«È tempo di cercare il Signore» (Os 10,12)
- Scritto da Martina Pacini
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Pubblichiamo di seguito il messaggio che il Vescovo Ovidio ha scritto per la comunità della Diocesi fidentina in occasione del periodo di riposo estivo.
«È tempo di cercare il Signore» (Os 10,12)
Alcuni giorni fa la Chiesa, nella liturgia della Parola, proponeva ai credenti l’ascolto di alcune pagine fondamentali tratte dal libro di Osea. Il suo ministero profetico si svolge nel regno del nord (Israele) nel corso dell’VIII secolo a.C. in un tempo difficile segnato da contrasti sociali, economici, politici e, nondimeno, dalla minaccia sempre incombente della potenza militare assira che, con il suo condottiero Tiglat Pileser III (727 a.C.), intende espandere il possedimento dei suoi territori e la sua influenza al di fuori dei suoi confini. Purtroppo, molti benpensanti e stolti in Israele, invece di svolgere il ministero di guide responsabili della comunità sono maggiormente preoccupati di accumulare ricchezze e di trarre profitto, comunque, da una situazione che volge al drammatico per molti, ingrossando in tal modo, sempre di più, le file dei miseri che bramano solo un pezzo di pane per sopravvivere.
È in tale contesto che si erge chiara e senza equivoci la voce profetica di Osea. Anzitutto, il profeta denuncia una situazione di ipocrisia e di ingiustizia che alberga tra le guide della comunità; la popolazione stessa non vuole ammettere il tempo difficile che si sta vivendo. I capi del popolo ricercano false alleanze politiche, ma solo in vista di vedere salvaguardati i propri interessi personali. Quanti dovrebbero tenere alta la speranza e spronare a ricominciare con fiducia si defilano dalle loro responsabilità abbandonando i più poveri e indifesi a una condizione miserevole e desolante.
In secondo luogo, Osea tratteggia i lineamenti di una popolazione affranta, delusa e che cerca consolazione nei culti stranieri, nella magia, nella superstizione abbandonando, in tal modo, il Signore per confidare in divinità che non sono in grado di salvare né di intervenire per il bene, in quanto sono idoli manufatti dalla frustrazione religiosa.
In terzo luogo, il profeta descrive la situazione della comunità di Israele come quella di chi è preso da astenìa, da una debolezza mortale che impedisce qualsiasi possibilità di ripresa e di speranza nel domani. La denuncia di Osea è eloquente: «Il mio popolo è duro a convertirsi: chiamato a guardare in alto nessuno sa sollevare lo sguardo» (Os 11,7). Questa è l’immagine più eloquente dello sconforto, della rinuncia a qualsiasi risposta rispetto alla situazione contingente. È la descrizione realistica di uno stato di abbandono della propria dignità umana; è la rassegnazione propria della delega a qualsiasi fatica del pensare. In sostanza, il profeta descrive la condizione di chi rinuncia a sperare e, dunque, a vivere. La comunità di Israele preferisce commiserarsi fissando con insistenza lo sguardo sulle proprie difficoltà, le proprie paure lasciandosi paralizzare dall’angoscia e dalla disfatta dichiarata ormai irreparabile. Si tratta di un popolo che non sa più guardare verso il cielo, verso Dio per invocarlo con umiltà e fiducia, perché la salvezza viene dal Signore e non dalle potenze degli eserciti accecati dalla bramosia del potere.
Attestata questa situazione, caratterizzata da un’aria irrespirabile perché ammorbata di rassegnazione e di morte, Osea non desiste dall’alzare la voce e richiamare a ciò che è essenziale: «È tempo di cercare il Signore finché egli venga e diffonda su di voi la giustizia» (Os 10,12). L’appello del profeta lascia trasparire tutta l’urgenza necessaria per ricominciare; ma questo è possibile, non partendo da alleanze umane effimere e deludenti, ma dal ritornare a cercare il Signore.
«È tempo di cercare il Signore». Questo ammonimento è anche per noi oggi. Si leggono sui volti delle persone che incontriamo i tratti della paura, della fatica, dello smarrimento, della delusione e, spesso, dell’angoscia che paralizza impedendo di ricominciare a sperare. L’occhio e la mente sono come avvolti dall’oscurità dell’angoscia, non si riesce più a vedere il bene che opera ancora e in modo significativo; il pensiero stesso è come anchilosato, incapace di discernere con intelligenza quanto accade, interrogandosi sul significato di tutto ciò e su quale responsabilità richiede senza delegare ad altri ciò che compete a ciascuno di noi.
«È tempo di cercare il Signore», ammonisce ancora oggi il profeta risvegliandoci dal torpore, dall’apatia e dall’indifferenza che sono il segno di una grave immaturità umana unita alla stoltezza. Serve a ben poco abbandonarsi a lamentevoli giudizi, che lasciano sempre le cose nella impossibilità di cambiare. Non serve a nulla abbandonarsi al determinismo, alla casualità e aspettare illudendosi che i tempi cambino e che le situazioni si risolvano per conto loro. È necessario, al contrario, che ciascuno riprenda la responsabilità che gli compete come uomo e come donna, come cittadino, come credente, affinché le scelte e, nondimeno, la fatica del pensare di ciascuno concorrano al bene comune, alla edificazione reciproca, alla concordia, al rispetto della dignità di tutti e alla pace.
«È tempo di cercare il Signore» e di imparare a guardare in alto verso di lui, non per fuggire o per rimuovere la complessità della storia contemporanea, ma per imparare a guardare alla nostra vita e all’umanità come la guarda il Signore, nello stile della Lettera enciclica di Papa Francesco «Fratelli tutti», con occhi di compassione e di misericordia, senza disattendere l’opera per la giustizia che scaturisce dall’evangelo.
«È tempo di cercare il Signore». Il tempo dell’estate possa diventare tempo di riposo e di ritrovate relazioni fraterne, tempo di riflessione e di grazia in cui torniamo a cercare il Signore, l’essenziale delle nostre povere vite. «È tempo di cercare il Signore», anche se è lui stesso che si fa trovare sul nostro cammino, rinvigorisce la nostra speranza e ci chiama a ricominciare nel suo nome.
+ Ovidio Vezzoli