BannerTopDEF2

Martina Pacini

Chiusura estiva del Museo del Duomo e Diocesano di Fidenza

Ultimo fine settimana (venerdì 29, sabato 30 e domenica 31 luglio) per visitare il Museo del Duomo e diocesano di Fidenza prima della pausa estiva.
 
Il Museo infatti resterà chiuso per tutto il mese di agosto e riaprirà venerdì 2 settembre con gli orari consueti: venerdì-sabato-domenica 10-12 e 15-18. Per eventuali gruppi (minimo 10 persone) sono possibili aperture su prenotazione.
Contatti per informazioni e prenotazioni: tel. 331.7468896 – email: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
 
Ricordiamo che da luglio è in vigore al Museo del Duomo di Fidenza anche il biglietto "Visita Veloce", del costo di 3 €, che comprende la Saletta Medievale con il video introduttivo sulle fasi costruttive della Cattedrale e tre opere imperdibili:
- la Maestà Mariana di Benedetto Antelami;
- il Calice reliquiario di San Donnino;
- l'acquamanile a forma di colomba.
Questo biglietto è destinato a chi ha poco tempo ma non vuole rinunciare ad ammirare i principali, imperdibili, capolavori custoditi nel Museo.

Situazione politica: la dichiarazione del Presidente della CEI

Pubblichiamo di seguito la dichiarazione del Presidente della CEI, Card. Matteo Zuppi, sulla situazione sociale e politica del Paese.

"Mi sembra doveroso esprimere un sentito ringraziamento al Presidente Draghi e a tutto il governo da lui presieduto per lo sforzo di questi mesi così difficili e per il metodo di lavoro che lo ha distinto. Comporre visioni discordanti in un unico interesse unitario credo resti metodo indispensabile anche per il futuro. In questo momento così decisivo e pieno di rischi per l’Italia e l’Europa, desidero rinnovare il forte appello alla responsabilità individuale e collettiva per affrontare la prossima scadenza elettorale. L’indispensabile interesse superiore impone di mettere da parte quelli personali o individuali, per affrancare la politica da tatticismi ormai, peraltro, incomprensibili e rischiosi per tutti. Dobbiamo pensare alla sofferenza delle persone e garantire risposte serie, non ideologiche o ingannevoli, che indichino anche, se necessario, sacrifici, ma diano sicurezza e motivi di speranza. Il fondamentale confronto politico non deve mancare di rispetto e deve essere improntato alla conoscenza dei problemi, a visioni comuni senza furbizie, con passione per la cosa pubblica e senza agonismi approssimativi che tendono solo a piccoli posizionamenti personalistici e non a risolvere le questioni.

La crisi, insomma, può, anzi, deve essere una grande opportunità per ritrovare quello che unisce, per rafforzare il senso di una comunità di destino e la passione per rendere il nostro Paese e il mondo migliori. Le pandemie ci hanno reso tutti consapevoli della vulnerabilità, di come può essere messo in discussione quello che appariva sicuro, come tragicamente vediamo con la guerra e le sue pericolose conseguenze internazionali. Dal dopoguerra non abbiamo mai vissuto una congiuntura così complessa, a causa dell’inflazione e delle diseguaglianze in aumento, del debito pubblico che ha raggiunto una dimensione enorme, del ritorno a un confronto tra blocchi che assorbe enormi energie e impedisce lo sviluppo, dell’emergenza climatica e ambientale, della difficoltà del mondo del lavoro con la condanna al precariato con il suo carico di fluidità.

Le fragilità emerse con la pandemia del COVID, ad iniziare dagli anziani non autosufficienti, i disabili, i tanti malati psichici, la tanta e atroce solitudine, richiedono una protezione della persona efficace che solo uno straordinario impegno può permettere. È quello che Papa Francesco chiama amore politico. Non possiamo costruire il futuro delle prossime generazioni avendo come unico orizzonte il presente, perché gli interessi di corto respiro diventano inevitabilmente interessi di parte, individuali. Si presenta, inevitabile, l’ora dei doveri e delle responsabilità per cui la politica dovrà trovare il più virtuoso punto d’incontro tra ciò che è buono e ciò che è realmente possibile perché le risorse esistenti non vadano sprecate ma collocate al servizio del bene comune e dell’intera popolazione. È un tempo nel quale dobbiamo ricostruire il senso di comunità, in cui, come ha ricordato il presidente Mattarella, occorre un “contributo costruttivo” da parte di tutti, specialmente di chi sceglie di impegnarsi nella vita politica. E ci auguriamo siano tanti e con tanta e profonda motivazione per il bene comune.

Il prossimo 4 ottobre, festa di San Francesco d’Assisi, patrono d’Italia, la Conferenza Episcopale Italiana è stata invitata a compiere il gesto dell’offerta dell’olio per la lampada votiva sulla tomba del Santo. Sarà un momento di gratitudine per quanti stanno aiutando il popolo italiano a far fronte agli effetti della pandemia. Sarà anche occasione per una preghiera speciale per l’Italia e per la pace".

 

(Foto Siciliani-Gennari/SIR)

«È tempo di cercare il Signore» (Os 10,12)

Pubblichiamo di seguito il messaggio che il Vescovo Ovidio ha scritto per la comunità della Diocesi fidentina in occasione del periodo di riposo estivo.

 

«È tempo di cercare il Signore» (Os 10,12)

 

Alcuni giorni fa la Chiesa, nella liturgia della Parola, proponeva ai credenti l’ascolto di alcune pagine fondamentali tratte dal libro di Osea. Il suo ministero profetico si svolge nel regno del nord (Israele) nel corso dell’VIII secolo a.C. in un tempo difficile segnato da contrasti sociali, economici, politici e, nondimeno, dalla minaccia sempre incombente della potenza militare assira che, con il suo condottiero Tiglat Pileser III (727 a.C.), intende espandere il possedimento dei suoi territori e la sua influenza al di fuori dei suoi confini. Purtroppo, molti benpensanti e stolti in Israele, invece di svolgere il ministero di guide responsabili della comunità sono maggiormente preoccupati di accumulare ricchezze e di trarre profitto, comunque, da una situazione che volge al drammatico per molti, ingrossando in tal modo, sempre di più, le file dei miseri che bramano solo un pezzo di pane per sopravvivere.

È in tale contesto che si erge chiara e senza equivoci la voce profetica di Osea. Anzitutto, il profeta denuncia una situazione di ipocrisia e di ingiustizia che alberga tra le guide della comunità; la popolazione stessa non vuole ammettere il tempo difficile che si sta vivendo. I capi del popolo ricercano false alleanze politiche, ma solo in vista di vedere salvaguardati i propri interessi personali. Quanti dovrebbero tenere alta la speranza e spronare a ricominciare con fiducia si defilano dalle loro responsabilità abbandonando i più poveri e indifesi a una condizione miserevole e desolante.

In secondo luogo, Osea tratteggia i lineamenti di una popolazione affranta, delusa e che cerca consolazione nei culti stranieri, nella magia, nella superstizione abbandonando, in tal modo, il Signore per confidare in divinità che non sono in grado di salvare né di intervenire per il bene, in quanto sono idoli manufatti dalla frustrazione religiosa.

In terzo luogo, il profeta descrive la situazione della comunità di Israele come quella di chi è preso da astenìa, da una debolezza mortale che impedisce qualsiasi possibilità di ripresa e di speranza nel domani. La denuncia di Osea è eloquente: «Il mio popolo è duro a convertirsi: chiamato a guardare in alto nessuno sa sollevare lo sguardo» (Os 11,7). Questa è l’immagine più eloquente dello sconforto, della rinuncia a qualsiasi risposta rispetto alla situazione contingente. È la descrizione realistica di uno stato di abbandono della propria dignità umana; è la rassegnazione propria della delega a qualsiasi fatica del pensare. In sostanza, il profeta descrive la condizione di chi rinuncia a sperare e, dunque, a vivere. La comunità di Israele preferisce commiserarsi fissando con insistenza lo sguardo sulle proprie difficoltà, le proprie paure lasciandosi paralizzare dall’angoscia e dalla disfatta dichiarata ormai irreparabile. Si tratta di un popolo che non sa più guardare verso il cielo, verso Dio per invocarlo con umiltà e fiducia, perché la salvezza viene dal Signore e non dalle potenze degli eserciti accecati dalla bramosia del potere.

Attestata questa situazione, caratterizzata da un’aria irrespirabile perché ammorbata di rassegnazione e di morte, Osea non desiste dall’alzare la voce e richiamare a ciò che è essenziale: «È tempo di cercare il Signore finché egli venga e diffonda su di voi la giustizia» (Os 10,12). L’appello del profeta lascia trasparire tutta l’urgenza necessaria per ricominciare; ma questo è possibile, non partendo da alleanze umane effimere e deludenti, ma dal ritornare a cercare il Signore.

«È tempo di cercare il Signore». Questo ammonimento è anche per noi oggi. Si leggono sui volti delle persone che incontriamo i tratti della paura, della fatica, dello smarrimento, della delusione e, spesso, dell’angoscia che paralizza impedendo di ricominciare a sperare. L’occhio e la mente sono come avvolti dall’oscurità dell’angoscia, non si riesce più a vedere il bene che opera ancora e in modo significativo; il pensiero stesso è come anchilosato, incapace di discernere con intelligenza quanto accade, interrogandosi sul significato di tutto ciò e su quale responsabilità richiede senza delegare ad altri ciò che compete a ciascuno di noi.

«È tempo di cercare il Signore», ammonisce ancora oggi il profeta risvegliandoci dal torpore, dall’apatia e dall’indifferenza che sono il segno di una grave immaturità umana unita alla stoltezza. Serve a ben poco abbandonarsi a lamentevoli giudizi, che lasciano sempre le cose nella impossibilità di cambiare. Non serve a nulla abbandonarsi al determinismo, alla casualità e aspettare illudendosi che i tempi cambino e che le situazioni si risolvano per conto loro. È necessario, al contrario, che ciascuno riprenda la responsabilità che gli compete come uomo e come donna, come cittadino, come credente, affinché le scelte e, nondimeno, la fatica del pensare di ciascuno concorrano al bene comune, alla edificazione reciproca, alla concordia, al rispetto della dignità di tutti e alla pace.

«È tempo di cercare il Signore» e di imparare a guardare in alto verso di lui, non per fuggire o per rimuovere la complessità della storia contemporanea, ma per imparare a guardare alla nostra vita e all’umanità come la guarda il Signore, nello stile della Lettera enciclica di Papa Francesco «Fratelli tutti», con occhi di compassione e di misericordia, senza disattendere l’opera per la giustizia che scaturisce dall’evangelo.

«È tempo di cercare il Signore». Il tempo dell’estate possa diventare tempo di riposo e di ritrovate relazioni fraterne, tempo di riflessione e di grazia in cui torniamo a cercare il Signore, l’essenziale delle nostre povere vite. «È tempo di cercare il Signore», anche se è lui stesso che si fa trovare sul nostro cammino, rinvigorisce la nostra speranza e ci chiama a ricominciare nel suo nome.

 

+ Ovidio Vezzoli

Via Francigena sud: compiuto dai pellegrini l’ultimo tratto

Ci eravamo lasciati con la speranza che il buon Dio, tanto impegnato in questo periodo, ci avrebbe concesso la possibilità di ripartire per il terzo ed ultimo tratto della Via Francigena del Sud che ci porterà a Roma. Abbiamo iniziato il 13 maggio scorso. Siamo: Bazzini Luciana, Pratizzoli Angela, Allegri Valentino, Antonelli Franco, Bazzini Renato e Cacciali Luciano: squadra ormai consolidata, ma sempre conscia delle difficoltà che un nuovo percorso può riservare anche a causa delle incertezze del periodo, con la volontà di riuscire ancora una volta a portare a termine un cammino, la via Francigena del Sud, che ci ha fatto meravigliare, conoscere, apprezzare ed amare ancora di più il nostro Paese.

E’ bello ora ritornare alla normale vita quotidiana, anche perché ci si rende conto di quanto straordinaria e bellissima sia stata l’esaltante ordinarietà dei 12 giorni trascorsi camminando su antichi basolati romani che erano per noi indicazioni della potenza e della forza romana, portatrice di bellezza e cultura in borghi e cittadine dai nomi sconosciuti ai più, in quanto posti in zone piuttosto lontane dal flusso turistico tradizionale, immersi in boschi secolari di roverelle, faggi, querce e ulivi, con trasparenze fantastiche di luce e aperture stupende su borghi arroccati, per gran parte fortificati, dai quali svettano campanili e  bastioni di difesa.

La memoria corre ad esempio allo stupefacente museo di Teano e alla preparatissima e appassionata guida Michele; e ancora, dopo la fatica della tappa e della salita, la gioia degli occhi regalata dall’indefinibile bellezza della Cattedrale di Sessa Aurunca, al suo pavimento musivo e al suo pulpito, al teatro romano (il secondo per grandezza dopo quello di Napoli) e alla rocca normanna. E dopo il duro e caldissimo scollinamento dell’appennino campano (32/34°), camminando per ore nell’assolatissima pianura fra ulivi e rinfrescati dal un gentilissimo sig. Pasquale che ci ha offerto ombra, acqua fresca, tavolo, sedie e frutta (arance e albicocche) di sua produzione, l’altra riva del Garigliano ci fa entrare nel Lazio e a Minturno, che presenta un interessante comprensorio archeologico (teatro e foro) e una parte considerevole dell’acquedotto romano di Vespasiano.

Un interminabile lungomare ci ha quindi portato a Formia, antica città romana di cui conserva vestigia importanti, tra cui il teatro antico trasformato in abitazioni, la tomba di Cicerone e il “Cisternone”; purtroppo nessuno visitabile per mancanza di personale! Ci ha colpito soprattutto il suo antico e suggestivo centro storico. La memoria corre libera alla fatica, ben ripagata, della visita a Gaeta con la sua rocca, le sue chiese e …la sorpresa di vedere un tronco di colonna romana con capitello, ben piazzata in un angolo del piccolo bagno di un bar! A Gaeta ci ha fatto anche piacere incontrare gli amici fidentini dell’associazione "don Camillo" in gita nel basso Lazio.

Le emozioni sono tante e quasi si sovrappongono nel ricordo… come Terracina e il suo centro storico, ricco di interessantissimi reperti romani. Come non ricordare la gentilezza della sig.ra Rosanna: da km si viaggiava su asfalto con temperature che superavano i 30° senza nessuna ombra per ripararci... avevamo appena salutato uno scout francese che da Bordeaux andava a Brindisi per Gerusalemme, quando sentiamo chiamarci da una signora, la gentilissima Rosanna, che ci invita ad entrare sotto il suo pergolato per riposarci all’ombra e attorno ad un tavolo che bandisce con acqua, patatine e frutta e si dice dispiaciuta di non aver potuto fermare il giovane pellegrino appena passato in direzione opposta. Anche il marito ci raggiunge dopo aver smesso appositamente di lavorare e si mette a parlare animatamente con noi mentre approfittiamo per dar fondo ai nostri panini e, rifocillati, ripartiamo ringraziando.

Il cammino è ancora lungo e il caldo imperversa: lo combattiamo con fermate brevi sotto gli ulivi per dissetarci all’ombra. Procediamo sotto un sole battente ma finalmente in lontananza intravediamo il massiccio campanile dell’Abbazia di Fossanova, che raggiungiamo dopo più di cinque ore di cammino. L’Abbazia è l’esempio più alto di architettura cistercense in Italia: fondata da un gruppo di monaci provenienti da Chiaravalle della Colomba, qui vi morì S. Tommaso d’Aquino; è immensa, ed è limitativo definirla bellissima. Dopo una meravigliata visita al complesso e alla cella dove morì il santo, si riprende lo spostamento. E’ difficile ricordare le bellezze e le immagini che si sovrappongono ancora una volta abbagliati dal sole, fino ad  intravedere il particolarissimo duomo di Priverno, affiancato da uno svettante campanile romanico arricchito da formelle colorate in maiolica, (esempio che rivedremo altrove). L’ostello è fuori del paese ma in posizione ventosa e fresca e questo ci risolleva, dopo ormai otto ore di cammino.

Per molti motivi non è possibile dimenticare la tappa da Priverno a Sezze, interessante paesaggisticamente ma durissima (350 m. di dislivello) per gran parte in un sentiero sotto il sole battente, tracciato dalle mandrie: ma la vista è immensa e anche consolatoria sulla piana dell’Agro Pontino fino al mare. Le immagini si spostano su bellezze dove si intersecano la natura e l’uomo in simbiosi, l’ Abbazia cistercense di Valvisciolo, nella Valletta dell’Usignolo e l’Oasi della Ninfa, dove l’antica famiglia Caetani nei secoli ha esaltato la varietà della natura in un parco- giardino di straordinaria bellezza e che ancora conserva al suo interno anche le testimonianze dell’antico borgo medievale. A pochi chilometri l’altro borgo, Sermoneta, antico feudo dei Caetani, dove questa famiglia ha esaltato la propria potenza con l’imponente rocca, ma contornata dal gusto e dalla bellezza della semplicità realizzativa del borgo stesso e dalla mura che lo circondano. Qui nuovo incontro con i fidentini, anche loro alla ricerca del bello, quindi a fine giornata ecco il borgo svettante di Cori e il piacevole incontro con Elsa, carissima e gentilissima amica romana di Angela che è venuta per incontrarci e omaggiarci.

Incontriamo poi l’affascinante cittadina di Nemi, “regina delle fragoline”, con il suo stupendo lago color smeraldo e il centro storico medioevale coloratissimo. Ormai si sente l’aria di Roma, la realizzazione del sogno si avvicina sempre più anche se a fatica. Velletri è bella e ordinata città dove inizia la strada dei vini dei Castelli Romani: ma l’assaggio è pericoloso, troppo caldo. E’ stato lungo, duro e caldissimo lo spostamento a Castel Gandolfo, uno dei borghi più belli d’Italia che si specchia nell’azzurro del lago vulcanico. La fortuna in questo caso non ci sorride: i giardini Pontifici sono chiusi essendo lunedì. La notte è lunga, ma il sogno sta diventando realtà: poter chiudere la nostra ennesima avventura camminando sulla REGINA VIARUM, la Via Appia, calcata da Imperatori, santi e pellegrini, da tempo interminabile ed ora anche da noi semplici pellegrini.  

Il basolato luccica e ci abbaglia, i monumenti ci esaltano, arriviamo alla grandiosa tomba di Cecilia Metella, Circo di Massenzio, Porta S. Sebastiano e al suo termine la chiesa del “Quo Vadis, Domine?” (dove la tradizione riporta che Pietro abbia incontrato Cristo che entrava in città mentre lui per paura ne stava uscendo, Pietro allora tornò indietro per essere imprigionato e crocifisso)… Porta S. Sebastiano, Terme di Caracalla, l’Arco di Costantino, il Colosseo e finalmente Piazza S. Pietro, dove abbracciati dal colonnato del Bernini, l’emozione ci toglie la parola pensando a quanto fatto, circa 250 Km.

6ae1cb85 1583 48fb 9ffc df34b8007e53

(i pellegrini in Piazza San Pietro)

Con temperature che spesso superavano i 30°, possiamo essere orgogliosi di noi contando i nostri arrivi a Roma: i fratelli Luciana e Renato Bazzini e Valentino Allegri con 4, Franco Antonelli con 3 e Angela Pratizzoli e Luciano Cacciali con 1. La fila per entrare a S. Pietro è lunghissima; per il ritiro del TESTIMONIUM rimandiamo al giorno dopo, non senza aver ringraziato i nostri Santi protettori.

Ed ora, forse e se DIO vorrà: GERUSALEMME.

I pellegrini: Bazzini Luciana, Pratizzoli Angela, Allegri Valentino, Antonelli Franco, Bazzini Renato e Cacciali Luciano

 

Sottoscrivi questo feed RSS