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Martina Pacini

Il messaggio di Papa Francesco per la 61ª Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni

Chiamati a seminare la speranza e a costruire la pace
 

Cari fratelli e sorelle!

La Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni ci invita, ogni anno, a considerare il dono prezioso della chiamata che il Signore rivolge a ciascuno di noi, suo popolo fedele in cammino, perché possiamo prendere parte al suo progetto d’amore e incarnare la bellezza del Vangelo nei diversi stati di vita. Ascoltare la chiamata divina, lungi dall’essere un dovere imposto dall’esterno, magari in nome di un’ideale religioso; è invece il modo più sicuro che abbiamo di alimentare il desiderio di felicità che ci portiamo dentro: la nostra vita si realizza e si compie quando scopriamo chi siamo, quali sono le nostre qualità, in quale campo possiamo metterle a frutto, quale strada possiamo percorrere per diventare segno e strumento di amore, di accoglienza, di bellezza e di pace, nei contesti in cui viviamo.
Così, questa Giornata è sempre una bella occasione per ricordare con gratitudine davanti al Signore l’impegno fedele, quotidiano e spesso nascosto di coloro che hanno abbracciato una chiamata che coinvolge tutta la loro vita. Penso alle mamme e ai papà che non guardano anzitutto a sé stessi e non seguono la corrente di uno stile superficiale, ma impostano la loro esistenza sulla cura delle relazioni, con amore e gratuità, aprendosi al dono della vita e ponendosi al servizio dei figli e della loro crescita. Penso a quanti svolgono con dedizione e spirito di collaborazione il proprio lavoro; a coloro che si impegnano, in diversi campi e modi, per costruire un mondo più giusto, un’economia più solidale, una politica più equa, una società più umana: a tutti gli uomini e le donne di buona volontà che si spendono per il bene comune. Penso alle persone consacrate, che offrono la propria esistenza al Signore nel silenzio della preghiera come nell’azione apostolica, talvolta in luoghi di frontiera e senza risparmiare energie, portando avanti con creatività il loro carisma e mettendolo a disposizione di coloro che incontrano. E penso a coloro che hanno accolto la chiamata al sacerdozio ordinato e si dedicano all’annuncio del Vangelo e spezzano la propria vita, insieme al Pane eucaristico, per i fratelli, seminando speranza e mostrando a tutti la bellezza del Regno di Dio.
Ai giovani, specialmente a quanti si sentono lontani o nutrono diffidenza verso la Chiesa, vorrei dire: lasciatevi affascinare da Gesù, rivolgetegli le vostre domande importanti, attraverso le pagine del Vangelo, lasciatevi inquietare dalla sua presenza che sempre ci mette beneficamente in crisi. Egli rispetta più di ogni altro la nostra libertà, non si impone ma si propone: lasciategli spazio e troverete la vostra felicità nel seguirlo e, se ve lo chiederà, nel donarvi completamente a Lui.

Un popolo in cammino
La polifonia dei carismi e delle vocazioni, che la Comunità cristiana riconosce e accompagna, ci aiuta a comprendere pienamente la nostra identità di cristiani: come popolo di Dio in cammino per le strade del mondo, animati dallo Spirito Santo e inseriti come pietre vive nel Corpo di Cristo, ciascuno di noi si scopre membro di una grande famiglia, figlio del Padre e fratello e sorella dei suoi simili. Non siamo isole chiuse in sé stesse, ma siamo parti del tutto. Perciò, la Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni porta impresso il timbro della sinodalità: molti sono i carismi e siamo chiamati ad ascoltarci reciprocamente e a camminare insieme per scoprirli e per discernere a che cosa lo Spirito ci chiama per il bene di tutti.
Nel presente momento storico, poi, il cammino comune ci conduce verso l’Anno Giubilare del 2025. Camminiamo come pellegrini di speranza verso l’Anno Santo, perché nella riscoperta della propria vocazione e mettendo in relazione i diversi doni dello Spirito, possiamo essere nel mondo portatori e testimoni del sogno di Gesù: formare una sola famiglia, unita nell’amore di Dio e stretta nel vincolo della carità, della condivisione e della fraternità.
Questa Giornata è dedicata, in particolare, alla preghiera per invocare dal Padre il dono di sante vocazioni per l’edificazione del suo Regno: «Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!» (Lc 10,2). E la preghiera – lo sappiamo – è fatta più di ascolto che di parole rivolte a Dio. Il Signore parla al nostro cuore e vuole trovarlo aperto, sincero e generoso. La sua Parola si è fatta carne in Gesù Cristo, il quale ci rivela e ci comunica tutta la volontà del Padre. In quest’anno 2024, dedicato proprio alla preghiera in preparazione al Giubileo, siamo chiamati a riscoprire il dono inestimabile di poter dialogare con il Signore, da cuore a cuore, diventando così pellegrini di speranza, perché «la preghiera è la prima forza della speranza. Tu preghi e la speranza cresce, va avanti. Io direi che la preghiera apre la porta alla speranza. La speranza c’è, ma con la mia preghiera apro la porta» (Catechesi, 20 maggio 2020).

Pellegrini di speranza e costruttori di pace
Ma cosa vuol dire essere pellegrini? Chi intraprende un pellegrinaggio cerca anzitutto di avere chiara la meta, e la porta sempre nel cuore e nella mente. Allo stesso tempo, però, per raggiungere quel traguardo, occorre concentrarsi sul passo presente, per affrontare il quale bisogna essere leggeri, spogliarsi dei pesi inutili, portare con sé l’essenziale e lottare ogni giorno perché la stanchezza, la paura, l’incertezza e le oscurità non blocchino il cammino intrapreso. Così, essere pellegrini significa ripartire ogni giorno, ricominciare sempre, ritrovare l’entusiasmo e la forza di percorrere le varie tappe del percorso che, nonostante le fatiche e le difficoltà, sempre aprono davanti a noi orizzonti nuovi e panorami sconosciuti.
Il senso del pellegrinaggio cristiano è proprio questo: siamo posti in cammino alla scoperta dell’amore di Dio e, nello stesso tempo, alla scoperta di noi stessi, attraverso un viaggio interiore ma sempre stimolato dalla molteplicità delle relazioni. Dunque, pellegrini perché chiamati: chiamati ad amare Dio e ad amarci gli uni gli altri. Così, il nostro camminare su questa terra non si risolve mai in un affaticarsi senza scopo o in un vagare senza meta; al contrario, ogni giorno, rispondendo alla nostra chiamata, cerchiamo di fare i passi possibili verso un mondo nuovo, dove si viva in pace, nella giustizia e nell’amore. Siamo pellegrini di speranza perché tendiamo verso un futuro migliore e ci impegniamo a costruirlo lungo il cammino.
Questo è, alla fine, lo scopo di ogni vocazione: diventare uomini e donne di speranza. Come singoli e come comunità, nella varietà dei carismi e dei ministeri, siamo tutti chiamati a “dare corpo e cuore” alla speranza del Vangelo in un mondo segnato da sfide epocali: l’avanzare minaccioso di una terza guerra mondiale a pezzi; le folle di migranti che fuggono dalla loro terra alla ricerca di un futuro migliore; il costante aumento dei poveri; il pericolo di compromettere in modo irreversibile la salute del nostro pianeta. E a tutto ciò si aggiungono le difficoltà che incontriamo quotidianamente e che, a volte, rischiano di gettarci nella rassegnazione o nel disfattismo.
In questo nostro tempo, allora, è decisivo per noi cristiani coltivare uno sguardo pieno di speranza, per poter lavorare con frutto, rispondendo alla vocazione che ci è stata affidata, al servizio del Regno di Dio, Regno di amore, di giustizia e di pace. Questa speranza – ci assicura San Paolo – «non delude» (Rm 5,5), perché si tratta della promessa che il Signore Gesù ci ha fatto di restare sempre con noi e di coinvolgerci nell’opera di redenzione che Egli vuole compiere nel cuore di ogni persona e nel “cuore” del creato. Tale speranza trova il suo centro propulsore nella Risurrezione di Cristo, che «contiene una forza di vita che ha penetrato il mondo. Dove sembra che tutto sia morto, da ogni parte tornano ad apparire i germogli della risurrezione. È una forza senza uguali. È vero che molte volte sembra che Dio non esista: vediamo ingiustizie, cattiverie, indifferenze e crudeltà che non diminuiscono. Però è altrettanto certo che nel mezzo dell’oscurità comincia sempre a sbocciare qualcosa di nuovo, che presto o tardi produce un frutto» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 276). Ancora l’apostolo Paolo afferma che «nella speranza» noi «siamo stati salvati» (Rm 8,24). La redenzione realizzata nella Pasqua dona la speranza, una speranza certa, affidabile, con la quale possiamo affrontare le sfide del presente.
Essere pellegrini di speranza e costruttori di pace, allora, significa fondare la propria esistenza sulla roccia della risurrezione di Cristo, sapendo che ogni nostro impegno, nella vocazione che abbiamo abbracciato e che portiamo avanti, non cade nel vuoto. Nonostante fallimenti e battute d’arresto, il bene che seminiamo cresce in modo silenzioso e niente può separarci dalla meta ultima: l’incontro con Cristo e la gioia di vivere nella fraternità tra di noi per l’eternità. Questa chiamata finale dobbiamo anticiparla ogni giorno: la relazione d’amore con Dio e con i fratelli e le sorelle inizia fin d’ora a realizzare il sogno di Dio, il sogno dell’unità, della pace e della fraternità. Nessuno si senta escluso da questa chiamata! Ciascuno di noi, nel suo piccolo, nel suo stato di vita può essere, con l’aiuto dello Spirito Santo, seminatore di speranza e di pace.

Il coraggio di mettersi in gioco
Per tutto questo dico, ancora una volta, come durante la Giornata Mondiale della Gioventù a Lisbona: “Rise up! – Alzatevi!”. Svegliamoci dal sonno, usciamo dall’indifferenza, apriamo le sbarre della prigione in cui a volte ci siamo rinchiusi, perché ciascuno di noi possa scoprire la propria vocazione nella Chiesa e nel mondo e diventare pellegrino di speranza e artefice di pace! Appassioniamoci alla vita e impegniamoci nella cura amorevole di coloro che ci stanno accanto e dell’ambiente che abitiamo. Ve lo ripeto: abbiate il coraggio di mettervi in gioco! Don Oreste Benzi, un infaticabile apostolo della carità, sempre dalla parte degli ultimi e degli indifesi, ripeteva che nessuno è così povero da non aver qualcosa da dare, e nessuno è così ricco da non aver bisogno di ricevere qualcosa.
Alziamoci, dunque, e mettiamoci in cammino come pellegrini di speranza, perché, come Maria fece con Santa Elisabetta, anche noi possiamo portare annunci di gioia, generare vita nuova ed essere artigiani di fraternità e di pace.

Papa Francesco

A Cogolonchio il 25 aprile s. Messa con il Vescovo Ovidio

Giovedì 25 aprile alle ore 17 il Vescovo Ovidio presiederà la s. Messa nella chiesa di Cogolonchio in occasione della festività patronale di San Giorgio, patrono della comunità.

Tra gli interventi realizzati si ricorda la posa di tiranti in ferro per migliorare il comportamento statico dell’edificio e il restauro della cappella dedicata a Maria Addolorata.

La chiesetta da tempo mostrava segni evidenti di instabilità; si è reso quindi necessario un intervento di restauro grazie al prezioso contributo dei fondi dell’8xmille che la Cei ogni anno destina alle Diocesi e grazie al contributo di generosi benefattori e parrocchiani.

La presentazione dei lavori effettuati ha avuto luogo il 30 aprile 2022 alla presenza del Vescovo Ovidio, del parroco don Marek Jaszczak e di numerosi parrocchiani che per la prima volta dopo 40 anni hanno potuto sentir suonare a festa le campane della chiesetta.

L'Azione Cattolica diocesana si prepara all'incontro con Papa Francesco

Sono circa una quindicina le persone della nostra diocesi che il prossimo 25 aprile si recheranno a Roma per l’incontro con Papa Francesco in piazza San Pietro dal titolo “A braccia aperte”.
L’iniziativa promossa dall’Azione Cattolica Italiana e aperta a tutti, sia aderenti che non, sarà una festa di popolo, di volti e storie che hanno ancora molto da dire al Paese e alla Chiesa. Il gruppo fidentino viaggerà alla volta della capitale in pullman la notte tra il 24 e il 25 aprile insieme ai partecipanti della diocesi di Piacenza.
La mattinata inizierà alle 8.15 circa con un momento di preghiera e animazione, culminerà con l’incontro con il Papa intorno alle 9.30 e proseguirà poi con musica e le testimonianze di Stefano Picchi, Neri Marcorè, Giovanni Caccamo accompagnati dalla banda Rulli Frulli. Il tutto sarà presentato da Antonella Ventre e Massimiliano Ossini. Il rientro è previsto nella tarda serata del 25.
L’incontro con il Papa segnerà anche l’avvio dei lavori della XVIII Assemblea nazionale di Azione Cattolica intitolata “Testimoni di tutte le cose da Lui compiute” che si terrà a Sacrofano dal 25 al 28 aprile e alla quale prenderanno parte anche quattro delegati dell’Azione Cattolica diocesana.

Venerdì 19 aprile presso la sede storica dell’Azione cattolica italiana (a Roma, in via della Conciliazione 1), si terrà la conferenza stampa di presentazione dell'evento. Oltre 50.000 soci e amici dell’Azione cattolica italiana provenienti da tutte le diocesi d’Italia incontreranno il Santo Padre per ascoltare la sua parola e fare festa insieme a lui. “A braccia aperte – spiegano infatti gli organizzatori – è il titolo dell’incontro con Papa Francesco, ma anche il modo in cui l’Ac aspetterà in piazza San Pietro tutti coloro che vorranno raggiungerci per fare un’esperienza viva di Chiesa sinodale, in un giorno caro all’Ac e a tutti gli italiani. È, soprattutto, il modo dell’Azione cattolica italiana di vivere il suo impegno per l’oggi e per costruire il mondo di domani, avendo a cuore la pace e la cura della casa comune”.

Alla conferenza stampa partecipano Giuseppe Notarstefano, presidente nazionale dell’Azione cattolica italiana, e mons. Claudio Giuliodori, assistente ecclesiastico generale dell’associazione.

Al Magnani incontro con Simona Atzori

“Oggi, per noi della classe 5B della scuola primaria De Amicis, in questo teatro meraviglioso pieno di bambini, si realizza un sogno!”. Sono state le parole iniziali dell’incontro/testimonianza con Simona Atzori: ballerina, pittrice e scrittrice, nata senza braccia, ma con uno spirito forte come una leonessa.
L’evento, che ha avuto luogo nel teatro Magnani di Fidenza, era inserito nel cartellone del Francigena Fidenza Festival e ha visto la Atzori incontrare gli alunni e le alunne delle classi quarta e quinta della scuola primaria e secondaria di primo grado.
E’ stato un incontro denso di emozioni profonde: Simona ha comunicato con i bambini in maniera spontanea e diretta riuscendo a coinvolgerli in un dialogo costruttivo.
Con il sorriso bellissimo che la contraddistingue, Simona ha spiegato che “Il limite sta negli occhi di chi ci guarda, perché noi siamo belli in quanto diversi e ognuno è unico. Io non sono le braccia che mi mancano, ma sono solo Simona!”. Così si è arrivati al momento magico quando, afferrando il pennello tra le dita dei suoi piedi (che lei chiama “le sue mani in basso”), ha iniziato a dipingere realizzando un disegno che poi ha donato ai ragazzi.
Questo incontro con Simona Atzori è la dimostrazione che i sogni, quando si perseguono con determinazione e con tutto il cuore, alla fine si realizzano. E’ stato possibile nella vita di Simona, che fin da piccola sognava di diventare ballerina e pittrice, ed è stato possibile per i ragazzi della 5°B che hanno sognato di poter incontrare Simona a scuola e invece l’hanno abbracciata in un teatro gremito di spettatori.
Questo evento, realizzato al termine del ciclo di scuola primaria, sarà sicuramente per i bambini un ricordo prezioso da custodire e al quale riandare con la mente sempre, soprattutto nei momenti difficili quando si pensa di non farcela. E ripensando a questa giornata si ricorderanno che, come ha fatto Simona, anche loro possono sempre sognare in grande.

 

Foto di Massimo Di Soccio

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