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Martina Pacini

Settimana per l’unità dei cristiani: cattolici e ortodossi a confronto. Interessante esperienza alla scuola primaria “Maddalena di Canossa

Le classi quinte della scuola primaria “Maddalena di Canossa” si sono preparate alla Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani con un lavoro di ricerca sulla Chiesa cattolica e su quella ortodossa. L’argomento è stato affrontato dal punto di vista storico, culturale, religioso ed artistico. Proprio per quanto riguarda quest’ultimo aspetto è stato avviato un percorso laboratoriale che ha visto i bambini impegnati nell’elaborazione di un’icona. I giovani hanno compreso che i colori utilizzati per realizzare un’icona hanno tutti un significato simbolico religioso: ad esempio il bianco indica la purezza, l’oro la regalità, il rosso l’umanità, il blu la divinità, il nero la mancanza di vita.

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Gli alunni hanno inoltre compreso che tra l’una e l’altra confessione non ci sono differenze nette, soprattutto nella venerazione delle immagini sacre, seppur con stili diversi.

I cattolici usano diversi oggetti simbolici per pregare: la croce e il crocifisso ricordano il sacrificio di Gesù prima della sua risurrezione. Utilizzano inoltre un rosario mentre meditano sulla vita di Gesù e pregano Maria affinchè la loro voce possa arrivare a Dio. La preghiera innalzata a Maria e ai santi è chiamata preghiera di intercessione perchè intercedono presso Dio a nome di tutti.

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L’arte per i cristiani ortodossi è considerata un dono divino, come la profezia. Tipiche, infatti, della Chiesa ortodossa sono appunto le icone, considerate “finestre sul Mistero”. Esse hanno la funzione di santificare i credenti tramite la preghiera e la visione. Sono pertanto più di un’immagine di carattere religioso, ma una porta regale per conoscere la Trinità, la Madre di Dio e i Santi. Tali dipinti, attraverso il linguaggio dei colori, delle forme e dell’espressione dei volti, insegnano le verità cristiane. Le icone sono autentiche immagini sacre che ravvivano la celebrazione. Per questo, quando l’iconografo termina di dipingere l’icona, la presenta al sacerdote perchè sia benedetta. Nelle chiese orientali essa verrà quindi appesa sulla parete dell’iconostasi. Quest’ultima è una struttura che separa i celebranti dal popolo. Essa è posta solennemente al centro di tutte le celebrazioni. Le icone sono anche utilizzate nelle case per la preghiera familiare, vengono collocate nell’angolo orientale della stanza e ornate con candele e fumi di incenso.

Raffaele Mancuso

Giuseppe Verdi e la pietas

Pubblichiamo di seguito l’intervento dal titolo “Giuseppe Verdi e la pietas” che il Maestro Dino Rizzo ha tenuto a Estavayer Le Lac (Svizzera) in occasione di una serata di gala dedicata a Giuseppe Verdi.

 

Giuseppe Verdi e la pietas

 

Il 16 febbraio 1866 Verdi scrisse al baritono Filippo Coletti: «Io evito, quanto posso, di entrare in Busseto perché sono segnato a dito come ateo, superbo». Ancora oggi, spesso, Verdi è presentato come persona atea e superba.

Nessuno di noi è in grado di penetrare l’animo del Maestro per verificare la presenza del sentimento della pietà, sia nel significato più antico di devozione religiosa che nel concetto più recente di impulso verso l’amore, la compassione, il rispetto degli altri. Per tentare di conoscere più a fondo Verdi vi invito a lasciarvi guidare dalle parole di San Giacomo: «Tu hai la fede e io ho le opere, mostrami la tua fede senza le opere ed io con le mie opere ti mostrerò la mia fede» e per rimanere nel tempo ridotto di questo concerto ci limiteremo a indagare la personalità verdiana sfiorando due soli argomenti: le sue musiche sacre e le sue opere caritatevoli.

In un’epoca in cui all’interno della liturgia, i musicisti italiani eseguivano musica in stile teatrale, sono convinto che Verdi conoscesse e condividesse le prescrizioni che la Chiesa cattolica pose come irrinunciabili ai compositori di musica sacra: accorciare i brani; evitare la ripetizione dei testi per favorire la loro comprensione; evitare la composizione nello stile teatrale (per esempio evitare gli accompagnamenti ritmici, l’elemento più sensuale che coinvolge fisicamente l’ascoltatore spingendolo al movimento); evitare l’esecuzione teatrale (pensiamo agli acuti, alle variazioni e alle cadenze virtuosistiche che i cantanti inserivano nei brani solistici); tenere in considerazione il canto gregoriano; ricercare la “gravità ecclesiastica" per favorire la contemplazione; privilegiare il contrappunto.

Se ascoltiamo, senza pregiudizi, i brani con testi sacri che Verdi ha inserito nei suoi melodrammi, noteremo che il Maestro ha fatto sue le richieste della Chiesa Cattolica, sin dalle prime opere, come la preghiera “Salve Maria” de I Lombardi alla prima crociata. L’elaborazione del canto gregoriano lo possiamo ascoltare nell’introduzione organistica del finale del secondo atto ne La Forza del Destino. Verdi, infatti, ottiene l’ampliamento del carattere sacro armonizzando l’inizio del Benedicite Dominum, il primo canto gregoriano della festività di San Michele Arcangelo, patrono della chiesa di Roncole, dove il bambino Verdi fu organista. Lo stile accordale-solenne, gli ha permesso di creare una semplice ma nobile grandiosità, ovvero la gravità ecclesiastica. Introduzione strumentale ottima per la successiva preghiera “La Vergine degli Angeli” in cui l’assenza di un ritmo marcato e dei virtuosismi vocali favorisce la contemplazione della Madre di Gesù.

Le prescrizioni di tenere in considerazione il canto gregoriano, di privilegiare il contrappunto e di ricercare uno stile musicale adatto ad ampliare e trasportare ai fedeli i significati dei testi sacri, sono ampiamente identificabili nella Messa da Requiem. Il 22 maggio 1874, alle ore 11 in San Marco a Milano, avvenne la prima esecuzione all’interno di una Liturgia che «La nuova Illustrazione universale» del 14 giugno definì «messa secca, cioè senza consacrazione del pane e del vino» (l’attuale Liturgia della Parola). Rito celebrato da mons. Giuseppe Calvi, preposto del Capitolo metropolitano, con paramenti liturgici che il critico Edoardo Spagnolo descrisse come «magnifiche vesti» nella sua recensione pubblicata da «La Gazzetta di Milano» il 26 maggio 1874. In essa il critico, ateo dichiarato, definì la Messa da Requiem «arte posta a servizio d’un principio che non so accettare, ma quelle melodie, sono pur sempre la glorificazione, l’apoteosi della fede». Manzoni, uomo di fede, non poteva ricevere omaggio migliore.

Limitandomi al solo Libera me, desidero condividere con voi l’emozione che provo all’ascolto della ripetizione del Requiem ascoltato all’inizio della Messa. È una citazione del Libro dell’Apocalisse di San Giovanni, là dove il Supremo Giudice, dopo la condanna dei peccatori al fuoco eterno e la discesa dal cielo della nuova Gerusalemme, afferma: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose». E il brano angosciante ascoltato all’inizio della Messa, nel Libera è eseguito nella nuova e delicata versione per solo coro e in un ambito sonoro più acuto per indicare che l’angoscia iniziale è trasfigurata in un’estatica serenità perché nella nuova Gerusalemme, come scritto nell’Apocalisse «non vi sarà più morte, né lutto, né grido, né pena esisterà più, perché il primo mondo è sparito». Nel Libera me il credente supplica il Signore affinché non sia confuso con i peccatori e condotto al fuoco eterno descritto nel Dies Irae, ma di essere accolto nella nuova Gerusalemme. È la supplica di tutte le persone di fede, anche dello stesso Verdi che in una lettera all’amico editore Giulio Ricordi confidò la sua predilezione per il canto gregoriano del “Libera Me Domine” quando, da bambino, accompagnava con l’organo i funerali nella chiesa di Roncole.

Parlando della generosità del Maestro il pensiero corre alla costruzione dell’Ospedale di Villanova e della Casa di riposo per musicisti di Milano, edifici ed istituzioni che realizzò esclusivamente con il suo denaro. Il pensiero corre anche alle numerose borse di studio, ai lasciti istituiti nel 1882 per aiutare ogni anno 33 famiglie povere di Busseto e 50 famiglie povere di Roncole, oltre alle abbondanti carità che, insieme alla moglie Giuseppina Strepponi, compì tramite il canonico Don Giovanni Avanzi, parroco di Vidalenzo e suo amico sin dalla giovinezza. Ma non dobbiamo dimenticare quanto fece per le attività di Don Carlo Uttini, suo cugino da parte della mamma. Sacerdote e pedagogista, Don Carlo e le nipoti Guglielmina e Giulia, dal 1867 aprirono nella provincia di Piacenza numerosi “Giardini dell’Infanzia”, gli attuali asili. Per quasi quarant’anni Verdi finanziò tutte le loro nuove attività educative e con il testamento dispose che parte del suo patrimonio fosse distribuito in favore degli asili di Busseto, Villanova, Cortemaggiore, Piacenza e Genova.

Vi invito a non fermarvi al solo valore economico di queste beneficienze ma di considerare anche le modalità con cui le realizzò: riservata, in forma anonima tramite persone di fiducia. Questo per non mettere a disagio i beneficiati, per non obbligarli a ringraziarlo in occasione di un qualsiasi incontro. Due soli esempi. Il primo riguarda l’Ospedale di Villanova. Il 15 aprile 1885 l’amico psichiatra Cesare Vigna, cui dedicò La Traviata, scrisse a Verdi: «Quando avrà luogo l’apertura del tuo ospedale? Nella mia qualità di direttore sanitario sentirei quasi un obbligo d’intervenire alla solenne inaugurazione». L’inaugurazione avvenne il 5 novembre 1888, tre anni dopo, e non fu per nulla solenne. La moglie Giuseppina così la descrisse a Don Avanzi: «L’ospedale fu aperto lunedì senza apparato, semplicemente, come si dovrebbe fare tutte le opere di carità, come questa di Verdi, grande, umanitaria, santissima!». Cerimonia fedele al pensiero di Verdi: «L’inaugurazione, come la bramo io, è la seguente. Consisterà nell’ammissione dei primi dodici infermi. E basta. Non si convengono inutili cerimonie per un luogo di dolore». E a Ricordi, Verdi diede un ordine preciso: «la consegna è di tacere», ordine che non fu rispettato perché Ricordi, l’11 novembre, fece pubblicare un articolo sulla Gazzetta musicale. Il secondo esempio è relativo alla Casa che fece costruire a Milano per accogliervi i vecchi artisti non favoriti dalla fortuna. Acquistato il terreno nel 1889, l’anno successivo all’apertura dell’Ospedale di Villanova, la Casa fu terminata dieci anni dopo nel 1899, e Verdi per non apparire vanaglorioso chiese che fosse aperta dopo la sua morte, dopo la sua sepoltura insieme a Giuseppina, là, immerso nella sua opera più bella, al servizio dei suoi ospiti. Tutte queste situazioni mi richiamano alla mente la “Ave Maria” inserita nell’Otello: “Maria, prega per chi adorando te si prostra, prega pel peccatore, per l’innocente e pel debole oppresso e pel possente, misero anch’esso, tua pietà dimostra”.

Concludendo: Verdi era veramente ateo e superbo? Personalmente condivido quanto scrisse Arrigo Boito, suo librettista e amico fidato che gli rimase vicino sino alla morte: “Egli ha dato l’esempio della fede cristiana per la commovente bellezza delle sue opere religiose, per l’osservanza dei riti” e prosegue ricordando “la sua bella testa abbassata nella cappella di Sant’Agata”. Cappella consacrata in cui Verdi fece celebrare regolarmente la Messa, in cui nel 1878 si sposò Filomena, sua figlia adottiva, e successivamente tutti i suoi discendenti.

Dino Rizzo

Omelia del Vescovo Ovidio nella celebrazione esequiale di don Remo Toscani

«Di me è scritto che io faccia il tuo volere» (Sal 39/40)

 

Omelia nella celebrazione esequiale di d. Remo Toscani, canonico della Cattedrale di Fidenza e parroco di S. Paolo in Fidenza

 Chiesa parrocchiale di S. Paolo (12 gennaio 2022)

 

Supplica, lamento e rendimento di grazie si alternano nella preghiera del Salmo 39/40 che abbiamo pregato, lasciando trasparire la professione di fede dell’orante davanti a Dio. È in questa prospettiva che intendo proporre all’attenzione di tutti alcune tracce della testimonianza e dell’eredità spirituale e umana che d. Remo, parroco di questa comunità cristiana per un tempo considerevole, ci consegna. Tutto ciò va sottolineato al presente; è vero, d. Remo, passato attraverso la morte, sta ora davanti al giudizio di Dio e sotto lo sguardo della sua misericordia, ma la sua presenza è sempre viva perché egli vive in Cristo, crocifisso e risorto dai morti. Pertanto non intendiamo relegare la sua testimonianza al passato, ma accoglierne la attualità viva, l’autentica consegna di atti di amore compiuti nella fedeltà all’Evangelo, alla Chiesa e all’umano, che non ha mai disdegnato di incontrare sul suo cammino di ministero sacerdotale.

Lo sfondo sul quale si staglia la preghiera del salmista è rappresentato da un atteggiamento: l’obbedienza davanti a Dio e l’ascolto della sua Parola con la vita: «Ecco, io vengo. Sul rotolo del libro di me è scritto, di fare la tua volontà» (v. 8b). Questa è la condizione necessaria per leggere la storia personale e universale come guidata dal Signore provvidente su vie di libertà e di vita. La preghiera del salmista non cade nella trappola di un fideismo esasperato e senza prospettiva, ma si rivela atto di abbandono fiduciale proprio di chi ha fatto esperienza della fedeltà di Dio alla parola data e alla benedizione promessa. Il sacerdote di Dio d. Remo, lo sottolineiamo senza retorica, ci consegna, anzitutto, la luminosità di una vita segnata dall’obbedienza alla Parola ascoltata, meditata, pregata, celebrata e, pur nel limite della propria umanità, vissuta nel quotidiano. Il suo «Ecco io vengo per fare la tua volontà, Signore», sta fondato sull’oggi di Dio che è vita eterna e pienezza di comunione con l’Unico.

La vita di d. Remo, in secondo luogo, è racconto della fedeltà di Dio, mai venuta meno, anche nei tempi più difficili da accogliere (vv. 2-4a). Il salmista, nella sua preghiera, delinea con tratti commoventi il venire incontro del Signore alla sua situazione esistenziale: «Si è chinato, ha dato ascolto [...], mi ha tratto [...], ha stabilito [...], ha reso sicuri i miei passi [...], mi ha messo sulla bocca un canto nuovo». Questa esperienza rafforza la speranza dell’orante e conduce a coglierne il fondamento ben oltre la semplice emozione. Questo è avvenuto anche nella vita di d. Remo, soprattutto nel tempo della notte della sofferenza quando è difficile intravvedere una consolazione, perché le parole umane non bastano più.

In terzo luogo, considerando il contesto liturgico della confessione di fede, il salmista esorta l’assemblea a riporre la fiducia nel Signore, sorgente di beatitudine e di speranza non illusoria. Contrapposto alla presunzione della ricerca di una realizzazione di progetti iniqui, sta l’abbandono obbediente di chi spera in lui:

«Beato l’uomo che ha riposto la sua fede nel Signore, colui che non si rivolge ai potenti, ai perduti nella menzogna. Quante meraviglie per noi, Signore mio Dio, quanti progetti per noi: nessuno è come te! Io vorrei annunciarli e proclamarli, sono troppi da raccontare!» (v. 5-6).

D. Remo non ha mai smesso di esortare la sua comunità a tenere ben fissi gli occhi sul Signore unico della storia, a vigilare con attenzione sulle seduzioni proprie dei criteri del mondo, della visibilità a tutti i costi, della notorietà di sé, della bramosìa del denaro e della rincorsa ad occupare posti ritenuti prestigiosi dai potenti di turno. Tutto questo racconta della libertà dei discepoli del Signore; è segno, senza equivoci, della genuinità del suo agire senza interessi altri che non siano la fedeltà all’Evangelo e alla edificazione della Chiesa nell’unità e nella concordia.

In quarto luogo, quali sacrifici Dio gradisce? (vv. 7-11). Davanti al bisogno di esprimere, attraverso l’offerta di olocausti e vittime di espiazione, il proprio ringraziamento al Signore per quanto ha operato, il salmista rimanda alla sapienza della Parola che rivela l’orientamento di vita per chi si lascia aprire l’orecchio (cfr. Is 50,5) come il servo obbediente. L’ascolto della Parola con la vita è il vero sacrificio che Dio gradisce: «Non hai voluto né sacrificio né offerta, mi hai aperto gli orecchi, non hai chiesto né olocausto né espiazione, allora ho detto: “Ecco, io vengo”». Penso a d. Remo nel suo ministero di Rettore del Seminario di Fidenza; sottolineo la sua passione educativa con la quale ha saputo indicare il cammino di vita evangelica a quanti erano disponibili a far posto alla Parola nel loro cuore; richiamo alla memoria di tutti la sua apertura, senza pregiudizio alcuno, al ricco patrimonio della Chiesa d’Africa e all’accoglienza della comunità ortodossa del Patriarcato di Mosca presso la chiesa di S. Faustino; rifletto sulla sua insistenza con la quale esortava i suoi catechisti a cammini di formazione attorno alla Parola di Dio e agli insegnamenti del magistero della Chiesa. Tutto ciò è motivo di benedizione davanti al Signore. L’ascolto della Parola fatta carne nella vita di Gesù (evangelo) e, mediante lui, nel discepolo, esige l’umiltà dell’annuncio affinché chi l’accoglie proclami la fedeltà e la salvezza di Dio (cfr. Mt 5,16).

Infine, per quanti vivono nell’illusione di una sicurezza definitiva (vv. 14-18), frutto dell’opera delle proprie mani, il salmista chiede «tremore e conversione» affinché siano illuminati, si accorgano della loro stoltezza e dall’esperienza del loro disorientamento ritornino a Dio, compassionevole e grande nel perdono. Al riguardo, la parola di d. Remo assumeva anche il tono della critica, ma mai quello della polemica occulta e ostile, che getta il discredito e genera confusione. La sua critica era segno di ricerca e di dialogo, di edificazione e di comunione per discernere più in profondità quanto immediatamente non era evidente, sempre pronto anche a chiedere scusa, qualora vi fosse stata qualche incomprensione; il suo grazie non era mai in ritardo sulla meridiana del tempo di Dio.

Alla comunità dei credenti è affidata la bellezza e la fedeltà del ministero di d. Remo, svolto per la causa dell’evangelo, contro ogni mondanizzazione e ogni riduzione di esso a convenienze prudenziali, che attendono un tornaconto immediato. Il salmista lo ribadisce con forza: «Per me sta scritto sul rotolo del libro di compiere il tuo volere; mio Dio è questo ciò che desidero» (v. 8-9). Il sacerdote d. Remo ha desiderato solo questo: compiere la volontà dell’unico suo Signore.

Il suo nome e il bene da lui compiuto rimangano in perenne benedizione davanti a Dio e nella memoria viva di quanti lo hanno incontrato.

+ Ovidio Vezzoli

vescovo

Restaurato il dipinto "San Nicola di Bari che resuscita tre bimbi"

ll dipinto “San Nicola di Bari che resuscita tre bimbi”, un’opera di Carlo Angelo Dal Verme, è tornato al suo posto nell’Oratorio della Santissima Trinità di Busseto. Ed è stato riposizionato poco prima delle festività come un regalo di Natale per la comunità di Busseto, con un simbolico richiamo alla figura di San Nicola e ai suoi legami con Babbo Natale (Santa Claus). L’opera è un olio su tela realizzato nel 1784-85, il cui restauro è stato curato dalla restauratrice Federica Romagnoli sotto la supervisione della dr.ssa Anna Coccioli Mastroviti della Soprintendenza di Parma e Piacenza e finanziato interamente dal Rotary Club Salsomaggiore con un particolare interessamento del socio Marco Pinna.

Grande soddisfazione è stata espressa dal parroco di Busseto don Luigi Guglielmoni, fortemente impegnato nel recupero e nella valorizzazione del grande patrimonio religioso, storico e artistico di Busseto. “Ringrazio il Rotary Club Salsomaggiore per aver reso possibile il restauro della tela – ha commentato don Luigi - . Il dipinto è ora tornato al suo posto nell’Oratorio della Santissima Trinità che è stato totalmente restaurato da poco ed ha una particolare importanza dato che qui si sposò Giuseppe Verdi”.

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Il dipinto è un olio su tela di grandi dimensioni (2,6x1,6 metri): la tela ha la particolarità di essere su un supporto ligneo complesso, una sorta di telaio. Sono state sostanzialmente due le problematiche affrontate durante il restauro: la sistemazione di una lacerazione sulla tela e la ripulitura della superficie da sbiancamenti e danni da umidità che rendevano la superficie pittorica molto offuscata, anche a causa di uno strato di colore bruno molto sensibile all’umidità che la ricopriva. La superficie è stata ripulita utilizzando un’emulsione particellare in cui è stata inserita una soluzione tampone acquosa. Lo strappo è stato invece ricucito preservando il tavolato e incollando i fili della tela cercando di ricreare la trama originale.

“Siamo orgogliosi di aver finanziato questo intervento, in un luogo importante come l’Oratorio della Santissima Trinità di Busseto, dove si è sposato Giuseppe Verdi. E’ il nostro fiore all’occhiello per questa annata” ha commentato il presidente del Rotary Club Salsomaggiore Roberto Cupola.

Annarita Cacciamani

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