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Ad-Dio Papa Francesco

“Alle 7.35 il vescovo di Roma Francesco è tornato alla casa del Padre”. Lo ha annunciato ieri, lunedì 21 aprile 2025, il card. Farrell, “con profondo dolore”. “La sua vita tutta intera è stata dedicata al servizio del Signore e della Sua chiesa”, ha proseguito il cardinale annunciando la notizia ai fedeli. “Ci ha insegnato a vivere i valori del Vangelo con fedeltà, coraggio ed amore universale, in modo particolare a favore dei poveri e emarginati. Con immensa gratitudine per il suo esempio di vero discepolo del Signore Gesù, raccomandiamo l’anima di Papa Francesco all’infinito amore misericordioso di Dio uno e trino”.

È durato poco più di un’ora il rito della constatazione del decesso del Papa e della deposizione nella bara, secondo le indicazioni dell’Ordo exsequiarum Romani Pontificis. Lo ha reso noto la Sala Stampa, aggiungendo che “alcuni collaboratori” hanno accesso alla cappella al pianterreno di Casa Santa Marta, dove si trova il corpo di Papa Francesco, che è stato collocato nella bara e viene ora vegliato da loro. Dopo il rito, sono stati posti i sigilli all’appartamento papale al secondo piano di Casa Santa Marta e all’appartamento papale del Palazzo Apostolico.

“Ictus cerebrale, coma, collasso cardiocircolatorio irreversibile”, in un soggetto affetto da “pregresso episodio di insufficienza respiratoria acuta in polmonite bilaterale multimicrobica, bronchiectasie multiple, ipertensione arteriosa e diabete di tipo II”. Sono le cause della morte di Papa Francesco, certificate dal direttore della Direzione di Sanità e Igiene dello Stato della Città del Vaticano, prof. Andrea Arcangeli. “Certifico che Sua Santità Francesco (Jorge Mario Bergoglio) nato a Buenos Aires (Argentina) il 17 dicembre 1936, residente nella Città del Vaticano, cittadino vaticano, è deceduto alle ore 7.35 del giorno 21/04/2025 nel suo appartamento presso la Domus Santa Marta”, si legge nella denuncia di morte, avvenuta durante il rito della constatazione della morte e della deposizione della salma di Papa Francesco nella bara, presieduto dal card. Kevin Joseph Farrell, Camerlengo di Santa Romana Chiesa nella Cappella di Casa Santa Marta, secondo le procedure stabilite dall’Ordo Exsequiarium Romani Pontificis. Era stato lo stesso Camerlengo ad annunciare stamattina, tramite un video, il decesso del Santo Padre. Al rito di questa sera erano presenti il card. Giovanni Battista Re, decano del Collegio cardinalizio, i familiari del Romano Pontefice, il direttore e il vicedirettore della Direzione di Sanità e Igiene dello Stato della Città del Vaticano. Domani mattina è in programma la prima Congregazione generale del Collegio dei cardinali. Stando alle disposizioni dell’Universi Dominici gregis, il funerale di Papa Francesco dovrebbe svolgersi tra il quarto e il sesto giorno dopo la morte, cioè tra venerdì 25 aprile e domenica 27 aprile. A termine del rito citato, è stato diffuso anche il testamento di Jorge Mario Bergoglio, la cui sostanza riguarda le disposizioni per la sua sepoltura.

“Sentendo che si avvicina il tramonto della mia vita terrena e con viva speranza nella Vita Eterna, desidero esprimere la mia volontà testamentaria solamente per quanto riguarda il luogo della mia sepoltura”, vi si legge. “La mia vita e il ministero sacerdotale ed episcopale ho sempre affidato alla Madre del Nostro Signore, Maria Santissima”, scrive Francesco: “Perciò, chiedo che le mie spoglie mortali riposino aspettando il giorno della risurrezione nella Basilica Papale di Santa Maria Maggiore. Desidero che il mio ultimo viaggio terreno si concluda proprio in questo antichissimo santuario Mariano dove mi recavo per la preghiera all’inizio e al termine di ogni Viaggio Apostolico ad affidare fiduciosamente le mie intenzioni alla Madre Immacolata e ringraziarLa per la docile e materna cura”. Bergoglio scende anche nei dettagli del luogo preciso della sepoltura e di ciò che deve essere scritto nella lapide: “Chiedo che la mia tomba sia preparata nel loculo della navata laterale tra la Cappella Paolina (Cappella della Salus Populi Romani) e la Cappella Sforza della suddetta Basilica Papale come indicato nell’accluso allegato. Il sepolcro deve essere nella terra; semplice, senza particolare decoro e con l’unica iscrizione: Franciscus”. Non mancano indicazioni anche per la somma di denaro necessaria alla tumulazione: “Le spese per la preparazione della mia sepoltura saranno coperte con la somma del benefattore che ho disposto, da trasferire alla Basilica Papale di Santa Maria Maggiore e di cui ho provveduto dare opportune istruzioni a Mons. Rolandas Makrickas, Commissario Straordinario del Capitolo Liberiano”.

“Il Signore dia la meritata ricompensa a coloro che mi hanno voluto bene e continueranno a pregare per me”,

l’omaggio finale, sotto forma di invocazione, con cui si conclude il testamento di Papa Francesco, che ha per intestazione il motto del pontificato, durato 12 anni e cessato questa mattina alle 7.35: “Miserando atque eligendo”.

“La sofferenza che si è fatta presente nell’ultima parte della mia vita l’ho offerta al Signore per la pace nel mondo e la fratellanza tra i popoli”,

rivela il Santo Padre a proposito di uno dei temi portanti del suo magistero.

“Credo che tutti abbiamo ancora nel cuore le parole che Papa Francesco ci ha rivolto: ‘Non dimenticatevi di pregare per me’. Vogliamo farlo chiaramente questa sera per accompagnarlo nella sua Pasqua, nella fede di Cristo risorto che celebriamo in questo giorno santo di Pasqua. Sappiamo che la morte non è la porta che si chiude ma l’ingresso nella Gerusalemme celeste”. Così il card. Mauro Gambetti, vicario generale del Papa per la Città del Vaticano e per le ville pontificie di Castel Gandolfo, arciprete della basilica di San Pietro e presidente della Fabbrica di San Pietro, ha introdotto la preghiera del Rosario per Papa Francesco in piazza San Pietro, a cui hanno partecipato migliaia di persone in raccoglimento e in preghiera. “Vogliamo ringraziare il Signore – ha proseguito il cardinale – per i doni che ha fatto alla chiesa con il ministero apostolico di Papa Francesco, pellegrino di speranza che non delude. E vogliamo affidarlo al Padre misericordioso in comunione con Maria. Alla nostra voce orante, la voce dei fratelli e delle sorelle nel mondo. E’ tutto il gregge di Cristo buon pastore che prega per il Papa contemplando i misteri gloriosi del nostro Salvatore”.

 

Sabato 26 aprile 2025 alle ore 10.00, primo giorno dei Novendiali, sul sagrato della Basilica di San Pietro sarà celebrata la Santa Messa esequiale del Romano Pontefice Francesco, secondo quanto previsto nell’Ordo Exsequiarum Romani Pontificis (nn. 82-109).

La Liturgia esequiale sarà presieduta da Sua Eminenza Reverendissima il Signor Cardinale Giovanni Battista Re, Decano del Collegio Cardinalizio.

Potranno concelebrare:

- i Patriarchi e i Cardinali, che si troveranno, entro le ore 9.00, nella Cappella di San Sebastiano in Basilica, portando con sé la mitra bianca damascata;

- gli Arcivescovi e i Vescovi, che si troveranno, entro le ore 8.30, al Braccio di Costantino, portando con sé amitto, camice, cingolo e mitra bianca semplice;

- i Presbiteri, che si troveranno, entro le ore 8.30, direttamente nel settore loro riservato in Piazza San Pietro, dove indosseranno l’amitto, il camice, il cingolo e la stola rossa che avranno portato con sé.

Al termine della Celebrazione Eucaristica avranno luogo l’Ultima commendatio e la Valedictio. Di seguito il feretro del Romano Pontefice sarà portato nella Basilica di San Pietro e da lì nella Basilica di Santa Maria Maggiore per la tumulazione.

"Nel crogiuolo della speranza": il messaggio del Vescovo per la Pasqua

Nel crogiuolo della speranza

 

«Di questa notte è stato scritto:

la notte splenderà come il giorno

e sarà fonte di luce per la mia delizia»

(Exultet)

Nella celebrazione della Veglia Pasquale, vertice del mistero della Pasqua del Signore, la Chiesa annuncia solennemente con l’Exultet la vittoria di Gesù Cristo sulla notte di ogni male, luce che splende nella tenebra dell’umanità. Riascoltare questo antico inno della Chiesa (VI secolo) significa essere ricondotti alle radici della fede cristiana al fine di rianimare il cammino dei credenti orientati dal mistero della morte e risurrezione del Signore, speranza viva che non delude (cfr. Rm 5,5).

Al cuore del canto del Preconio pasquale troviamo l’affermazione che riassume in modo illuminante il contenuto e il messaggio della Pasqua cristiana: «Di questa notte è stato scritto: la notte splenderà come il giorno e sarà fonte di luce per la mia delizia». Tentiamo di precisarne il significato mettendo in evidenza gli aspetti più decisivi che interpellano il nostro cammino di fede in questo tempo della storia in cui viviamo; infatti, non possiamo dimenticare che la Pasqua del Signore non è un fragile e nostalgico ricordo del passato, ma è l’evento fondamentale che interroga ancora oggi il senso del nostro cammino di vita, le nostre scelte, le nostre relazioni e il nostro sguardo sull’umanità con la quale condividiamo attese e speranze.

Ci chiediamo: dove sta scritto che “la notte splenderà come il giorno”? L’affermazione, così assoluta in sé stessa, appartiene al Salmo 139,12: «Nemmeno la tenebra per te è oscura, la notte è luminosa come il giorno, la tenebra per te è come la luce». L’orante del Salmo innalza davanti a Dio una confessione di fede in cui riconosce la sua stessa esistenza come un prodigio che lui stesso ha plasmato nel grembo di una madre e al quale ha affidato una responsabilità: cantare con la vita le misericordie del Signore e la sua compassione verso tutti. In questa preghiera il salmista dichiara che, per quanto le tenebre avvolgenti il mondo possano essere fitte, la presenza provvidente del Creatore penetra ogni notte rendendola luminosa nel suo splendore. Davanti a Dio, le tenebre da lui create, non sono in contrapposizione con la luce, anch’essa da lui formata; al contrario, notte e giorno, tenebre e luce costituiscono il primo atto della creazione di Dio e sono da lui dichiarate “buone e belle”, autentico ornamento di senso dell’universo (cfr. Gen 1,3-5). Pertanto, anche nella notte Dio è presente, perché davanti a lui non vi è oscurità o realtà che possa nascondere la sua gloriosa misericordia. La notte non è il luogo in cui Dio è assente; per lui e in lui essa è splendente come il giorno. Detto in altri termini: il Signore può trasformare la notte della prova in sorgente di benedizione; egli, infatti, è sempre oltre ogni notte e ogni luce. Riascoltando alcuni tratti della parola di Dio rivelata nella Sacra Scrittura possiamo intravvedere la profonda verità di questa affermazione. Nel libro dell’Esodo si sottolinea a più riprese che nella notte della schiavitù più profonda della storia di Israele, il Signore interviene come luce di liberazione conducendo il suo popolo, attraverso il deserto, alla terra della benedizione. Alla testa della sua comunità che procede nella notte, il Signore risplende davanti ad essa come colonna di fuoco che rischiara il cammino e come colonna di nube per l’orientamento durante il giorno (cfr. Es 13,21; Nm 14,14; Sap 18,3). Allo stesso modo il profeta Isaia annuncia un nuovo esodo per gli esiliati a Babilonia e riprende la medesima immagine indicando il tempo della speranza e della letizia: «Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce, su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse» (Is 9,1). Il libro dell’Apocalisse, dal canto suo, concludendo il messaggio di speranza e di promessa che il Risorto invia alla comunità che vive la notte della prova, annuncia: «Non ci sarà mai più la notte perché il Signore Dio illuminerà i suoi servi» (Ap 22,5).

Il riferimento biblico del Nuovo Testamento, che maggiormente ci aiuta a rileggere l’attualità sorprendente dell’affermazione contenuta nell’Exultet è indicato dall’evangelo di Marco e, in particolare, nel racconto della passione di Gesù di Nazareth: «Venuto mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra, fino alle tre del pomeriggio. Alle tre Gesù gridò con voce forte: “Eloì, Eloì, lamà sabactàni”, che significa: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mc 15,33-34). Nella notte della prova suprema, al Getsemani prima e ora sulla croce, Gesù davanti al Padre consegna tutti gli interrogativi della storia, ai quali l’umanità stessa non è in grado di elaborare risposte soddisfacenti: perché il dolore degli innocenti? Perché la malattia e la finitudine dell’umano che conduce alla morte? A chi e a che cosa giova tanta sofferenza che gli uomini e le donne di ogni tempo sperimentano nella loro breve esistenza? Può Dio rimanere così lontano o indifferente davanti ai tanti Giobbe che gridano a lui e invocano giustizia e misericordia notte e giorno? Nella tenebra che avvolge il mondo nell’ora in cui, a mezzogiorno, il sole splende nella sua luminosa intensità, Gesù dall’alto della croce, rivolgendosi al Padre, dichiara che la notte più difficile non può oscurare la presenza di Dio compassionevole e misericordioso. La notte della croce, in Gesù il Figlio amato, diventa profezia e annuncio di luce, di vita, di speranza non sconfitta, di una umanità che in Gesù crocifisso trionfa nel mistero della sua risurrezione. Per questo Paolo ammonisce con decisione che «Se Cristo non è risorto, vana è la nostra predicazione ed è vana anche la nostra fede» (1Cor 15,14).

Questa è la letizia della Pasqua di risurrezione del Signore, buona notizia che attraversa insistentemente l’accelerato cambiamento d’epoca che stiamo vivendo, con le sue luci e le sue ombre. Da credenti, non dimentichiamo che anche nella tenebra più profonda dell’umanità, il Padre si è abbassato nel Figlio Gesù Cristo liberandola dalla morte e illuminando la notte della storia attraversandola con la sua luce di risurrezione. In tal modo Gesù crocifisso e risorto dai morti ha rianimato il cammino di ogni uomo e di ogni donna che, da veri pellegrini di speranza, non si stancano di ricominciare nel suo nome tendendo verso quella fonte che è generatrice di luce per la delizia di quanti desiderano lasciarsi illuminare da essa.

Una antica invocazione della liturgia dei cristiani di Siria, di rito caldeo, ci disponga ad accogliere la luce nuova del mattino di Pasqua:

«Per il giorno che sorpasserà ogni mattino

santifichiamoci ora e qui

perché, ecco, Egli viene senza tardare

e sarà Lui a rialzarci».

+ Ovidio Vezzoli

Vescovo di Fidenza

"Conversazioni di primavera": quattro incontri su temi sociali e politici

L’Ufficio per la Pastorale Sociale e il Lavoro della Diocesi di Fidenza ha organizzato per il prossimo periodo di marzo e aprile 4 incontri su temi sociali e politici. Gli incontri sono rivolti a tutti: a chi è già impegnato nel sociale e nella politica, a chi ci sta pensando, a chi vuole solo capire, ai giovani in particolare.
L’obiettivo di questo percorso, che proseguirà anche nei prossimi due anni, è quello di fornire strumenti di riflessione a tutti per capire meglio il periodo storico nel quale stiamo vivendo e confrontarsi con tematiche di attualità. Il progetto nasce anche dalle risultanze delle Settimane dei Cattolici Italiani che si sono svolte a Trieste nel luglio scorso e che hanno ribadito la necessità di tornare a partecipare alla vita sociale e politica dei propri territori.
Gli incontri si terranno nella Sala Multimediale della parrocchia di San Michele a partire dalle ore 20.45 e vedranno la partecipazione di relatori di livello nazionale. Partenza il 19 marzo con una riflessione sulla Dottrina Sociale della Chiesa a cura di Mons. Mario Toso, filosofo e Vescovo della Diocesi di Faenza-Modigliana, grande esperto di questi temi sui quali ha scritto anche numerosi testi.
 
Maggiori informazioni si possono trovare sul sito della Diocesi di Fidenza.

Mercoledì delle Ceneri, inizio del cammino quaresimale verso la Pasqua

Qual è l’origine del Mercoledì delle Ceneri?

La storia della liturgia ci documenta che il Mercoledì delle Ceneri, quale giorno inaugurale del cammino quaresimale verso la Pasqua del Signore, entra nella prassi ecclesiale per tutti i fedeli solamente verso la fine del I millennio (IX secolo circa). Nella Chiesa antica è già attestato un rito che prevede la vestizione di un abito di penitenza e l’imposizione delle ceneri sul capo dei fedeli maschi (per le donne era contemplato un segno di croce sulla fronte con la cenere) quale segno penitenziale che caratterizza un percorso di conversione in vista della loro riconciliazione e riammissione alla comunione con la Chiesa il giorno del Giovedì santo. Le testimonianze di Cipriano vescovo di Cartagine e del presbitero Tertulliano (III secolo), per quanto riguarda la Chiesa del nord Africa, vanno in questa direzione. Gesù stesso, in continuità con la tradizione profetica dell’Antico Testamento, rimanda a questa prassi in Mt 11,21: “Se a Tiro e Sidone fossero stati compiuti i miracoli che sono stati fatti in mezzo a voi, già da tempo avrebbero fatto penitenza avvolte nel cilicio e nella cenere”. A partire dall’VIII-IX secolo nelle Gallie e dall’XI secolo a Roma è attestato il rito di imposizione delle ceneri sul capo di tutti i fedeli (e non solo dei penitenti) mediante una formula di benedizione propria, quale inizio del cammino quaresimale orientato verso la Pasqua del Signore. La prescrizione successiva di ottenere le ceneri dai rami di ulivo dell’anno precedente bruciati risale al XII secolo.

Qual è il carattere proprio dell’inizio del cammino quaresimale?

A questo proposito è bene ricordare quanto la Costituzione sulla Liturgia del Concilio Vaticano II (Sacrosanctum concilium 109) precisa in riferimento al carattere proprio della Quaresima: “Il duplice carattere della Quaresima che, soprattutto mediante il ricordo o la preparazione al Battesimo e mediante la penitenza dispone i fedeli alla celebrazione del mistero pasquale con l’ascolto più frequente della parola di Dio e la preghiera più intensa, sia posto in maggiore evidenza tanto nella liturgia, quanto nella catechesi liturgica”. Pertanto, memoria del battesimo e dimensione penitenziale caratterizzano l’inizio del cammino quaresimale, che nel Mercoledì delle Ceneri trovano una sintesi eloquente.

Qual è il significato del simbolo delle Ceneri?

Va precisato che le Ceneri sono un sacramentale ovvero un segno che rimanda ad una dimensione spirituale più profonda; esso trova nel cammino di conversione, fatto con fede e senza ipocrisia, la sua significazione più autentica. Il segno delle Ceneri è solo gesto che indica un percorso più ampio e che necessita di essere accompagnato da atteggiamenti di autenticità davanti a Dio: atto di affidamento alla sua misericordia, verità con se stessi, sguardo di speranza sulla propria vita, atteggiamenti di compassione e di prossimità nei confronti della storia umana in cui si abita, astensione dalla pretesa di giudizi sprezzanti su di sé e sugli altri, denuncia di ogni forma di idolatria e di seduzione che la mondanità produce, umile ricerca del senso della vita ricominciando da Dio.

Qual è il vero volto del digiuno?

Il vero volto del digiuno è precisato con sapienza nella Scrittura; è unito alla preghiera e all'elemosina costituendo uno degli atti essenziali che esprimono davanti a Dio l'umiltà, la speranza e l'amore del credente. Il digiuno, nella rivelazione, non è conquista ascetica che procura uno stato di esaltazione psicologica o religiosa, ma un atteggiamento esterno che esprime dipendenza e di umiltà per accogliere l'azione di Dio e mettersi alla sua presenza. La Scrittura, in particolare, offre tre modelli di esperienza di digiuno che precedono un incontro significativo con Dio. Essi tracciano un itinerario pedagogico nella fede e aiutano a cogliere da un lato, il senso profondo della provvisorietà e, dall'altro, la disponibilità più vera per una relazione che arricchisce la vita di una presenza. Mosè rimane quaranta giorni e quaranta notti sul Sinai senza mangiare pane e senza bere acqua, mentre alla scuola di YHWH scrive le parole dell'alleanza. Elia percorre un cammino di quaranta giorni e quaranta notti fino all'Horeb, digiunando, perché già saziato dal pane e dall'acqua con i quali Dio provvidente l'aveva nutrito; al termine discerne la sua presenza nel silenzio profondo e nella solitudine. Gesù stesso inaugura la sua missione di annuncio del regno di Dio con un atto di abbandono fiducioso al Padre, digiunando quaranta giorni nel deserto. È ancora Gesù a mettere in guardia, collocandosi in una linea di continuità con la tradizione profetica, da alcuni pericoli celati da una pratica distorta del digiuno: formalismo, orgoglio e ostentazione di sé per essere visti dagli uomini, distanza tra una prassi penitenziale e la quotidianità dell'esistenza. Per essere gradito a Dio, il digiunare del credente deve procedere in stretto parallelo con l'attenzione ai fratelli e con una ricerca della vera giustizia. Gesù, pertanto, invita a digiunare con una discrezione e una saggezza note solo a Dio che vede anche nel segreto. Solo questo atteggiamento aprirà il cuore del discepolo ad una esigenza di giustizia interiore che invoca costantemente: «O Dio, abbi pietà di me peccatore!» (Lc 18,13). Quale digiuno viene, allora, prospettato? Dalla Scrittura emergono alcune caratteristiche: il vero digiuno conduce a cogliere la dinamicità del provvisorio, è fatto in segreto e davanti a Dio, è unito alla preghiera e all'elemosina, è, infine, un digiunare per amore di Dio. Il digiunare è apertura a discernere il dono da condividere assumendo la connotazione di speranza e di lode. Il digiuno autentico è quello vissuto nell'attesa del ritorno dello sposo perché al suo arrivo si faccia festa. Il digiuno pone nella condizione di sobrietà e di vigilanza perché non ci si addormenti nella crapula, nel torpore dell'indifferenza e del nichilismo. In tal senso il digiuno diventa esperienza di comunione con Cristo, rifuggendo da ogni forma di neopelagianesimo, verso l'esodo pasquale in una dinamica di conversione. L'atteggiamento esterno del digiuno trova la sua valenza se colto in una prospettiva di apertura all'azione di Dio che si manifesta come Signore dell'esistenza.

Da che cosa astenersi?

Ritengo che, a questo proposito, sia necessario compiere un passo in avanti ovvero il superamento di un formalismo esteriore che limita la prassi del digiuno solo ad astenersi da alcuni alimenti. Nel contesto odierno, a mio parere, è necessario ribadire con Gesù che “non è ciò che entra nell’uomo a contaminarlo, ma ciò che esce dal suo cuore; questo sì contamina l’uomo” (cfr. Mc 7,14-15.20). Al contrario, è necessario lavorare per la giustizia, per la pace, per la salvaguardia del creato, per il rispetto della dignità di ogni persona, lottando contro ogni forma di complicità con il male; tutto ciò scaturisce dalle esigenze proprie dell’evangelo.

Digiuno, preghiera, carità fraterna

Il digiuno autentico, il cui significato abbiamo poco prima tracciato, è sempre unito alla preghiera e alla carità fraterna (elemosina), come del resto è indicato nel testo evangelico di Mt 6,1-6.16-18 e previsto per il Mercoledì delle Ceneri (senza disattendere gli altri testi biblici del giorno: Gl 2,12-18; Sal 50; 2Cor 5,20-6,2). Un cammino spirituale che trova nell'itinerario penitenziale una sua espressione tipica non può rinchiudersi in un particolarismo consolatorio, ma deve aprirsi al superamento della propria grettezza e della propria autosufficienza. Tale apertura si concretizza in un atteggiamento di dono e di amore che si esprime propriamente come comunione fraterna e condivisione. Ciò che nell'arroganza appare riduttivo di sé, nell'amore diventa apertura alla storia; ciò che è descritto come attaccamento di sé, si converte in una condivisione attraverso un movimento che conduce ad un cambiamento radicale: da peccatori a discepoli della compassione del Signore. La condizione dell'uomo, quando è caratterizzata da un confidare in sé stesso, si tramuta ben presto in isolamento che produce una chiusura tesa a difendere qualcosa che, in realtà, sarà perso in modo irreparabile. La prassi quaresimale, pertanto, si offre al credente come momento critico in cui viene svelata la tracotanza del peccatore e la necessità di uscire dalla propria paralisi. La conseguenza esistenziale, poi, si fa più attenta al frutto penitenziale del cammino ponendo attenzione all'atteggiamento di chi passa dalla autosufficienza al dono. Il digiuno, dunque, conduce i credenti, oltre ogni retorica, ad essere testimonianza di carità per un servizio ai fratelli.

Qual è il significato delle formule per l’imposizione delle Ceneri?

Rispetto al Missale Romanum (1570) scaturito dalla riforma liturgica del Concilio di Trento, il Messale Romano riformato da Papa Paolo VI dopo la benedizione delle Ceneri contempla due formule per la loro imposizione sul capo dei fedeli; ambedue le formule sono radicate nella Scrittura senza equivoci. La prima formula: “Convertitevi e credete nel Vangelo” (cfr. Mc 1,15; Mt 3,2; 8,10); la seconda: Ricordati, uomo, che polvere tu sei e in polvere ritornerai” (cfr. Gen 3,19; 18,27; Sal 103,14; Qo 3,20; Sap 11,22; Sir 33,10). L’atto di imporre sul capo dei fedeli un poco di cenere porta con sé il senso di una missione, un compito che viene affidato e che il fedele accoglie con umiltà e responsabilità. La significazione dell’atto stesso è precisata ulteriormente proprio dalle due formule bibliche ricordate e che il ministro pronuncia ad alta voce davanti al credente che accoglie l’austero simbolo delle Ceneri. Potremmo riassumere in questi tratti il senso profondo di tutto ciò. In primo luogo, si fa memoria ai credenti che la condizione di discepoli sempre in cammino li caratterizza in ogni istante della vita. Siamo sempre dei viatores, pellegrini di speranza che tengono fisso lo sguardo su Gesù, Evangelo di Dio, buona notizia per l’umanità, fondamento della fede dei credenti. In secondo luogo, è ribadito che il discepolo non è seguace di una ideologia o di una nuova morale che insegna l’arte del vivere nella complessità della storia odierna; al contrario il discepolo sta dietro al maestro unico che è Gesù, Parola eterna del Padre. Infine, la condizione che caratterizza l’umanità è il limite, la finitudine di tutto ciò che è terreno, la temporalità; tutto ciò, se da un lato fa memoria a noi della nostra fragilità che non possiamo rimuovere, dall’altro ciò potrebbe condurre ad assumere uno stato di rassegnazione passiva irreparabile e senza speranza. Al contrario, l’evocazione della condizione mortale se fatta davanti a Dio e confidando nella potenza dell’Evangelo, diventa profezia di risurrezione e di vita eterna alla quale ogni discepolo di Gesù il Cristo è chiamato. In tal senso i due richiami contenuti nelle formule costituiscono un esplicito rimando al mistero della Pasqua del Signore, verso la quale il credente cammina nella speranza.

Quale rapporto tra il Mercoledì delle Ceneri e il cammino quaresimale?

Sul versante storico liturgico al riguardo si può ritenere che la fissazione del giorno di mercoledì è legata al fatto di poter stabilire un periodo di quaranta giorni (con tutta la ricchezza simbolica che a questo numero viene attribuita nella Scrittura) che precedono la Pasqua del Signore. Più precisamente, si calcolano quaranta giorni effettivi dal mercoledì delle Ceneri al mercoledì della Settimana santa, escludendo le domeniche, per lasciar posto al Triduo pasquale che contempla il suo inizio nella celebrazione del Giovedì santo in Coena Domini.

+ Ovidio Vezzoli

Vescovo di Fidenza

“Nel crogiuolo della speranza”: lectio divina nel tempo di Quaresima

“Nel crogiuolo della speranza” è il titolo della lectio divina nel tempo di Quaresima (Anno C) presieduta dal Vescovo Ovidio.
Cinque gli appuntamenti che avranno luogo in Cattedrale a Fidenza a partire dalle ore 20.30.
Il primo, “Con Gesù nel deserto” (Lc 4,1-13) è fissato per il 6 marzo;
il secondo, “Ascoltatelo!” (Lc 9,28-36) il 13 marzo;
il terzo, “Cambiare vita!” (Lc 13,1-9) il 20 marzo;
il quarto, “Padre di misericordia” (Lc 15,1-3.11-32) il 27 marzo;
l’ultimo, “Neanch’io ti condanno” (Gv 8,1-11) il 3 aprile.

CEI: no a polarizzazioni o giochi al ribasso sul fine vita

Il 19 febbraio scorso presso la sede di Circonvallazione Aurelia 50, si è riunita la Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana.

Pubblichiamo di seguito la Nota sul fine vita approvata durante i lavori.

Esprimiamo preoccupazione per recenti iniziative regionali sul tema del fine vita. Da ultimo, l’approvazione nei giorni scorsi della legge sul suicidio medicalmente assistito da parte del Consiglio Regionale della Toscana. Ricordiamo che “primo compito della comunità civile e del sistema sanitario è assistere e curare, non anticipare la morte” (Conferenza Episcopale del Triveneto, 2023). Anche perché “procurare la morte, in forma diretta o tramite il suicidio medicalmente assistito, contrasta radicalmente con il valore della persona, con le finalità dello Stato e con la stessa professione medica” (Conferenza Episcopale dell’Emilia-Romagna, 2024). Invitiamo a non fare “di questo tema una questione di ‘schieramento’, ma un’occasione per una riflessione profonda sulle basi della propria concezione del progresso e della dignità della persona umana” (Conferenza Episcopale della Toscana, 2025), avviando “un ampio confronto parlamentare che rappresenti il Paese e le reali necessità dei suoi cittadini, scevro da logiche di parte e possibili strumentalizzazioni” (Conferenza Episcopale della Puglia, 2022). Auspichiamo, pertanto, che nell’attuale assetto giuridico-normativo si giunga, a livello nazionale, a interventi che tutelino nel miglior modo possibile la vita, favoriscano l’accompagnamento e la cura nella malattia, sostengano le famiglie nelle situazioni di sofferenza. Ribadiamo, peraltro, che la legge sulle cure palliative non ha trovato ancora completa attuazione: queste devono essere garantite a tutti, in modo efficace e uniforme in ogni Regione, perché rappresentano un modo concreto per alleviare la sofferenza e per assicurare dignità fino alla fine, oltre che un’espressione alta di amore per il prossimo. Sulla vita non ci possono essere polarizzazioni o giochi al ribasso. La dignità non finisce con la malattia o quando viene meno l’efficienza. Non si tratta di accanimento, ma di non smarrire l’umanità.

La Presidenza
della Conferenza Episcopale Italiana

Il 26 gennaio lettura continua del Libro di Qoèlet

La domenica della Parola di Dio è stata istituita da Papa Francesco con l’espressione “Aperuit illis” nel mese di gennaio di ogni anno perchè la Parola diventasse patrimonio della Chiesa universale.
Il Vescovo Ovidio Vezzoli già negli anni scorsi ha invitato il popolo di Dio a una lettura continua dei libri dell’Antico e del Nuovo Testamento. 
L’appuntamento di quest’anno vede al centro la lettura del Libro di Qoèlet che sarà proclamata nella Cattedrale di Fidenza domenica 26 gennaio con inizio alle ore 15.

Natale 2024: il messaggio del Vescovo Ovidio

Natale del Signore: abbassamento e condivisione dell’umano

 

La ricchezza della parola di Dio che la Chiesa consegna ai credenti in questo tempo di grazia, esorta con insistenza ad essere custodi del mistero, di quell’evento di grazia che ha mutato le sorti dell’umanità, ha cambiato il volto della storia e ha consegnato la speranza che non delude in Gesù il Cristo, Parola eterna di Dio, volto compassionevole del Misericordioso.

Anzitutto, il Natale è mistero di abbassamento. È il venire di Dio, nel suo Figlio Gesù Cristo, incontro all’umanità disorientata, incapace di trovare salvezza e speranza da se stessa, prigioniera delle proprie illusioni, impossibilitata a discernere una strada di vita. L’abbassamento di Dio in Gesù di Nazareth non è solo un atto di umiltà, di condiscendenza verso l’umano o di ciò che noi avremmo potuto ritenere conveniente che il Signore facesse a nostro favore. Al contrario, va ribadito che si tratta di un atto di libertà e per amore. Il Natale del Signore è l’evento che narra della libertà e dell’amore di Dio nei confronti dell’umanità. Questa libertà per amore si incontra perfettamente con l’obbedienza e la medesima compassione di Gesù di Nazareth, il Figlio amato, nel quale il Padre riconosce riflessa in pienezza la sua volontà unica. Questo progetto è ben espresso nel Prologo del quarto Evangelo quando si dichiara senza equivoci: «Vedere Dio nessuno ha mai potuto! Un Dio unico generato, colui che è proteso al cuore del Padre, lui seppe narrarne» (Gv 1,18). Conoscere il Dio cristiano non è il risultato di uno sforzo razionale, la conclusione di un sillogismo filosofico, il prodotto di un algoritmo tecnocratico, l’epilogo di una sottigliezza teologica; al contrario è dato agli umani di conoscere il Signore per grazia, ossia mediante il dono che Lui stesso fa mediante Gesù di Nazareth, il suo Figlio beneamato. Il Mistero del Natale del Signore si dispiega propriamente in questo movimento di abbassamento, di dono, di consegna per amore e nella libertà; ciò avviene nella comunione della Trinità santa senza attendersi alcuna riconoscenza umana, senza calcolo di convenienze, procedendo ben oltre il criterio di corrispondenza, ma solo per amore. Un tale progetto salvifico lo poteva concepire ed attuare solo Dio e non un uomo.

In secondo luogo, strettamente unito al cammino di abbassamento, il Natale del Signore racconta della sua condivisione in pienezza dell’umano. È sufficiente considerare quanto testimoniato dagli Evangeli per poter discernere la ricchezza e il significato ultimo di questa condivisione, non ideale, bensì profondamente umana e storica. Gesù di Nazareth, volto del Padre misericordioso e compassionevole, racconta di un Dio che condivide con una povera umanità l’inizio della sua missione di annuncio dell’evangelo, quando condivide con i poveri e gli umili della terra la sua nascita nel nascondimento e nel silenzio adorante di Maria la madre e di Giuseppe; quando nelle acque del Giordano vi discende insieme ad una umanità peccatrice che cerca perdono e riconciliazione: in quel contesto la voce del Padre lo proclama “suo Figlio amato nel quale è riflessa pienamente la sua volontà”. La condivisione dell’umano è espressa da Gesù quando sta a tavola con pubblicani e peccatori; quando racconta le parabole della misericordia; quando si china sulla infermità dei malati; quando scorge l’inutilità rassegnata della vita dei lebbrosi che implorano da lui la guarigione; quando dichiara solennemente il perdono a una donna che i presunti giusti avevano già deciso di lapidare a morte; quando moltiplica il pane per la folla stanca e affaticata che lo segue da giorni ascoltando la sua parola; quando rassicura della sua presenza i discepoli in una notte di tempesta nella quale la barca minaccia di affondare tra i flutti del lago di Tiberiade; quando rinfranca il cuore affaticato e desolato degli apostoli che non hanno saputo vegliare nella preghiera con lui nella notte del Getsemani; quando non ha una parola di condanna per i suoi che sono fuggiti davanti all’inganno dell’arresto, all’orrore della flagellazione, all’ingiuria del processo farsa e della dileggiante condanna a morte mediante la crocifissione; quando dall’alto della croce grida, da un lato, il suo dolore e il silenzio di Dio, racchiudendo in sé tutte le domande di una umanità ferita e disorientata a causa della propria debolezza e del proprio peccato, dall’altro, quando invoca il perdono del Padre per tutti; quando, risorto dai morti, consola le donne discepole, esorta la comunità apostolica ad essere testimone della sua parola e assicura il dono dello Spirito promesso, autentico protagonista della missione ecclesiale; quando, nondimeno, dichiara solennemente la sua presenza senza tempo, fedele accanto ai suoi fino alla fine del mondo. È necessario ribadire che il mistero del Natale non può essere disgiunto dall’evento della Pasqua del Signore. L’abbassamento e la condivisione dell’umano da parte di Dio in Gesù di Nazareth trovano nel mistero della sua morte, risurrezione e attesa della sua venuta finale nella gloria, il vero compimento della promessa.

L’Anno Giubilare ordinario 2025, che Papa Francesco aprirà in modo solenne nella notte del Natale del Signore, diventi esperienza di cammino e di ritorno al Signore, vera condivisione del dono di grazia e di riconciliazione che ci interpella e ci avvolge, accoglienza di una chiamata alla speranza che non delude.

+ Ovidio Vezzoli

vescovo

"Pellegrini nella speranza": il messaggio del vescovo Ovidio per l'Avvento

L’evento del Giubileo Ordinario 2025 è bene illustrato nelle sue motivazioni fondamentali da Papa Francesco nella Bolla di indizione (Spes non confundit) mediante il richiamo esplicito a Rm 5,5: «La speranza non delude». Questo rimando biblico viene ulteriormente declinato dal tema del pellegrinaggio indicato dallo slogan che accompagna l’esperienza dell’Anno giubilare: «Peregrinantes in spem». Al centro, dunque, di questo cammino di fede è posta la speranza che non delude. Oltre ogni equivoco non si tratta di porre attenzione ad una virtù teologale riproposta come tematica a partire dalla quale elaborare proposte pastorali o proporre cammini penitenziali affidati alla buona volontà e alla devozione religiosa dei credenti. Al contrario, la speranza ha un nome ben preciso: Gesù di Nazareth, il Figlio di Dio, Parola eterna fatta carne; la sua missione affidatagli dal Padre è quella di ricondurre l’umanità al Signore unico affinché impari nuovamente a riconoscere la sua presenza nella vita dell’altro, che condivide con noi i tratti di un cammino di vita spesso faticoso e messo alla prova, quanto alla sua dignità. Dunque, pellegrini nella speranza che non delude. Papa Francesco sintetizza con acutezza il desiderio profondo dell’umanità relativamente alla speranza:

«Tutti sperano. Nel cuore di ogni persona è racchiusa la speranza come desiderio e attesa del bene, pur non sapendo che cosa il domani porterà con sé. L’imprevedibilità del futuro, tuttavia, fa sorgere sentimenti a volte contrapposti: dalla fiducia al timore, dalla serenità allo sconforto, dalla certezza al dubbio. Incontriamo spesso persone sfiduciate, che guardano all’avvenire con scetticismo e pessimismo, come se nulla potesse offrire loro felicità. Possa il Giubileo essere per tutti occasione di rianimare la speranza. La Parola di Dio ci aiuta a trovarne le ragioni […]» (Papa Francesco, Spes non confundit, n. 1).

Come è possibile rianimare questa speranza nel cuore di ogni uomo e ogni donna? Come non cadere nella trappola mortale del nichilismo che tutto azzera in una uniformità che mortifica ogni anelito alla speranza? Al riguardo il profeta Zaccaria è testimone di una parola provocatoria la cui finalità è quella di risvegliare il cuore dei timorati di Dio perchè ripongano in lui la loro fiducia e non si lascino ingannare da illusorie promesse: «Gli strumenti divinatori dicono menzogne, gli indovini vedono il falso, raccontano sogni fallaci, danno vane consolazioni: per questo vanno vagando come pecore, sono oppressi, perché senza pastore» (Zc 10,2). Pertanto, come reagire con audacia evangelica ad un modo di pensare che vede davanti a sé solo catastrofi, finitudine miserevole dell’umanità, cattiveria, aggressività e dominio sugli altri perché ritenuti ostacolo alla espansione del proprio ego dominante? Papa Francesco indica la strada di chi lascia operare lo Spirito Santo nelle proprie vite ispirando le scelte del bene da attuare:

È infatti lo Spirito Santo, con la sua perenne presenza nel cammino della Chiesa, a irradiare nei credenti la luce della speranza: Egli la tiene accesa come una fiaccola che mai si spegne, per dare sostegno e vigore alla nostra vita. La speranza cristiana, in effetti, non illude e non delude, perché è fondata sulla certezza che niente e nessuno potrà mai separarci dall’amore divino» (Papa Francesco, Spes non confundit, n. 3).

Sta davanti a noi il tempo di grazia dell’Avvento del Signore. Le tematiche della speranza, della sobrietà, della vigile attesa del Signore che viene caratterizzano queste quattro settimane che dispongono all’incontro con la Parola fatta carne, Gesù il Signore di tutti, che viene a noi nella sua misericordia e nel suo giudizio. Il tempo di Avvento ci richiama la dimensione del cammino che si fa vigilanza in un momento della nostra storia in cui è difficile intravvedere una luce di speranza, si sperimenta una sempre più faticosa riconciliazione con se stessi e con gli altri; la tentazione di fronte a tutto ciò è quella di cadere nella rassegnazione e nella percezione della disfatta davanti a situazioni che ci superano grandemente nella loro complessità.

In questo frattempo, la grazia dell’Avvento del Signore ci esorta alla necessità, anzitutto, dell’ascolto che costituisce il criterio affinché l’evento stesso del Giubileo ordinario 2025 sia sottratto al carattere di eccezionalità spettacolare e folcloristica, ma sia posto nella condizione di esprimere ciò che caratterizza senza equivoci un cammino di ritorno al Signore e all’essenziale della vita cristiana. In secondo luogo, è ribadita fortemente l’urgenza di un discernimento evangelico del segno del tempo, senza deleghe; è necessario chiederci: che cosa domanda oggi il Signore a questa umanità? Quale parola di speranza che non delude possono ancora testimoniare i credenti agli uomini e alle donne del nostro tempo? La Chiesa è ancora luce che orienta il cammino di quanti cercano la verità, il senso di questa storia e il significato della propria esistenza in questo oggi? Maria, la Madre del Signore, vergine orante, donna dell’attesa e di speranza interceda per noi presso il Figlio e sostenga il nostro cammino orientato alla speranza che non delude.

+ Ovidio Vezzoli

vescovo di Fidenza

"Chi ha orecchio ascolti": la Lettera pastorale 2024-2025

La Lettera pastorale 2024-2025 dal titolo “Chi ha orecchio ascolti” (il riferimento è alla celebre frase “Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alla Chiesa” contenuta nel libro dell’Apocalisse) si compone di sette capitoli preceduti da un’introduzione e seguiti da alcune indicazioni che il Vescovo Ovidio sottopone all’attenzione delle parrocchie, delle associazioni, dei movimenti e di tutte le realtà ecclesiali presenti in Diocesi.

Le sette Chiese sono quelle dell’Asia Minore: “L’amore, evento costitutivo della Chiesa” riguarda la Chiesa di Efeso” (cap. 1); “Una comunità fedele nel tempo della prova” riguarda la Chiesa di Smirne (cap. 2); “La denuncia dell’idolatria” riguarda la Chiesa di Pergamo (cap. 3); “La critica alla seduzione mondanizzante” riguarda la Chiesa di Tiatira (cap. 4); “Sentire il segno del tempo nella speranza” riguarda la Chiesa di Sardi (cap. 5); “Una Chiesa fedele alla Parola” riguarda la Chiesa di Filadelfia (cap. 6); infine “Contro la tiepidezza” riguarda la Chiesa di Laodicea (cap. 7).

Nell’ultimo paragrafo (“Quasi una conclusione”) il Vescovo sottolinea che l’intento della Lettera “è esclusivamente quello di offrire un orientamento nel cammino pastorale che stiamo compiendo come comunità cristiana fidentina, che comincia a interrogarsi sui segni di questo tempo e su quanto lo Spirito le rivela. Tutto ciò avviene nella fedeltà alla parola dell’evangelo, in comunione con Papa Francesco e con la sollecitudine pastorale di continuare a edificare l’unico corpo vivente di Cristo che è la sua Chiesa”.

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