Francesco con l’espressione “Aperuit illis” nel mese di gennaio di ogni anno perchè la Parola diventasse patrimonio della Chiesa universale.
Il Vescovo Ovidio Vezzoli già negli anni scorsi ha invitato il popolo di Dio a una lettura continua dei libri dell’Antico e del Nuovo Testamento. 
L’appuntamento di quest’anno vede al centro la lettura del Libro di Qoèlet che sarà proclamata nella Cattedrale di Fidenza domenica 26 gennaio con inizio alle ore 15.

Natale 2024: il messaggio del Vescovo Ovidio

Natale del Signore: abbassamento e condivisione dell’umano

 

La ricchezza della parola di Dio che la Chiesa consegna ai credenti in questo tempo di grazia, esorta con insistenza ad essere custodi del mistero, di quell’evento di grazia che ha mutato le sorti dell’umanità, ha cambiato il volto della storia e ha consegnato la speranza che non delude in Gesù il Cristo, Parola eterna di Dio, volto compassionevole del Misericordioso.

Anzitutto, il Natale è mistero di abbassamento. È il venire di Dio, nel suo Figlio Gesù Cristo, incontro all’umanità disorientata, incapace di trovare salvezza e speranza da se stessa, prigioniera delle proprie illusioni, impossibilitata a discernere una strada di vita. L’abbassamento di Dio in Gesù di Nazareth non è solo un atto di umiltà, di condiscendenza verso l’umano o di ciò che noi avremmo potuto ritenere conveniente che il Signore facesse a nostro favore. Al contrario, va ribadito che si tratta di un atto di libertà e per amore. Il Natale del Signore è l’evento che narra della libertà e dell’amore di Dio nei confronti dell’umanità. Questa libertà per amore si incontra perfettamente con l’obbedienza e la medesima compassione di Gesù di Nazareth, il Figlio amato, nel quale il Padre riconosce riflessa in pienezza la sua volontà unica. Questo progetto è ben espresso nel Prologo del quarto Evangelo quando si dichiara senza equivoci: «Vedere Dio nessuno ha mai potuto! Un Dio unico generato, colui che è proteso al cuore del Padre, lui seppe narrarne» (Gv 1,18). Conoscere il Dio cristiano non è il risultato di uno sforzo razionale, la conclusione di un sillogismo filosofico, il prodotto di un algoritmo tecnocratico, l’epilogo di una sottigliezza teologica; al contrario è dato agli umani di conoscere il Signore per grazia, ossia mediante il dono che Lui stesso fa mediante Gesù di Nazareth, il suo Figlio beneamato. Il Mistero del Natale del Signore si dispiega propriamente in questo movimento di abbassamento, di dono, di consegna per amore e nella libertà; ciò avviene nella comunione della Trinità santa senza attendersi alcuna riconoscenza umana, senza calcolo di convenienze, procedendo ben oltre il criterio di corrispondenza, ma solo per amore. Un tale progetto salvifico lo poteva concepire ed attuare solo Dio e non un uomo.

In secondo luogo, strettamente unito al cammino di abbassamento, il Natale del Signore racconta della sua condivisione in pienezza dell’umano. È sufficiente considerare quanto testimoniato dagli Evangeli per poter discernere la ricchezza e il significato ultimo di questa condivisione, non ideale, bensì profondamente umana e storica. Gesù di Nazareth, volto del Padre misericordioso e compassionevole, racconta di un Dio che condivide con una povera umanità l’inizio della sua missione di annuncio dell’evangelo, quando condivide con i poveri e gli umili della terra la sua nascita nel nascondimento e nel silenzio adorante di Maria la madre e di Giuseppe; quando nelle acque del Giordano vi discende insieme ad una umanità peccatrice che cerca perdono e riconciliazione: in quel contesto la voce del Padre lo proclama “suo Figlio amato nel quale è riflessa pienamente la sua volontà”. La condivisione dell’umano è espressa da Gesù quando sta a tavola con pubblicani e peccatori; quando racconta le parabole della misericordia; quando si china sulla infermità dei malati; quando scorge l’inutilità rassegnata della vita dei lebbrosi che implorano da lui la guarigione; quando dichiara solennemente il perdono a una donna che i presunti giusti avevano già deciso di lapidare a morte; quando moltiplica il pane per la folla stanca e affaticata che lo segue da giorni ascoltando la sua parola; quando rassicura della sua presenza i discepoli in una notte di tempesta nella quale la barca minaccia di affondare tra i flutti del lago di Tiberiade; quando rinfranca il cuore affaticato e desolato degli apostoli che non hanno saputo vegliare nella preghiera con lui nella notte del Getsemani; quando non ha una parola di condanna per i suoi che sono fuggiti davanti all’inganno dell’arresto, all’orrore della flagellazione, all’ingiuria del processo farsa e della dileggiante condanna a morte mediante la crocifissione; quando dall’alto della croce grida, da un lato, il suo dolore e il silenzio di Dio, racchiudendo in sé tutte le domande di una umanità ferita e disorientata a causa della propria debolezza e del proprio peccato, dall’altro, quando invoca il perdono del Padre per tutti; quando, risorto dai morti, consola le donne discepole, esorta la comunità apostolica ad essere testimone della sua parola e assicura il dono dello Spirito promesso, autentico protagonista della missione ecclesiale; quando, nondimeno, dichiara solennemente la sua presenza senza tempo, fedele accanto ai suoi fino alla fine del mondo. È necessario ribadire che il mistero del Natale non può essere disgiunto dall’evento della Pasqua del Signore. L’abbassamento e la condivisione dell’umano da parte di Dio in Gesù di Nazareth trovano nel mistero della sua morte, risurrezione e attesa della sua venuta finale nella gloria, il vero compimento della promessa.

L’Anno Giubilare ordinario 2025, che Papa Francesco aprirà in modo solenne nella notte del Natale del Signore, diventi esperienza di cammino e di ritorno al Signore, vera condivisione del dono di grazia e di riconciliazione che ci interpella e ci avvolge, accoglienza di una chiamata alla speranza che non delude.

+ Ovidio Vezzoli

vescovo

"Pellegrini nella speranza": il messaggio del vescovo Ovidio per l'Avvento

L’evento del Giubileo Ordinario 2025 è bene illustrato nelle sue motivazioni fondamentali da Papa Francesco nella Bolla di indizione (Spes non confundit) mediante il richiamo esplicito a Rm 5,5: «La speranza non delude». Questo rimando biblico viene ulteriormente declinato dal tema del pellegrinaggio indicato dallo slogan che accompagna l’esperienza dell’Anno giubilare: «Peregrinantes in spem». Al centro, dunque, di questo cammino di fede è posta la speranza che non delude. Oltre ogni equivoco non si tratta di porre attenzione ad una virtù teologale riproposta come tematica a partire dalla quale elaborare proposte pastorali o proporre cammini penitenziali affidati alla buona volontà e alla devozione religiosa dei credenti. Al contrario, la speranza ha un nome ben preciso: Gesù di Nazareth, il Figlio di Dio, Parola eterna fatta carne; la sua missione affidatagli dal Padre è quella di ricondurre l’umanità al Signore unico affinché impari nuovamente a riconoscere la sua presenza nella vita dell’altro, che condivide con noi i tratti di un cammino di vita spesso faticoso e messo alla prova, quanto alla sua dignità. Dunque, pellegrini nella speranza che non delude. Papa Francesco sintetizza con acutezza il desiderio profondo dell’umanità relativamente alla speranza:

«Tutti sperano. Nel cuore di ogni persona è racchiusa la speranza come desiderio e attesa del bene, pur non sapendo che cosa il domani porterà con sé. L’imprevedibilità del futuro, tuttavia, fa sorgere sentimenti a volte contrapposti: dalla fiducia al timore, dalla serenità allo sconforto, dalla certezza al dubbio. Incontriamo spesso persone sfiduciate, che guardano all’avvenire con scetticismo e pessimismo, come se nulla potesse offrire loro felicità. Possa il Giubileo essere per tutti occasione di rianimare la speranza. La Parola di Dio ci aiuta a trovarne le ragioni […]» (Papa Francesco, Spes non confundit, n. 1).

Come è possibile rianimare questa speranza nel cuore di ogni uomo e ogni donna? Come non cadere nella trappola mortale del nichilismo che tutto azzera in una uniformità che mortifica ogni anelito alla speranza? Al riguardo il profeta Zaccaria è testimone di una parola provocatoria la cui finalità è quella di risvegliare il cuore dei timorati di Dio perchè ripongano in lui la loro fiducia e non si lascino ingannare da illusorie promesse: «Gli strumenti divinatori dicono menzogne, gli indovini vedono il falso, raccontano sogni fallaci, danno vane consolazioni: per questo vanno vagando come pecore, sono oppressi, perché senza pastore» (Zc 10,2). Pertanto, come reagire con audacia evangelica ad un modo di pensare che vede davanti a sé solo catastrofi, finitudine miserevole dell’umanità, cattiveria, aggressività e dominio sugli altri perché ritenuti ostacolo alla espansione del proprio ego dominante? Papa Francesco indica la strada di chi lascia operare lo Spirito Santo nelle proprie vite ispirando le scelte del bene da attuare:

È infatti lo Spirito Santo, con la sua perenne presenza nel cammino della Chiesa, a irradiare nei credenti la luce della speranza: Egli la tiene accesa come una fiaccola che mai si spegne, per dare sostegno e vigore alla nostra vita. La speranza cristiana, in effetti, non illude e non delude, perché è fondata sulla certezza che niente e nessuno potrà mai separarci dall’amore divino» (Papa Francesco, Spes non confundit, n. 3).

Sta davanti a noi il tempo di grazia dell’Avvento del Signore. Le tematiche della speranza, della sobrietà, della vigile attesa del Signore che viene caratterizzano queste quattro settimane che dispongono all’incontro con la Parola fatta carne, Gesù il Signore di tutti, che viene a noi nella sua misericordia e nel suo giudizio. Il tempo di Avvento ci richiama la dimensione del cammino che si fa vigilanza in un momento della nostra storia in cui è difficile intravvedere una luce di speranza, si sperimenta una sempre più faticosa riconciliazione con se stessi e con gli altri; la tentazione di fronte a tutto ciò è quella di cadere nella rassegnazione e nella percezione della disfatta davanti a situazioni che ci superano grandemente nella loro complessità.

In questo frattempo, la grazia dell’Avvento del Signore ci esorta alla necessità, anzitutto, dell’ascolto che costituisce il criterio affinché l’evento stesso del Giubileo ordinario 2025 sia sottratto al carattere di eccezionalità spettacolare e folcloristica, ma sia posto nella condizione di esprimere ciò che caratterizza senza equivoci un cammino di ritorno al Signore e all’essenziale della vita cristiana. In secondo luogo, è ribadita fortemente l’urgenza di un discernimento evangelico del segno del tempo, senza deleghe; è necessario chiederci: che cosa domanda oggi il Signore a questa umanità? Quale parola di speranza che non delude possono ancora testimoniare i credenti agli uomini e alle donne del nostro tempo? La Chiesa è ancora luce che orienta il cammino di quanti cercano la verità, il senso di questa storia e il significato della propria esistenza in questo oggi? Maria, la Madre del Signore, vergine orante, donna dell’attesa e di speranza interceda per noi presso il Figlio e sostenga il nostro cammino orientato alla speranza che non delude.

+ Ovidio Vezzoli

vescovo di Fidenza

"Chi ha orecchio ascolti": la Lettera pastorale 2024-2025

La Lettera pastorale 2024-2025 dal titolo “Chi ha orecchio ascolti” (il riferimento è alla celebre frase “Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alla Chiesa” contenuta nel libro dell’Apocalisse) si compone di sette capitoli preceduti da un’introduzione e seguiti da alcune indicazioni che il Vescovo Ovidio sottopone all’attenzione delle parrocchie, delle associazioni, dei movimenti e di tutte le realtà ecclesiali presenti in Diocesi.

Le sette Chiese sono quelle dell’Asia Minore: “L’amore, evento costitutivo della Chiesa” riguarda la Chiesa di Efeso” (cap. 1); “Una comunità fedele nel tempo della prova” riguarda la Chiesa di Smirne (cap. 2); “La denuncia dell’idolatria” riguarda la Chiesa di Pergamo (cap. 3); “La critica alla seduzione mondanizzante” riguarda la Chiesa di Tiatira (cap. 4); “Sentire il segno del tempo nella speranza” riguarda la Chiesa di Sardi (cap. 5); “Una Chiesa fedele alla Parola” riguarda la Chiesa di Filadelfia (cap. 6); infine “Contro la tiepidezza” riguarda la Chiesa di Laodicea (cap. 7).

Nell’ultimo paragrafo (“Quasi una conclusione”) il Vescovo sottolinea che l’intento della Lettera “è esclusivamente quello di offrire un orientamento nel cammino pastorale che stiamo compiendo come comunità cristiana fidentina, che comincia a interrogarsi sui segni di questo tempo e su quanto lo Spirito le rivela. Tutto ciò avviene nella fedeltà alla parola dell’evangelo, in comunione con Papa Francesco e con la sollecitudine pastorale di continuare a edificare l’unico corpo vivente di Cristo che è la sua Chiesa”.

“Il Risveglio” va in ferie: ritornerà venerdì 6 settembre

Con il numero 29 il nostro settimanale diocesano sospende le pubblicazioni: ritornerà nelle case degli abbonati venerdì 6 settembre. Con l’occasione ricordiamo a coloro che non hanno ancora rinnovato l’abbonamento per il 2024 che possono farlo con il versamento di 40 euro attraverso il bollettino postale oppure tramite bonifico bancario. Tutte le indicazioni si trovano nella sezione "Abbonamenti" del sito web.

 

Gli uffici della Curia vescovile saranno chiusi dall’1 al 18 agosto: riapertura il 19 agosto.

8xmille, una firma che fa bene anche al nostro territorio. Intervista all’economo diocesano don Andrea Mazzola

I fondi dell’8xmille sono importanti per le opere di culto e pastorali nella nostra Diocesi. Senza questi fondi non sarebbero possibili i restauri a oggetti antichi, manifatture, dipinti ed edifici sacri, patrimonio artistico e culturale di grande valore storico, nonchè le attività pastorali e il sostentamento al clero diocesano. La firma per l’8xmille è un investimento a favore del territorio: questi fondi tornano alle Diocesi che li utilizzano per fare del bene alla comunità. Ne parliamo con l’economo diocesano don Andrea Mazzola.

Don Andrea, ci spieghi come i fondi 8xmille aiutano a sostenere l’attività pastorale della Diocesi
I fondi 8xmille sono importanti per il sostentamento del clero, quindi per provvedere ai bisogni di prima necessità di tutti i nostri sacerdoti, senza dimenticare la loro formazione durante l’anno pastorale. Inoltre servono per il mantenimento e la ristrutturazione di edifici sacri, oratori e ambienti parrocchiali dove ogni giorno tanti adulti, bambini e ragazzi si recano a pregare e a giocare. Con questi fondi la Diocesi ha potuto realizzare opere e interventi che si distinguono per qualità progettuale, per la loro capillare diffusione sul territorio, per la capacità di aggregazione e di socializzazione, per l’apporto che hanno dato all’occupazione e allo sviluppo, per la tutela che hanno garantito a parte del patrimonio storico-culturale e artistico.

E per quanto riguarda le attività caritative?

La Diocesi con questi fondi sostiene la mensa Caritas per i poveri, gli ambienti adibiti a prima ospitalità, il magazzino Caritas che raccoglie indumenti e mobili per quanti si trovano in una situazione di bisogno. Inoltre attraverso i centri di ascolto fornisce alle persone il supporto per uscire da gravi dipendenze e rimettere così in moto la propria vita. Dopo una adeguata e scrupolosa mappatura delle situazioni di bisogno presenti sul territorio (in collaborazione con gli enti locali) la Diocesi provvede anche al pagamento di parte di bollette e dell’affitto per le famiglie in difficoltà e le aiuta nella ricerca di un impiego stabile e duraturo nel tempo.

Quali difficoltà la nostra Diocesi potrebbe affrontare senza i fondi dell’8xmille?
Le richieste di aiuto che giungono e le necessità delle nostre chiese sono tante e vorremmo aiutare sempre più persone. Ma i fondi sono in sensibile calo e quindi il rischio concreto è dover ridimensionare questi servizi.

Quali sono i progetti futuri che la Diocesi ha in programma grazie ai fondi dell’8xmille?
Oltre a continuare le opere di carità è in programma il restauro di vari edifici di culto: in primo luogo quello dell’Oratorio della Zappella che è molto importante per il nostro territorio e ricco di una storia che getta le sue radici nel Medioevo. E’ un edificio modesto, ma sappiamo che la chiesetta venne trasformata in ospedale per pellegrini dai frati Penitenti (detti della Zappella, da cui prende appunto il nome). Poi passò ai Frati minori conventuali di San Francesco. Molti storici sono concordi nell’affermare che qui San Francesco d’Assisi, di ritorno dalla Spagna, abbia compiuto il miracolo della moltiplicazione dei pani nel 1215. Il prodigio viene narrato nelle Fonti Francescane e nelle Vite del Serafico d’Assisi. La chiesetta è stata anche quasi interamente distrutta durante il bombardamento del 13 maggio 1944.
Sono in corso inoltre i restauri alla Basilica di San Lorenzo in Monticelli d’Ongina, agli interni della Cattedrale di Fidenza, alla chiesa dei santi Gervasio e Protasio di Zibello, alla chiesa dei santi Vito e Modesto di Polesine, al santuario di Madonna Prati.

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(L'oratorio della Zappella)

Quali benefici hanno sperimentato in modo diretto i membri della nostra comunità grazie ai progetti e alle attività finanziate anche con questi fondi? Penso alla possibilità di tenere aperto il Museo diocesano, che raccoglie tante opere e si occupa anche del loro restauro, con la possibilità di visite guidate gratuite in varie occasioni. E poi c’è l’archivio diocesano che da poco ospita anche gli atti delle parrocchie più piccole e fornisce l’importante servizio di consultazione storica. E non da ultimo anche la possibilità di avere un mezzo di comunicazione come il nostro giornale diocesano che da 125 anni è voce viva del territorio.

Martina Pacini

 

Firma anche tu per l'8xmille alla Chiesa cattolica: è una firma che fa bene!

Sigillo WO 577x576

Come firmare?: https://www.8xmille.it/come-firmare/

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8xmille: i lavori di restauro della chiesa di San Pietro in Vincoli a Borghetto

I fondi dell’8xmille sono importanti anche per le opere di culto e pastorali nella nostra Diocesi. Senza questi fondi non sarebbero possibili i restauri a oggetti antichi, manifatture, dipinti ed edifici sacri, patrimonio artistico e culturale di grande valore storico. In questo articolo parleremo dei lavori di restauro, ancora in corso ma in dirittura d’arrivo, alla chiesa di San Pietro in Vincoli a Borghetto di Noceto insieme all’architetto Angela Desideri, direttore dei lavori, e al parroco don Francesco Villa.

Lo scorso aprile è stato aperto al pubblico il cantiere di restauro della chiesa di San Pietro in Vincoli a Borghetto di Noceto in occasione degli scavi archeologici da poco conclusi. La chiesa oggi è interessata da un secondo stralcio di lavori di restauro, consolidamento e adeguamento impiantistico realizzati con il contributo 8xmille della Cei e con i fondi della parrocchia. Gli interventi previsti riguardano lavori di restauro e consolidamento del campanile, rifacimento dell’impianto termico e illuminotecnico, rifacimento degli intonaci interni e tinteggi, realizzazione di vespaio, nuove pavimentazioni interne ed esterne e restauro di arredi lignei. Questi interventi sono autorizzati dalla Soprintendenza ed eseguiti sotto la sua sorveglianza.

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(In foto: gli architetti incaricati dei lavori con il parroco don Francesco Villa)

La visita dello scavo archeologico, fortemente voluta dal parroco don Francesco Villa, si è tenuta sotto la guida del direttore dei lavori Arch. Angela Desideri, dell’impresa esecutrice Cagozzi Giampaolo & C. SNC di Rivotti Maurizio e della ditta ARCHEO.KUN Srl. E’ stata un’occasione nata dalla necessità di condividere con la comunità un frammento di storia della chiesa di Borghetto fino ad ora mai visto.
In occasione dei lavori di restauro della Chiesa, infatti, è stata eseguita un’indagine archeologica diretta dalla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Parma e Piacenza e condotta dagli archeologi della ditta ARCHEO.KUN Srl, che ha permesso di riportare alla luce almeno due fasi più antiche di vita dell’edificio sacro. Sono stati asportati i piani pavimentali e messe in luce le strutture funerarie, distribuite sia all’interno che all’esterno della chiesa, testimonianze materiali dell’antico legame tra il sacro edificio e la comunità. I lavori sono iniziati a novembre del 2023 e si concluderanno questa estate.
La chiesa di San Pietro in Vincoli a Borghetto presenta una pianta ad aula, a navata unica, con cappelle laterali e abside allungata curvilinea. Il periodo di fondazione è incerto: una piccola cappella fu edificata in epoca medievale, probabilmente entro il XII sec. dai frati cistercensi. La conformazione attuale della chiesa risale al prolungamento della navata del XVIII sec. e all’estensione dell’abside nel XX sec. Il corpo della sagrestia, annesso alla chiesa, dalla cartografia raccolta, risulta databile al XIX sec.

“É ormai dal 2019 che la chiesa di Borghetto non è più utilizzabile per il culto. In quell’anno infatti sono state avviate le indagini per la ristrutturazione e per la messa in sicurezza della nostra chiesa parrocchiale” ha sottolineato il parroco don Francesco Villa.
“Da 5 anni non è più stato possibile celebrare alcuna funzione religiosa. Non si può nascondere che la chiusura della chiesa abbia creato notevoli disagi e sacrifici. La popolazione ha però risposto con autentica disponibilità e comprensione. Alcuni sacramenti sono stati celebrati nelle vicine frazioni di Pieve Cusignano e Santa Margherita, mentre le cresime nel periodo della pandemia sono state celebrate in Cattedrale. Grazie alla disponibilità del circolo di Borghetto abbiamo iniziato a celebrare la messa domenicale e le messe feriali nel salone polivalente”.

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(In foto: il vescovo Ovidio Vezzoli in visita al cantiere dei lavori)

I disagi si sono trasformati in occasioni per compiere passi di crescita oltre che di collaborazione e aiuto reciproco. “A Borghetto la comunità risulta essere davvero unita soprattutto nei momenti di difficoltà e di prova. Speriamo di poter presto tornare a celebrare nella nostra chiesa. Desidero esprimere un sentito ringraziamento al nostro Vescovo Ovidio per aver sempre seguito e accompagnato la nostra comunità e anche al mio predecessore don Luca Romani per aver sapientemente avviato i lavori di restauro. Un sincero grazie a tutti coloro che stanno lavorando con competenza e professionalità perché al più presto la nostra chiesa possa tornare ad essere luogo di incontro con il Signore e con i fratelli” ha concluso.

Martina Pacini

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