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Martina Pacini

“Ero carcerato e mi avete visitato”: testimonianza di don Fabio Fassati

L’Azione Cattolica diocesana promuove per martedì 15 novembre alle ore 21 presso il salone della parrocchia di San Giuseppe Lavoratore in Fidenza un incontro sul tema “Ero carcerato e mi avete visitato: oltre le sbarre tra perdono e giustizia” con la testimonianza di don Fabio Fossati, cappellano del carcere di Bollate.

Emergenza energetica: appello COMECE alla solidarietà in vista dell'inverno

Dichiarazione del Segretariato della Commissione delle Conferenze Episcopali dell'Unione Europea (COMECE)

Emergenza energetica:
Appello COMECE alla solidarietà in vista dell'inverno

 

I Vescovi della COMECE hanno espresso la loro "profonda tristezza per le orribili sofferenze umane inflitte ai nostri fratelli e sorelle in Ucraina dalla brutale aggressione militare voluta dalle autorità russe". Nella loro Assemblea plenaria d'autunno del 2022, i vescovi UE hanno ribadito un accorato appello "agli aggressori, affinché sospendano immediatamente le ostilità, e a tutte le parti affinché si aprano al negoziato su 'proposte serie' per una pace giusta, adoperandosi a favore di una soluzione del conflitto che rispetti il diritto internazionale e l'integrità territoriale dell'Ucraina"i.

La guerra della Russia contro l'Ucraina sta causando gravi conseguenze sulla popolazione dell'UE e non solo. L'eccessiva dipendenza dalle importazioni di petrolio e gas da un unico fornitore ha permesso alla Russia di utilizzare le proprie forniture energetiche come un’arma. Ciò ha rafforzando l'insicurezza energetica in tutta Europa. Di conseguenza, l'impennata dei prezzi dell'energia si ripercuote sulla società nel suo complesso, colpendo in particolare i più vulnerabili.

In questo contesto, accogliamo con favore il costante impegno dei responsabili politici europei e nazionali nel presentare iniziative volte a garantire l'accessibilità all’energia, sicura e sostenibile, e a mitigare l'impatto dell’incremento dei costi dell'elettricità sugli individui, sulle famiglie e sulle imprese. Riconosciamo che la situazione attuale è complessa e rende necessarie considerazioni equilibrate che tengano conto degli aspetti sociali, economici, ecologici e geopolitici nell'ottica di un approccio eticamente responsabile. Nonostante la pressante emergenza, non dobbiamo perdere di vista gli obiettivi di lungo termine di una transizione energetica giusta e sostenibile. Sebbene trovare un equilibrio corretto tra queste considerazioni sia compito della politica, desideriamo offrire ai relativi decisori alcuni principi di orientamento dalla prospettiva della Chiesa cattolica:

➢ Destinazione universale dei beni: Il diritto naturale all'uso comune di tutti i beni del Creato a beneficio delle generazioni, attuali e future, è il "primo principio di tutto l'ordinamento etico-sociale"ii. Rispettando il diritto alla proprietà privata e la sua funzione sociale per il bene comune, lo Stato deve garantire una fornitura di energia sicura e sufficiente per tutti. In particolare, "lo Stato è tenuto a fornire quadri normativi o

sostenere gli attori del settore pubblico, in modo da garantire il mantenimento della funzione della fornitura di energia come bene comune"iii. Inoltre, è necessario migliorare la responsabilità pubblica del settore energetico attraverso un'equa distribuzione delle risorse energetiche, evitando la monopolizzazione da parte di uno Stato, di un gruppo d’interesse o di un'impresa, a scapito delle popolazioni e dei Paesi poveri che spesso pagano il prezzo di una cattiva gestione politica e della speculazione.iv

➢ L'opzione preferenziale per i poveri non è solo una priorità nella vita di carità di ogni cristiano, ma anche una responsabilità socialev: "Quando doniamo ai poveri le cose indispensabili, non facciamo loro delle elargizioni personali, ma rendiamo loro ciò che è loro"vi. Considerando l'attuale crisi energetica e il suo impatto sulla vita, sulla salute e sulla dignità umana, l'energia dovrebbe essere gestita in modo equo ed avere un costo accessibile per tutti. "Non è accettabile alcuna politica energetica che non si occupi adeguatamente dei bisogni primari".vii

➢ Giustizia e pace: Una giustizia che consenta uno sviluppo umano integrale è requisito indispensabile per la pace. Una corretta gestione dell'energia diventa quindi un fattore chiave sia per la giustizia che per la pace. L'uso improprio dell'energia come strumento di coercizione geopolitica, a cui stiamo assistendo, dovrebbe spingere la comunità internazionale a trovare mezzi istituzionali per una “ridistribuzione planetaria delle risorse energetiche efficace, inclusiva ed equa” viii, poiché "la pace reale e duratura è possibile solo a partire da un’etica globale di solidarietà e cooperazione"ix.

Oggi, con l'avvicinarsi dell'inverno in Europa, chiediamo a tutti coloro che hanno responsabilità nella vita pubblica di non abbandonare le famiglie e le persone vulnerabili o vittime di discriminazioni socio-economiche, incapaci di far fronte all'aumento dell'inflazione e di pagare il riscaldamento o l'elettricità. Tale situazione rafforza le disuguaglianze sociali e il divario energetico. Le strutture che forniscono assistenza sanitaria e altri servizi essenziali stanno affrontando sfide difficili. Molte persone erano già state gravemente colpite dalla pandemia del COVID-19. La crisi energetica è un ulteriore fardello dal punto di vista economico e mentale. Mentre molte aziende stanno fallendo, altre stanno licenziando i propri lavoratori e molti non sono più in grado di far fronte all'aumento del costo della vita.

Anche il settore agroalimentare sta soffrendo terribilmente per l'aumento dei prezzi dell'energia e la scarsità di fertilizzanti. Non possiamo rischiare un'interruzione degli approvvigionamenti alimentari e dobbiamo garantire la continuità dei cicli produttivi e la nostra capacità di fornire alimenti di base per tutti a prezzi accessibilix. La nostra solidarietà è necessaria nei confronti delle nazioni più povere del mondo che soffrono di un aumento dei livelli di insicurezza alimentare e di povertà estrema, a causa degli alti prezzi delle materie prime dovuti agli effetti a catena della guerra in Ucrainaxi.

In questo contesto, facciamo appello alla solidarietà collettiva. Siamo reciprocamente connessi e dipendiamo gli uni dagli altri, non solo come singoli

individui e come famiglie, ma anche come società e come comunità internazionale. Ognuno di noi è chiamato a contribuire all'espressione concreta di questa solidarietà.

Rivolgiamo un appello ai decisori politici di livello europeo, in particolare, al fine di:

➢ Garantire un'energia accessibile e a prezzi ragionevoli alle persone più colpite attraverso misure temporanee di mitigazione e un'equa distribuzione delle risorse.

➢ Dare priorità all'efficienza energetica e identificare gli obiettivi per i quali è possibile una riduzione responsabile del consumo energetico. Occorre incoraggiare la ricerca di forme alternative di energia, mentre il consumo energetico domestico può e deve essere ridotto.xii L'obiettivo a lungo termine di sostituire i combustibili fossili deve essere perseguito, ma "in attesa di un ampio sviluppo delle energie rinnovabili, che dovrebbe già essere cominciato, è legittimo optare per l'alternativa meno dannosa o ricorrere a soluzioni transitorie".xiii

➢ In concomitanza al rafforzamento della resilienza energetica dell'UE, perseguire partenariati energetici bilaterali e multilaterali responsabili e basati sui valori e gettare le basi di un nuovo sistema energetico globale governato dai principi di giustizia, solidarietà, partecipazione inclusiva e sviluppo sostenibile.

 

Photo SIR/Marco Calvarese

Gesù Cristo si è fatto povero per voi. Il Messaggio di Papa Francesco per la VI Giornata Mondiale dei Poveri

VI GIORNATA MONDIALE DEI POVERI

Domenica XXXIII del Tempo Ordinario
13 novembre 2022

Gesù Cristo si è fatto povero per voi (cfr 2 Cor 8,9)
 

1. «Gesù Cristo […] si è fatto povero per voi» (cfr 2 Cor 8,9). Con queste parole l’apostolo Paolo si rivolge ai primi cristiani di Corinto, per dare fondamento al loro impegno di solidarietà con i fratelli bisognosi. La Giornata Mondiale dei Poveri torna anche quest’anno come sana provocazione per aiutarci a riflettere sul nostro stile di vita e sulle tante povertà del momento presente.

Qualche mese fa, il mondo stava uscendo dalla tempesta della pandemia, mostrando segni di recupero economico che avrebbe restituito sollievo a milioni di persone impoverite dalla perdita del lavoro. Si apriva uno squarcio di sereno che, senza far dimenticare il dolore per la perdita dei propri cari, prometteva di poter tornare finalmente alle relazioni interpersonali dirette, a incontrarsi di nuovo senza più vincoli o restrizioni. Ed ecco che una nuova sciagura si è affacciata all’orizzonte, destinata ad imporre al mondo un scenario diverso.

La guerra in Ucraina è venuta ad aggiungersi alle guerre regionali che in questi anni stanno mietendo morte e distruzione. Ma qui il quadro si presenta più complesso per il diretto intervento di una “superpotenza”, che intende imporre la sua volontà contro il principio dell’autodeterminazione dei popoli. Si ripetono scene di tragica memoria e ancora una volta i ricatti reciproci di alcuni potenti coprono la voce dell’umanità che invoca la pace.

2. Quanti poveri genera l’insensatezza della guerra! Dovunque si volga lo sguardo, si constata come la violenza colpisca le persone indifese e più deboli. Deportazione di migliaia di persone, soprattutto bambini e bambine, per sradicarle e imporre loro un’altra identità. Ritornano attuali le parole del Salmista di fronte alla distruzione di Gerusalemme e all’esilio dei giovani ebrei: «Lungo i fiumi di Babilonia / là sedevamo e piangevamo / ricordandoci di Sion. / Ai salici di quella terra / appendemmo le nostre cetre, / perché là ci chiedevano parole di canto, / coloro che ci avevano deportato, / allegre canzoni i nostri oppressori. / […] Come cantare i canti del Signore / in terra straniera?» (Sal 137,1-4).

Sono milioni le donne, i bambini, gli anziani costretti a sfidare il pericolo delle bombe pur di mettersi in salvo cercando rifugio come profughi nei Paesi confinanti. Quanti poi rimangono nelle zone di conflitto, ogni giorno convivono con la paura e la mancanza di cibo, acqua, cure mediche e soprattutto degli affetti. In questi frangenti la ragione si oscura e chi ne subisce le conseguenze sono tante persone comuni, che vengono ad aggiungersi al già elevato numero di indigenti. Come dare una risposta adeguata che porti sollievo e pace a tanta gente, lasciata in balia dell’incertezza e della precarietà?

3. In questo contesto così contraddittorio viene a porsi la VI Giornata Mondiale dei Poveri, con l’invito – ripreso dall’apostolo Paolo – a tenere lo sguardo fisso su Gesù, il quale «da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà» (2 Cor 8,9). Nella sua visita a Gerusalemme, Paolo aveva incontrato Pietro, Giacomo e Giovanni i quali gli avevano chiesto di non dimenticare i poveri. La comunità di Gerusalemme, in effetti, si trovava in gravi difficoltà per la carestia che aveva colpito il Paese. E l’Apostolo si era subito preoccupato di organizzare una grande colletta a favore di quei poveri. I cristiani di Corinto si mostrarono molto sensibili e disponibili. Su indicazione di Paolo, ogni primo giorno della settimana raccolsero quanto erano riusciti a risparmiare e tutti furono molto generosi.

Come se il tempo non fosse mai trascorso da quel momento, anche noi ogni domenica, durante la celebrazione della santa Eucaristia, compiamo il medesimo gesto, mettendo in comune le nostre offerte perché la comunità possa provvedere alle esigenze dei più poveri. È un segno che i cristiani hanno sempre compiuto con gioia e senso di responsabilità, perché nessun fratello e sorella debba mancare del necessario. Lo attestava già il resoconto di San Giustino, che, nel secondo secolo, descrivendo all’imperatore Antonino Pio la celebrazione domenicale dei cristiani, scriveva così: «Nel giorno chiamato “del Sole” ci si raduna tutti insieme, abitanti delle città o delle campagne e si leggono le memorie degli Apostoli o gli scritti dei profeti finché il tempo lo consente. […] Si fa quindi la spartizione e la distribuzione a ciascuno degli elementi consacrati e attraverso i diaconi se ne manda agli assenti. I facoltosi e quelli che lo desiderano danno liberamente, ciascuno quello che vuole, e ciò che si raccoglie viene depositato presso il sacerdote. Questi soccorre gli orfani, le vedove, e chi è indigente per malattia o per qualche altra causa, i carcerati, gli stranieri che si trovano presso di noi: insomma, si prende cura di chiunque sia nel bisogno» (Prima Apologia, LXVII, 1-6).

4. Tornando alla comunità di Corinto, dopo l’entusiasmo iniziale il loro impegno cominciò a venire meno e l’iniziativa proposta dall’Apostolo perse di slancio. È questo il motivo che spinge Paolo a scrivere in maniera appassionata rilanciando la colletta, «perché, come vi fu la prontezza del volere, così vi sia anche il compimento, secondo i vostri mezzi» (2 Cor 8,11).

Penso in questo momento alla disponibilità che, negli ultimi anni, ha mosso intere popolazioni ad aprire le porte per accogliere milioni di profughi delle guerre in Medio Oriente, in Africa centrale e ora in Ucraina. Le famiglie hanno spalancato le loro case per fare spazio ad altre famiglie, e le comunità hanno accolto con generosità tante donne e bambini per offrire loro la dovuta dignità. Tuttavia, più si protrae il conflitto, più si aggravano le sue conseguenze. I popoli che accolgono fanno sempre più fatica a dare continuità al soccorso; le famiglie e le comunità iniziano a sentire il peso di una situazione che va oltre l’emergenza. È questo il momento di non cedere e di rinnovare la motivazione iniziale. Ciò che abbiamo iniziato ha bisogno di essere portato a compimento con la stessa responsabilità.

5. La solidarietà, in effetti, è proprio questo: condividere il poco che abbiamo con quanti non hanno nulla, perché nessuno soffra. Più cresce il senso della comunità e della comunione come stile di vita e maggiormente si sviluppa la solidarietà. D’altronde, bisogna considerare che ci sono Paesi dove, in questi decenni, si è attuata una crescita di benessere significativo per tante famiglie, che hanno raggiunto uno stato di vita sicuro. Si tratta di un frutto positivo dell’iniziativa privata e di leggi che hanno sostenuto la crescita economica congiunta a un concreto incentivo alle politiche familiari e alla responsabilità sociale. Il patrimonio di sicurezza e stabilità raggiunto possa ora essere condiviso con quanti sono stati costretti a lasciare le loro case e il loro Paese per salvarsi e sopravvivere. Come membri della società civile, manteniamo vivo il richiamo ai valori di libertà, responsabilità, fratellanza e solidarietà. E come cristiani, ritroviamo sempre nella carità, nella fede e nella speranza il fondamento del nostro essere e del nostro agire.

6. È interessante osservare che l’Apostolo non vuole obbligare i cristiani costringendoli a un’opera di carità. Scrive infatti: «Non dico questo per darvi un comando» (2 Cor 8,8); piuttosto, egli intende «mettere alla prova la sincerità» del loro amore nell’attenzione e premura verso i poveri (cfr ibid.). A fondamento della richiesta di Paolo sta certamente la necessità di aiuto concreto, tuttavia la sua intenzione va oltre. Egli invita a realizzare la colletta perché sia segno dell’amore così come è stato testimoniato da Gesù stesso. Insomma, la generosità nei confronti dei poveri trova la sua motivazione più forte nella scelta del Figlio di Dio che ha voluto farsi povero Lui stesso.

L’Apostolo, infatti, non teme di affermare che questa scelta di Cristo, questa sua “spogliazione”, è una «grazia», anzi, «la grazia del Signore nostro Gesù Cristo» (2 Cor 8,9), e solo accogliendola noi possiamo dare espressione concreta e coerente alla nostra fede. L’insegnamento di tutto il Nuovo Testamento ha una sua unità intorno a questo tema, che trova riscontro anche nelle parole dell’apostolo Giacomo: «Siate di quelli che mettono in pratica la Parola, e non ascoltatori soltanto, illudendo voi stessi; perché, se uno ascolta la Parola e non la mette in pratica, costui somiglia a un uomo che guarda il proprio volto allo specchio: appena si è guardato, se ne va, e subito dimentica come era. Chi invece fissa lo sguardo sulla legge perfetta, la legge della libertà, e le resta fedele, non come un ascoltatore smemorato ma come uno che la mette in pratica, questi troverà la sua felicità nel praticarla» (Gc 1,22-25).

7. Davanti ai poveri non si fa retorica, ma ci si rimbocca le maniche e si mette in pratica la fede attraverso il coinvolgimento diretto, che non può essere delegato a nessuno. A volte, invece, può subentrare una forma di rilassatezza, che porta ad assumere comportamenti non coerenti, quale è l’indifferenza nei confronti dei poveri. Succede inoltre che alcuni cristiani, per un eccessivo attaccamento al denaro, restino impantanati nel cattivo uso dei beni e del patrimonio. Sono situazioni che manifestano una fede debole e una speranza fiacca e miope.

Sappiamo che il problema non è il denaro in sé, perché esso fa parte della vita quotidiana delle persone e dei rapporti sociali. Ciò su cui dobbiamo riflettere è, piuttosto, il valore che il denaro possiede per noi: non può diventare un assoluto, come se fosse lo scopo principale. Un simile attaccamento impedisce di guardare con realismo alla vita di tutti i giorni e offusca lo sguardo, impedendo di vedere le esigenze degli altri. Nulla di più nocivo potrebbe accadere a un cristiano e a una comunità dell’essere abbagliati dall’idolo della ricchezza, che finisce per incatenare a una visione della vita effimera e fallimentare.

Non si tratta, quindi, di avere verso i poveri un comportamento assistenzialistico, come spesso accade; è necessario invece impegnarsi perché nessuno manchi del necessario. Non è l’attivismo che salva, ma l’attenzione sincera e generosa che permette di avvicinarsi a un povero come a un fratello che tende la mano perché io mi riscuota dal torpore in cui sono caduto. Pertanto, «nessuno dovrebbe dire che si mantiene lontano dai poveri perché le sue scelte di vita comportano di prestare più attenzione ad altre incombenze. Questa è una scusa frequente negli ambienti accademici, imprenditoriali o professionali, e persino ecclesiali. […] Nessuno può sentirsi esonerato dalla preoccupazione per i poveri e per la giustizia sociale» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 201). È urgente trovare nuove strade che possano andare oltre l’impostazione di quelle politiche sociali «concepite come una politica verso i poveri, ma mai con i poveri, mai dei poveri e tanto meno inserita in un progetto che unisca i popoli» (Enc. Fratelli tutti, 169). Bisogna tendere invece ad assumere l’atteggiamento dell’Apostolo che poteva scrivere ai Corinzi: «Non si tratta di mettere in difficoltà voi per sollevare gli altri, ma che vi sia uguaglianza» (2 Cor 8,13).         

8. C’è un paradosso che oggi come nel passato è difficile da accettare, perché si scontra con la logica umana: c’è una povertà che rende ricchi. Richiamando la “grazia” di Gesù Cristo, Paolo vuole confermare quello che Lui stesso ha predicato, cioè che la vera ricchezza non consiste nell’accumulare «tesori sulla terra, dove tarma e ruggine consumano e dove ladri scassinano e rubano» (Mt 6,19), ma piuttosto nell’amore vicendevole che ci fa portare i pesi gli uni degli altri così che nessuno sia abbandonato o escluso. L’esperienza di debolezza e del limite che abbiamo vissuto in questi ultimi anni, e ora la tragedia di una guerra con ripercussioni globali, devono insegnare qualcosa di decisivo: non siamo al mondo per sopravvivere, ma perché a tutti sia consentita una vita degna e felice. Il messaggio di Gesù ci mostra la via e ci fa scoprire che c’è una povertà che umilia e uccide, e c’è un’altra povertà, la sua, che libera e rende sereni.

La povertà che uccide è la miseria, figlia dell’ingiustizia, dello sfruttamento, della violenza e della distribuzione ingiusta delle risorse. È la povertà disperata, priva di futuro, perché imposta dalla cultura dello scarto che non concede prospettive né vie d’uscita. È la miseria che, mentre costringe nella condizione di indigenza estrema, intacca anche la dimensione spirituale, che, anche se spesso è trascurata, non per questo non esiste o non conta. Quando l’unica legge diventa il calcolo del guadagno a fine giornata, allora non si hanno più freni ad adottare la logica dello sfruttamento delle persone: gli altri sono solo dei mezzi. Non esistono più giusto salario, giusto orario lavorativo, e si creano nuove forme di schiavitù, subite da persone che non hanno alternativa e devono accettare questa velenosa ingiustizia pur di racimolare il minimo per il sostentamento.

La povertà che libera, al contrario, è quella che si pone dinanzi a noi come una scelta responsabile per alleggerirsi della zavorra e puntare sull’essenziale. In effetti, si può facilmente riscontrare quel senso di insoddisfazione che molti sperimentano, perché sentono che manca loro qualcosa di importante e ne vanno alla ricerca come erranti senza meta. Desiderosi di trovare ciò che possa appagarli, hanno bisogno di essere indirizzati verso i piccoli, i deboli, i poveri per comprendere finalmente quello di cui avevano veramente necessità. Incontrare i poveri permette di mettere fine a tante ansie e paure inconsistenti, per approdare a ciò che veramente conta nella vita e che nessuno può rubarci: l’amore vero e gratuito. I poveri, in realtà, prima di essere oggetto della nostra elemosina, sono soggetti che aiutano a liberarci dai lacci dell’inquietudine e della superficialità.

Un padre e dottore della Chiesa, San Giovanni Crisostomo, nei cui scritti si incontrano forti denunce contro il comportamento dei cristiani verso i più poveri, scriveva: «Se non puoi credere che la povertà ti faccia diventare ricco, pensa al Signore tuo e smetti di dubitare di questo. Se egli non fosse stato povero, tu non saresti ricco; questo è straordinario, che dalla povertà derivò abbondante ricchezza. Paolo intende qui con “ricchezze” la conoscenza della pietà, la purificazione dai peccati, la giustizia, la santificazione e altre mille cose buone che ci sono state date ora e sempre. Tutto ciò lo abbiamo grazie alla povertà» (Omelie sulla II Lettera ai Corinzi, 17,1).

9. Il testo dell’Apostolo a cui si riferisce questa VI Giornata Mondiale dei Poveri presenta il grande paradosso della vita di fede: la povertà di Cristo ci rende ricchi. Se Paolo ha potuto dare questo insegnamento – e la Chiesa diffonderlo e testimoniarlo nei secoli – è perché Dio, nel suo Figlio Gesù, ha scelto e percorso questa strada. Se Lui si è fatto povero per noi, allora la nostra stessa vita viene illuminata e trasformata, e acquista un valore che il mondo non conosce e non può dare. La ricchezza di Gesù è il suo amore, che non si chiude a nessuno e a tutti va incontro, soprattutto a quanti sono emarginati e privi del necessario. Per amore ha spogliato sé stesso e ha assunto la condizione umana. Per amore si è fatto servo obbediente, fino a morire e a morire in croce (cfr Fil 2,6-8). Per amore si è fatto «pane di vita» (Gv 6,35), perché nessuno manchi del necessario e possa trovare il cibo che nutre per la vita eterna. Anche ai nostri giorni sembra difficile, come lo fu allora per i discepoli del Signore, accettare questo insegnamento (cfr Gv 6,60); ma la parola di Gesù è netta. Se vogliamo che la vita vinca sulla morte e la dignità sia riscattata dall’ingiustizia, la strada è la sua: è seguire la povertà di Gesù Cristo, condividendo la vita per amore, spezzando il pane della propria esistenza con i fratelli e le sorelle, a partire dagli ultimi, da quanti mancano del necessario, perché sia fatta uguaglianza, i poveri siano liberati dalla miseria e i ricchi dalla vanità, entrambe senza speranza.

10. Il 15 maggio scorso ho canonizzato Fratel Charles de Foucauld, un uomo che, nato ricco, rinunciò a tutto per seguire Gesù e diventare con Lui povero e fratello di tutti. La sua vita eremitica, prima a Nazaret e poi nel deserto sahariano, fatta di silenzio, preghiera e condivisione, è una testimonianza esemplare di povertà cristiana. Ci farà bene meditare su queste sue parole: «Non disprezziamo i poveri, i piccoli, gli operai; non solo essi sono i nostri fratelli in Dio, ma sono anche quelli che nel modo più perfetto imitano Gesù nella sua vita esteriore. Essi ci rappresentano perfettamente Gesù, l’Operaio di Nazaret. Sono primogeniti tra gli eletti, i primi chiamati alla culla del Salvatore. Furono la compagnia abituale di Gesù, dalla sua nascita alla sua morte […]. Onoriamoli, onoriamo in essi le immagini di Gesù e dei suoi santi genitori […]. Prendiamo per noi [la condizione] che egli ha preso per sé […]. Non cessiamo mai di essere in tutto poveri, fratelli dei poveri, compagni dei poveri, siamo i più poveri dei poveri come Gesù, e come lui amiamo i poveri e circondiamoci di loro» ( Commenti al Vangelo di Luca, Meditazione 263). [1] Per Fratel Charles queste non furono solo parole, ma stile concreto di vita, che lo portò a condividere con Gesù il dono della vita stessa.

Questa VI Giornata Mondiale dei Poveri diventi un’opportunità di grazia, per fare un esame di coscienza personale e comunitario e domandarci se la povertà di Gesù Cristo è la nostra fedele compagna di vita.

 

Roma, San Giovanni in Laterano, 13 giugno 2022, Memoria di Sant’Antonio di Padova. 

FRANCESCO

"Abbiamo un gran bisogno di te, Maria": una meditazione di don Luigi Guglielmoni

Riportiamo di seguito il testo integrale della meditazione a cura di don Luigi Guglielmoni, coadiutore della parrocchia di San Michele Arcangelo in Fidenza dal 1975 al 1999, tenuta venerdì 21 ottobre scorso al termine della processione mariana.

Abbiamo un gran bisogno di Maria, oggi nella Chiesa e nella società, per imparare la compassione e la misericordia, senza le quali si smarrisce l’umano. Il testo degli Atti degli Apostoli presenta un momento drammatico: gli apostoli hanno visto Gesù in croce, l’hanno incontrato alcune volte risorto, fanno fatica a crederlo Vivente e ora l’hanno salutato con l’Ascensione. Che clima ci sarà stato nel loro cuore e tra loro?
Ricordo in un corso di esercizi spirituali, il predicatore fece una meditazione su: “Che aria tira nella vostra comunità e diocesi”? Che aria tirava a Gerusalemme tra gli Undici nel Cenacolo? Per certi aspetti, sembra la Chiesa di oggi, con sprazzi di
entusiasmo ma anche con tante forme di depressione, di stanchezza, di dimagrimento numerico, di preoccupazione di salvare il salvabile, di perdita di potere e di capacità attrattiva. Con gli Undici c’è Maria, insieme ad altre donne. Anche a Cana si dice: “C’era anche la madre di Gesù” (Gv 2,21). “C’era”, un verbo che indica una permanenza, una stabilità. Bisogna chiederlo a un bambino, a un fidanzato, ad una madre o a un malato cosa significa presenza, la vicinanza di una persona casa: non una fotografia, un biglietto, un regalo, un pensiero… No, c’era! In certi momenti non puoi non esserci tu genitore, tu amico, tu cittadino, tu cristiano, tu parroco, tu comunità cristiana!... Maria c’è e in modo del tutto particolare: non rimprovera, non rinfaccia il tradimento e l’abbandono meschino, non fonda un’altra comunità: poteva farlo e invece aiuta gli apostoli a guardare avanti, a credere alle promesse di Gesù, a trasformare le loro fragilità in umile invocazione. Sta con loro nel Cenacolo, “nella stanza superiore”, che gli apostoli avevano preparato per l’ultima Cena, con quella sequenza meravigliosa della lavanda dei piedi, del lungo dialogo di Gesù, dello spezzare il pane e del bere allo stesso calide, del comandamento dell’amore, della promessa dello Spirito. Come richiamava il Vescovo nella lettera pastorale, Maria ci riporta al centro dell’esperienza cristiana: alla Parola di Dio, all’Eucaristia, alla missione. Il vescovo Tonino Bello ha scritto pagine molo belle sulla “stanza superiore”, che meritano di essere rilette.

Abbiamo un gran bisogno di Maria perché il Cenacolo non è solo il luogo dell’Ultima Cena ma è anche il luogo della prima comunità, che riceve le apparizioni del Risorto e impara a crescere tra dissidi e conflitti; una comunità dove Cristo entra anche con le porte chiuse per invitare ad uscire portando il dono ricevuto non per proprio merito. Stare nel Cenacolo significa non partire da noi stessi, dalle analisi sociologiche, dalle statistiche, dai nostri progetti, dalle nostre paure, dalle nostre emozioni o visioni della vita o della pastorale. Maria ci conferma che la Chiesa nasce dall’ ”Alto”, non dal basso. Lei ci insegna a stare insieme nella molteplicità di sensibilità, impostazioni e prospettive missionarie. Pietro è ben diverso da Giacomo e da Giovanni eppure convivono tra loro perché c’è Maria. Non hanno ancora ricevuto il dono dello Spirito, ma riescono a stare insieme in quella sala perché c’è Maria che li accoglie con amore materno, li aiuta a ripensare nella fede il passato e a tenere viva la speranza. Maria conosce bene L’arte di intendersi, è il titolo di un libro che ho scritto con Fausto Negri e che è appena uscito. E’ il commento al dialogo di Gesù con la Samaritana, che scioglie le sue rigidità non quando discute di teologia ma quando si sente dire: “Và a chiamare tuo marito”, cioè quando è toccata la sua umanità di donna assetata di amore. La prima comunità è una palestra di gesti semplici, modesti: la condivisione del pane e degli affetti, lo stare insieme per ripartire poi da Gerusalemme per tutto il mondo. Non si può essere una Chiesa in uscita, se prima non si sta insieme nella stanza al piano superiore e non ci si parla col cuore in mano, senza veli o maschere.

Abbiamo un gran bisogno di Maria per essere Chiesa di Gesù, in modo reale e non di facciata. Il Vangelo non accenna a Maria nell’Ultima Cena ma San Giovanni Paolo II definisce Maria “donna eucaristica” per la sua donazione totale a Cristo e alla Chiesa. Nel Cenacolo, Maria probabilmente non ha fatto conferenze di alto livello teologico, non ha voluto prendere il posto di Pietro (peraltro peccatore), non ha alimentato fazioni tra gli apostoli, non ha voluto parti da “prima donna”. Lei è stata capace di tenere insieme nel nome di Gesù gli apostoli, pur con le loro ferite e debolezze. Nella storia della riflessione teologica su Maria, si sono approfonditi alcuni tempi: il suo essere Vergine, Madre di Dio, Immacolata, Assunta, parte della Chiesa e non “sopra” di essa (Vat. II), pellegrina nella fede e donna eucaristica (Giovanni Paolo II). Forse andrebbe riscoperto il suo ruolo di “artigiana di comunità”, di legami forti tra quanti sono discepoli di Cristo. “Comunità cristiana” è stato uno dei temi emersi nel Concilio, del cui inizio celebriamo i 60 anni, ma c’è ancora tanto da fare per trasformare le parrocchie in comunità effettive. Il Sinodo sta facendo emergere un nervo scoperto della nostra Chiesa: di essere spesso un popolo che non si conosce e non si ri-conosce, che vive riti religiosi ma dove l’uno non si prende cura dell’altro, ci si ignora quando non ci si contrasta con la mormorazione o il giudizio. Basterebbe vedere cosa avviene nei funerali: concluso il corteo funebre, spesso termina tutto. Ma allora, che legame genera lo stare nel Cenacolo, il partecipare alla medesima Eucaristia?

Abbiamo un gran bisogno di Maria per imparare la fraternità, l’umanità delle relazioni. Nei secoli si è insistito molto sulla Chiesa come “Maestra” rispetto al suo essere “Madre”. Quante opere teologiche scritte sul magistero della Chiesa ed è
necessario affermarne tuttora il valore. Ma forse Maria ci educa a capire che la Chiesa è Maestra proprio perché è Madre. C’à una carenza di maternità oggi, non solo a livello demografico, ma c’è povertà di tenerezza materna tra le persone. E’
quello che sanno tutte le mamme sagge: il tuo insegnamento passa non anzitutto dalle parole ma dai gesti di attenzione, dall’affetto premuroso, dal servizio costante. Lo sperimentano gli anziani emarginati, gli adolescenti che reagiscono con la violenza o l’apatia, l’indifferenza diffusa. Possiamo scrivere tanti resoconti degli incontri sinodali (c’è chi parla della Chiesa di carta) ma se non crescono veri rapporti tra le persone battezzate non si vive la Chiesa, non si costruisce quella rete che poi tiene nei momenti difficili. Si ripete spesso che la Chiesa è esperta in umanità, perché tanti suoi membri sono al servizio dei più deboli e perché difende i diritti fondamentali delle persone. Ma si può dire altrettanto che la Chiesa è esperta in fraternità, è testimone di fratellanza? Basterebbe vedere i rapporti tra preti e laici: si vuole il parroco residente ma poi lo si isola e lo si critica; e noi preti come trattiamo voi cristiani laici? E che relazioni intessiamo tra preti (il termine “confratello”, diceva don Primo Mazzolari fa tremare tanto è bello e impegnativo!). Quando capita che un prete vada a trovare un altro prete solo per il desiderio di stare insieme un’ora o di mangiare in compagnia? “Sono venuto per te”, non per organizzare qualcosa o per riunioni di lavoro, dove prevale sempre il ruolo, non la persona, i problemi da affrontare e non il bene dell’altro e di sè.

Abbiamo un gran bisogno di Maria. Papa Francesco mostra attenzione alla persona. Quante volte ha detto che tra membri di confessioni cristiane diverse è più utile passare del tempo insieme, pregando o unendosi per un’opera di solidarietà piuttosto che fare sterili discussioni di teologia. Quante volte il Papa telefona inaspettatamente all’uno o all’altro, o va a trovare qualche comunità. E’ uno stile di vita, che interpella tutti i cristiani. Quanto è importante il ritrovarsi tra famiglie cristiane di una medesima parrocchia, o tra parrocchie di un vicariato, tra parrocchie e associazioni/movimenti, tra parrocchie e diocesi. Non basta che si trovino qualche volta i rappresentanti o le consulte, o ci si incontri per i ritiri o la presentazione di un documento magisteriale… ”Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avete amore gli uni gli altri” (Gv 13,35). Non è mai sprecato il tempo donato e ricevuto tra battezzati. Don Zeno Saltini, fondatore di Nomadelfia, diceva che forse non conosciamo ancora l’alfabeto del cristianesimo, anche se ci illudiamo di volerne parlare la lingua, anzi la vogliamo insegnare agli altri. Maria è capace di relazioni e insegna a guardare i volti, a parlare col cuore, a interpretare i silenzi, ad avere il profumo delle sorelle e dei fratelli, ad esercitare con amore l’autorità, a coniugare sempre verità e carità. Da Maria si impara ad ascoltare, a tirar fuori da ognuno il bene, a mediare, a stare dietro le quinte – come ha fatto Lei a Cana - purché si desideri crescere tutti in comunione, in comunicazione e in corresponsabilità.

Abbiamo un gran bisogno di Maria per servire amando, qualunque sia la vocazione o la situazione che stiamo vivendo. E’ ancora diffusa nella Chiesa, come tra i discepoli, la smania dei primi posti, della visibilità, del potere, dimenticando che non è salendo che si trova Gesù ma discendendo, come ha fatto Lui. Maria insegna a saper gioire del bene, che è molto maggiore di quello che il nostro sguardo normalmente abbraccia. Maria ha l’occhio del profeta, che punta all’essenziale e vede “oltre” l’immediato: intuisce il frutto anche nel semplice germoglio. E’ autorevole, credibile per la sua storia personale. Infonde speranza. E’ una donna molto provata ma non remissiva; è davvero adulta nei sentimenti, nelle convinzioni, nei consigli, nelle azioni. Nel “Magnificat” Maria testimonia che l’affanno non fa godere delle cose che desideriamo di più, le quali sono ben espresse nel “Padre Nostro”, e mostra come portare il peso di situazioni difficili senza restarne schiacciati, senza cedere alla lamentela, senza elemosinare pietà. In quell’inno di lode che è il Magnificat, Lei invita ad usare vari linguaggi, non solo quello razionale, parlato o scritto: c’è il canto, la festa, il gesto, il sorriso, il camminare insieme, il raccontarsi sapendo che l’altro mi ascolta, il silenzio del sogno... E’ il linguaggio che si usa in famiglia, tra amici. E’ la lingua della preghiera della Chiesa per la lode, l’affidamento, l’intercessione, il pentimento, come il Vescovo ci ricorda nella sua Lettera pastorale.


Abbiamo un gran bisogno di te, o Maria, che stasera hai percorso un tratto di strada con i residenti a Fidenza, raccogliendo le gioie e le fatiche di tutti. Di quanti drammi, guerre, mutamenti ed altrettanti eventi belli sei stata spettatrice amorevole, o Maria. Da tempo sei posta in alto, nell’abside di questa Chiesa, per guardarci tutti e tenerci uniti. Lì eserciti la pazienza, sai attendere chi entra nella santa casa, ascolti ognuno, godi di chi canta la lode alla Trinità. Trasmettici il suo sguardo amorevole e aiutaci ad alzare spesso a Te i nostri occhi, che Tu subito orienti a Cristo, alla Chiesa e al mondo. Non dobbiamo inventare niente: Tu sei l’immagine più vera della Chiesa, del mondo redento. Tienici sotto il tuo manto: parrocchia, città e Diocesi, Solo rimanendo con Te può avvenire una nuova Pentecoste, di cui sentiamo l’urgenza come del pane quotidiano, per lasciarci convertire nel profondo, per vincere le nostre paure e divisioni, per credere che le vere riforme passano dalla santità della vita. Solo con la tua guida riusciremo ad andare avanti uniti, ad amare questo tempo nel quale la Provvidenza ci ha posti, a sognare insieme, a prepararci al “nuovo” che il tuo Figlio non si stanca di preparare per la sua Sposa bella. Abbiamo un gran bisogno di te, o Maria.

Don Luigi Guglielmoni, 21 ottobre 2022

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